ERBERTO d'Orléans
La prima notizia relativa ad E. risale al 6 apr. 1272, allorché Carlo d'Angiò gli assegnava "castrum et terram Layni", centro fortificato posto sul fiume Lao al confine fra Basilicata e Calabria, tenuto fino a quel momento da Guglielmo della Foresta. Sembra che egli facesse parte di quel gruppo di cavalieri francesi, giunti in Sicilia al seguito del nuovo sovrano, ai quali vennero conferiti ruoli di grande importanza nei vari rami dell'amministrazione del Regno allo scopo di sostituire la classe dirigente locale e ridimensionarne il potere. Cosa che avvenne con sistematicità e in misura più consistente dopo il 1268, vale a dire dopo la sconfitta di Corradino, evento che segna una linea di netta demarcazione nella linea politica seguita da Carlo d'Angiò.
Quando divenne castellano di Laino E. era già miles; faceva dunque già parte a pieno titolo della nobiltà feudale del Regno. A tale riguardo tutto lascia ritenere che egli non si discostasse affatto da quei suoi connazionali d'Oltralpe i quali, venuti in Italia meridionale al seguito di Carlo d'Angiò, erano stati da quest'ultimo inseriti negli uffici del Regno, a costituire l'ossatura del nuovo organismo che egli andava realizzando; nei loro eccessi e nella loro rapace ingordigia va vista senza dubbio una delle cause determinanti dell'esplosione della rivolta del 1282.
La concessione del castello di Laino, nella quale rientrava anche "medietatem castri Castellucii in Basilicata", va considerata, tuttavia, alla luce di una notizia che si rivela assai significativa quale prova della sollecitudine e della solerzia di E. nei confronti della Corona. Da un altro documento risulta che egli era stato incaricato di condurre un'inchiesta sull'operato dei giustizieri di Terra d'Otranto e di Val di Crati, imputati di negligenza nell'esazione delle collette, la cui puntuale riscossione stava invece particolarmente a cuore al sovrano. Non può certo essere casuale il fatto che l'ordine di arresto dei due funzionari, riconosciuti colpevoli, sia stato emesso nello stesso giorno in cui vennero concessi ad E. il castello e la terra di Laino. La donazione sovrana, ad ogni modo, preludeva al conferimento di un mandato di grande importanza. Nel settembre del 1274 re Carlo lo nominò infatti "iustitiarium Principatus et Terre Beneventane", carica nella quale subentrò a quell'Alaimo da Lentini che avrebbe svolto un ruolo da protagonista durante la rivolta del Vespro e che era stato rimosso perché accusato "de excessibus et extorsionibus". Come giustiziere del Principato e della Terra di Benevento E. era preposto all'amministrazione della giustizia e al mantenimento dell'ordine pubblico, responsabile dell'osservanza delle leggi e delle costituzioni e garante dell'attuazione delle ordinanze sovrane. Il suo era uno dei più importanti uffici del Regno: lo resse per circa sei anni, sino all'aprile del 1280.
L'attività svolta durante il periodo in cui ricoprì quest'incarico è ampiamente documentata e testimonia della varia articolazione dei compiti che gli erano affidati. Si preoccupava per esempio di rimettere alla Curia regia i proventi delle collette, che garantivano un gettito fiscale ininterrotto nelle casse dello Stato; si interessava della costruzione di navi per la flotta regia e della difesa delle coste; dava il consenso necessario al matrimonio fra esponenti della classe feudale; si adoperava per frenare l'avidità degli ufficiali preposti alla esazione delle collette generali. E quando il sovrano decise di impiantare a Manfredonia un grande frutteto, E. si diede da fare per inviare in Capitanata alberi "pirorum Sancti Reguli, pomorum de Damasco, cerasorum, pirorum muscatellorum, avellanorum longarum rubearum".
