ERBARIO (lat. herbarium; fr herbier; sp. herbario; ted. Herbarium; ingl. herbarium)
Così si chiama una collezione di piante disseccate fatta a scopi e con metodi scientifici. Oggi ai grandi istituti botanici non sono sufficienti le raccolte personali degli studiosi; essi inviano appositamente nelle regioni meno note esploratori che oltre a piante secche per l'erbario, raccolgono semi e piante vive da introdurre negli orti botanici. Con i mezzi efficacissimi che oggi si hanno per la raccolta delle piante anche nelle regioni più lontane, e per mezzo anche di acquisti da privati e di scambî, gli erbarî hanno assunto un'importanza grandissima e gl'istituti botanici di Londra, Berlino, Vienna, Leningrado, Ginevra, New York, Firenze, Roma, Bruxelles, Leida, ecc. possiedono erbarî (di cui alcuni istituiti come erbarî nazionali) con varie centinaia di migliaia di esemplari, che sono materiali preziosi per gli studî botanici.
Storia. - Occorre osservare che con la parola erbario non s'intese sempre lo stesso concetto. Isidoro di Siviglia (570-636) distingueva i Dynamidia, quelli contenenti le proprietà delle erbe per curare le malattie, e il Botanicum herbarium, "quod ibi herbae notentur" (Etymol., X), intendendo che le erbe erano indicate (notantur) nei libri con la loro effigie. Prototipo di tali libri è il De herbis, attribuito ad Apuleio, la cui odierna lezione secondo Howald e Sigerist risale al sec. IV, ma di cui forse l'originale può rimontare al principio del sec. II. Cassiodoro parla di un Dioscuride dell'anno 540 con figure; famosissimi sono specialmente tre di tali Dioscuridi: quello appartenuto all'imperatrice Giulia Anicia del sec. V della Biblioteca Palatina di Vienna, quello del sec. VI della Biblioteca nazionale di Napoli, quello della Biblioteca Chigiana, oltre la versione longobarda dell'800 del monastero di Montecassino. L'Apuleio e il Dioscuride furono gli erbarî nel Medioevo più frequenti; ma nelle biblioteche più ricche si hanno anche altri erbarî simili fatti da studiosi e da professionisti per loro uso personale, specialmente da monaci delle grandi abbazie, che tenevano farmacia, e a cui gli erbarî servivano per il riconoscimento dei semplici utilizzati dalla medicina, E venivano anche frequentemente muniti di figure i trattati di materia medica più in voga: quali il poemetto noto sotto il nome di Macer Floridus, il Circa instans di Giovanni Plateario, le Pandette di Matteo Silvatico, ecc. Questi codici erbarî si fanno più frequenti di mano in mano che i tempi passano. Sopra tutti eccelle, non solo per il numero delle piante dipinte, ma anche per la bellezza dei disegni il codice eseguito per commissione del medico veneto Benedetto Rin, dal pittore Andrea Amaglio, attualmente nella Biblioteca di S. Marco. A questa categoria di erbarî figurati vanno anche ascritte quelle raccolte di figure, dette Ectypa plantarum, che si ottenevano con l'aspergere le piante di nerofumo e imprimerle sulla carta, ove lasciavano impressa la loro figura esattissima con minuti particolari specialmente delle nervature fogliari. La sostituzione dell'impressione alla figurazione fatta a mano libera è stata una modificazione molto importante nella tecnica, che ci avvicina agli erbarî di piante secche.
Iniziatasi alla metà del sec. XV l'arte della stampa, anche gli erbarî con figure furono reiteratamente stampati, specialmente in Germania dove questi libri furono sempre ricercatissimi. Fra gli erbarî stampati nel sec. XV, oltre ad alcuni senza indicazione di luogo e di data ma da assegnarsi a questo secolo, meritano menzione: Herbarium Apulei Platonici (Roma c. 1480); Herbarius, cum herbarum figuris (Magonza 1484); Herbarius Patavie impressus (Passau 1485 e 1486); Tractatus de virtutibus herbarum (Vicenza 1491); Tractatus de virtutibus herbarum (Venezia 1499).
Solo alla fine del sec. XV e al principio del XVI s'inizia l'uso delle piante secche invece del disegno. Questa profonda modificazione nella tecnica dello studio delle piante deve senza dubbio essere messa in relazione con lo sviluppo dell'Umanesimo; infatti per la prima volta leggiamo l'esortazione allo studio dei vegetali non sui libri antichi soltanto, ma sulle piante stesse in campagna, presso l'umanista Pandolfo Collenuccio da Pesaro, il quale, volendo mostrare al Poliziano quali piante gli antichi consideravano per Gnaphalium e Nardus celtica, durante un viaggio fatto attraverso il Tirolo nel 1493, gl'inviava esemplari secchi delle due piante (le quali dovevano essere la stella alpina o Leontopodium alpinum e la Valeriana celtica). Il Poliziano, rispondendogli per ringraziarlo, accenna che i dotti ai quali aveva mostrato la sua lettera non avevano accolto con simpatia questo mezzo di comunicazione scientifica. Poco dopo vediamo che uno studioso, dovendo fare un codice d'erbe medicinali, in qualche caso invece delle figurazioni allega al suo manoscritto, incollandoveli, gli esemplari stessi essiccati delle erbe. In un codice anonimo, della Biblioteca Querini di Brescia (B. V. 24), in un foglio che porta la data 13 giugno 1506, stanno incollate le foglie di Spiraea filipendula e di Aegopodium podagraria.
Nel sec. XVI Luca Ghini, professore di semplici medicinali all'università di Bologna (1534-1544) e Pisa, mise insieme degli erbarî formati di piante secche che distribuiva agli studiosi. Nella sua casa di Bologna coltivava inoltre un giardino. Sappiamo anche che gl'inglesi Giovanni Falconer, Ugo Morgan, Guglielmo Turner e lo spagnolo Andrea Lacuna, i quali tutti avevano frequentato l'università di Bologna in quel periodo, avevano in quell'epoca degli erbarî fatti di piante secche. E poiché questi erbarî erano fatti tutti secondo un piano unico, è probabile che il modello fosse appunto l'erbario del Ghini. Questi, trasferitosi nell'autunno 1544 definitivamente a Pisa, ove il granduca Cosimo de' Medici lo aveva invitato fin dal 1543, ottenne l'assegnazione di un giardino per la coltivazione delle piante necessarie al suo insegnamento (fu questo il primo orto botanico istituito in forma ufficiale per l'insegnamento universitario) e diede un impulso assai maggiore alle due sue nuove istituzioni; cosicché rapidamente l'erbario di piante secche fu adottato da tutti gli studiosi e gli orti accademici da tutte le università.
Non esistono più i primissimi erbarî; ma ne esistono però parecchi che furono confezionati poco dopo quelli, nella seconda metà del sec. XVI. Ecco i più antichi ancora esistenti: 1. Erbario della Biblioteca Angelica di Roma (Erbario A) di autore ignoto, con piante in parte alpine e con pochissimi appunti scritti sui fogli; non fornisce indicazioni utili per stabilire la sua precisa età, ma è da considerare certo tra i più antichi. (volume di 322 fogli con 355 piante incollate). 2. Erbario anonimo dell'Istituto botanico di Firenze, fatto in quinterni non legati insieme, con piante tolte dal primo orto botanico di Pisa tra il 1545 e il 1550, autore forse il prete lucchese Michele Merini. (La parte esistente consta di 48 fogli con 201 piante incollate). 3. Erbario anonimo della Biblioteca Angelica di Roma (Erbario B), confezionato da F. Petrollini da Viterbo tra il 1545 e il 1550. Fu attribuito erroneamente a Gherardo Cibo da Roccacontrada. (In 4 volumi di complessivi 938 fogli, con 1347 piante incollate numerate e con indice alfabetico). 4. Erbario di Ulisse Aldrovandi di Bologna, conservato presso questa università, iniziato nel 1554 (costituito di 16 volumi in-folio di complessivi 4117 fogli, con circa 4760 piante incollate). 5. Erbario di G. Girault di Lione, cominciato il 6 agosto 1558, conservato al Museo di storia naturale di Parigi. (Consta di 77 fogli con 313 esemplari incollati). 6. Erbario di Felice Platter conservato presso l'Istituto botanico di Berna, formato di nove volumi dei quali 8 con piante secche, iniziato prima del gennaio 1559. 7. Erbario di Leonardo Rauwolff di Augusta, in tre volumi di complessive 634 piante incollate, iniziato nel 1560. 8. Erbario di Andrea Cesalpino, fatto in unico volume (poi diviso in tre) di 266 fogli con 768 piante incollate. 9. Erbarî di Gerolamo Harder: di cui uno a Jena, iniziato il 18 febbraio 1574 contenente 436 piante; un altro fatto nel 1594, conservato nella biblioteca di Ulm, formato di 746 piante incollate; un terzo iniziato il 15 giugno 1599, ora nel Museo di storia naturale di Vienna, con 718 piante su 158 fogli. 10. Erbarî di Gaspare Ratzenberg: di cui uno in 3 volumi fatto nel 1592, conservato nel museo di Kassel (comprende complessive 723 pagine con 756 piante incollate); un altro in 4 volumi in-folio di complessive 929 piante incollate, è nella biblioteca di Gotha e fu fatto nel 1598. 11. Erbario ducale Estense anonimo, conservato nella Biblioteca Estense di Modena, fatto nell'ultimo quarto del sec. XVI, avente 146 fogli con 182 piante incollate. 12. Erbario di G. Bauhin professore a Basilea, conservato nella biblioteca dell'Orto botanico di Basilea, costituito di 20 fascicoli con 2400 fogli e circa 2000 piante conservate; iniziato nel 1596.
Fino al principio del sec. XIX gli erbarî hanno esclusivamente carattere personale; ogni studioso forma il suo erbario o come mezzo necessario per i suoi studî per il confronto, o come mezzo professionale per il riconoscimento specialmente delle piante medicinali. Di questi erbarî se ne conservano numerosissimi, e specie alcuní dei primi godono meritata fama per la celebrità di coloro che li hanno fatti: come gli erbarî di Paolo Boccone a Genova, Lione, Bologna; di G. B. Trionfetti a Roma; di P. A. Micheli a Firenze; di Tournefort a Parigi; di Plukenet e di Ray a Londra; di Morison e di Dillenius a Oxford; di Linneo a Londra e Upsala; di Willdenow a Berlino; ecc. Col sec. XIX gli erbarî assumono importanza d'istituzione accademica, come gli orti botanici universitarî.
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