Intanto, nel 1276, E. restituì alla Curia il castrum di Laino; in cambio gli venne concessa "terram Brahalle", vasta zona della Calabria settentrionale ai piedi del Pollino, e certi beni confiscati a taluni traditori in Castrovillari. L'anno successivo, dopo aver rimesso "in manibus Curie" il territorio suddetto, otteneva "terras Rocce Gloriose et Sanse", situate nella regione in cui svolgeva il suo mandato di giustiziere. Si trattava, com'è evidente, di un progressivo accrescimento del patrimonio immobiliare di cui era beneficiario, accrescimento da porsi in rapporto con il continuo dilatarsi della sua autorità e del suo prestigio. L'essere diventato, in quegli stessi anni, "familiaris" del re, vale a dire componente della ristretta cerchia dei consiglieri del sovrano, testimonia un decisivo rafforzamento del suo peso politico e chiarisce le ragioni della sua nomina a vicario generale di Sicilia, carica assegnatagli da re Carlo il 10 apr. 1280.
Nello stesso giorno il sovrano inviò al nuovo vicario alcuni capitula contenenti le direttive di governo per assicurare la corretta amministrazione di quella che era una delle zone più calde del Regno e i provvedimenti presi per garantire ad E. i diritti e i privilegi corrispondenti al rango dell'ufficio che ricopriva. Due erano i compiti che E. doveva considerare prioritari: la vigile difesa delle coste dell'isola, nell'intento di evitare attacchi di pirati o di nemici del sovrano, ed una attiva politica fiscale, tesa ad assicurare un flusso costante di denaro alla monarchia.
Come vicario generale di Sicilia, E. aveva alle sue dipendenze un contingente armato di 25 cavalieri e 150 scudieri, il cui mantenimento costava ogni anno alla Regia Curia ben 4.900 onze. Gli erano stati assegnati inoltre due giudici, un notaio agli atti e due scrivani.
Quali siano state le capacità dimostrate da E. come vicario di Sicilia non ci è dato precisare a causa della frammentarietà e del silenzio delle fonti. Secondo il giudizio, certo non imparziale, di Michele Amari, egli va annoverato fra quegli "oscuri ministri di pessimo principe, non segnalatisi né anco per iniquità che passasse la volgare". Certo è che la rivolta antiangioina del Vespro, scoppiata a Palermo il 31 marzo 1282, lo colse di sorpresa. Si disse che egli non si fosse dimostrato all'altezza della situazione: "nihil cogitabat de futuris eventibus", scrive infatti Bartolomeo da Neocastro, sottolineando appunto che il vicario non fu in grado di valutare la gravità di quanto stava accadendo, né di prevedere in alcun modo il successivo evolversi degli avvenimenti ed ovviarvi. Fallito il tentativo di fermare i rivoltosi e disperso il contingente che aveva inviato a presidiare Taormina, E., che risiedeva a Messina, abbandonò la Sicilia solo quando la città, la cui universitas era di provata fede filoangioina, aderì sul finire di aprile all'insurrezione. Ebbe salva la vita perché si era impegnato ad allontanarsi definitivamente dall'isola per recarsi direttamente in Francia. Partito da Messina, sbarcò invece sulla costa calabrese, a Catona, dove si incontrò con Pietro Ruffo di Calabria. E. cercò più volte, ma senza esito, di riconquistare Messina: non riuscirono a capovolgere la situazione né i 200 balestrieri inviatigli il 16 giugno da Carlo d'Angiò, né la fortunata spedizione nella piana di Milazzo, che il 26 dello stesso mese consentì alle forze angioine di infliggere una dura sconfitta ai rivoltosi.
Dopo questa data la partecipazione attiva di E. alla lunga guerra del Vespro sembra sia stata episodica e saltuaria. Il 26 sett. 1283 appare di nuovo investito della sua antica carica di giustiziere di Principato. A lui re Carlo inviò il 29 dicembre successivo una accorata lettera nella quale chiedeva che conti, baroni, cavalieri e feudatari del territorio di sua competenza fornissero senza alcuna riserva il dovuto servizio militare, più che mai necessario per ricondurre all'obbedienza l'isola ribelle. Rimosso il 12 giugno 1284 da quell'incarico, E. venne nominato il 3 ottobre successivo giustiziere di Terra d'Otranto e infine giustiziere di Capitanata.
Mori il 3 ott. 1286 senza lasciare figli.
I suoi beni finirono sotto sequestro. Fallì infatti il tentativo messo in atto dalla moglie Agneta di occultare, e in modo anche assai fantasioso, il denaro, gli oggetti preziosi e la ricchezza che E. aveva accumulato durante la sua permanenza nel Regno.
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