Erboristeria
Il termine erboristeria, traduzione del francese herboristerie, a sua volta derivato del latino herbula, "erbetta", indica la raccolta delle piante, spontanee o coltivate, che trovano utilizzazione in medicina, ma anche in profumeria, liquoreria e nelle industrie dolciarie, e la preparazione e il commercio delle rispettive droghe, nel senso farmacologico della parola. Le droghe vegetali, adoperate fin dai tempi più antichi, sono ora di grande attualità, sia come droghe in toto, come tali o sotto forma di estratti e derivati, sia come fonte di principi attivi da usare purificati, come i farmaci di sintesi. A differenza del passato, oggi esistono i presupposti per un impiego corretto, razionale e non più empirico delle droghe vegetali.
L'uso delle piante per ricavarne sostanze curative, antico quanto l'uomo, è rimasto a lungo circondato da una sorta di alone magico, in relazione alla generalizzata divinizzazione degli animali e delle piante, così come delle forze cosmiche, tipica delle prime fasi della civiltà. Nella mitologia greca, Apollo era l'esperto nella scienza dei farmaci e conoscitore delle erbe medicamentose, manifestando in questo la componente fondamentale della sua figura di dio purificatore, in grado di scatenare un'epidemia, ma anche di allontanare il male e salvare dalle pestilenze. Maestro nell'arte dell'erboristeria era il centauro Chirone, mite e saggio quanto gli altri centauri erano rozzi e violenti: teneva le sue lezioni in una grotta della Tessaglia, nelle vicinanze della quale aveva creato vasti giardini dove coltivava le erbe medicamentose delle quali conosceva ogni virtù. Ferito da Ercole con una freccia intinta nel veleno dell'Idra, il centauro riuscì a guarire fasciando la piaga con un'erba che da lui avrebbe preso il nome di centaurea (in realtà le piante che portano questa denominazione, il fiordaliso azzurro, Centaurea cyanus, o il purpureo fiordaliso centauro, Centaurea centaurium, non entrano nella fitoterapia vulneraria). Oltre ad Achille, educato dal centauro nell'arte di curare le ferite con le erbe, fu allievo della scuola di Chirone anche Asclepio, il nume della medicina greca che i romani venerarono poi con il nome di Esculapio: sono suoi segni distintivi il rotolo che rappresenta la conoscenza attraverso i libri, il fascio di papaveri, il bastone e il serpente che attorno a esso si avvolge. I greci attribuivano anche ad altre divinità un ruolo importante nella scoperta delle proprietà delle erbe medicinali: narrano le leggende che Artemide fece conoscere l'uso dell'artemisia (Artemisia absinthium) e Pallade della matricaria (Matricaria chamomilla), mentre Afrodite portò in dono ai greci tutte le erbe afrodisiache.
Sempre in ambito greco, Ippocrate, il cui insegnamento era destinato a influenzare tutto il pensiero romano e medievale, è prodigo di ricette erboristiche sul modo di debellare la febbre (terzo libro De morbis): in particolare, riconosce in vegetali come il cardo santo (Cnicus benedictus), la calaminta (Calamyntha nepeta), il convolvolo (Convolvulus arvensis), la capacità di eliminare gli umori cattivi dell'organismo. La medicina romana si basava più su regole igieniche che su prescrizioni farmacologiche; tuttavia la presenza di boschi intorno alla città e anche entro le mura, favorì la raccolta e la conoscenza di erbe e piante medicamentose. Si trattava di alberi di cipresso (Cupressus sempervirens), indicato per le malattie polmonari, l'augurale alloro (Laurus nobilis), considerato un elisir di lunga vita, e il frassino (Fraxinus ornus), dal cui latice rappreso si ricavava un unguento che veniva impiegato per le ferite. Plinio il Vecchio (1° secolo d.C.), nella Naturalis historia, descrive circa un migliaio di piante medicinali con le loro azioni farmacologiche. Alcune sue intuizioni sono sorprendenti: sostiene infatti che le cortecce di melograno (Punica granatum) e le foglie di lampone (Rubus idaeus) e di rovo (Rubus fruticosus) contengono un principio astrigente utile nelle malattie della bocca e dei denti e nella dissenteria, e ciò ha trovato conferma 1700 anni più tardi, negli studi di un chimico svedese contemporaneo di Linneo, K.W. Scheele, che isolò nelle stesse piante l'acido tannico, effettivamente indicato in tali patologie. Un trattato completo di farmacologia, che si avvale di conoscenze botaniche molto avanzate per l'epoca, è il De materia medica di Dioscoride (1° secolo d.C.), che ha costituito per lungo tempo il punto di riferimento di erboristi e farmacologi. Il più esperto medico erborista del mondo classico fu probabilmente Galeno (2° secolo d.C.): nel Ricettario, tradotto in volgare da Giovanni Saracino e pubblicato nel 16° secolo, si legge la descrizione delle piantaggini (Plantago lanceolata e Plantago maior) di cui ancora oggi si usano le foglie e i semi mucillaginosi e astringenti come depurativi, antinfiammatori e cicatrizzanti.
Il nome di Galeno è legato ai medicamenti preparati direttamente dallo speziale e ottenuti grazie alla trasformazione delle droghe naturali in composti somministrabili all'ammalato: il termine droga in farmacognosia (settore della farmacologia che studia i medicamenti di origine naturale, soprattutto vegetale) viene usato per indicare un prodotto naturale contenente uno o più principi attivi (come alcaloidi, glicosidi, oli essenziali, sostanze amare o anche soltanto aromatiche ecc.), il quale opportunamente trattato e conservato ha indicazioni terapeutiche. Il termine, che compare per la prima volta nel Lehrbuch der Materia Medica di A. Schmidt (pubblicato postumo nel 1811), è di origine incerta e forse deriva dall'olandese droog, "secco", legato al periodo delle grandi importazioni di spezie da parte della flotta dei Paesi Bassi; oggi questo vocabolo è usato per indicare gli stupefacenti e soltanto in farmacognosia viene utilizzato nella primitiva accezione più generale. Droghe sono anche le parti di piante aromatizzanti, come, per es., lo zafferano in cui la droga è rappresentata dagli stigmi e da una breve porzione dello stilo, cioè delle parti apicali del pistillo.
Un notevole sviluppo dell'erboristeria si ebbe nel Medioevo, epoca in cui molti di coloro che si dedicavano alle scienze e alle arti, per sfuggire alle guerre, trovarono rifugio nei conventi e presso le corti più illuminate. Nello stesso periodo, anche nel mondo arabo vi furono progressi in questo campo. Nel 754 fu aperta a Baghdad la prima farmacia pubblica in cui si selezionavano le piante medicinali e si preparavano i farmaci. Un medico arabo-siro del 9° secolo, Mesué il Vecchio, studiò il rapporto tra la conservazione e l'efficacia delle piante medicinali.
Anche la più antica istituzione medica del Medioevo, la Scuola Salernitana, della quale si hanno notizie fin dagli inizi del 10° secolo, ebbe un ruolo di primo piano nella scienza delle piante. Essa si propose di mettere a confronto la cultura dei classici, come quella di Galeno, con la realtà obiettiva derivata dalla verifica sperimentale. Per comprendere appieno il valore di questa istituzione, bisogna sottolinearne due aspetti: la presenza, nella tradizione e nella documentazione, di sapienti di diverse aree e culture, e inoltre il fatto che la medicina era esercitata da uomini e da donne e queste ultime erano particolarmente abili nelle preparazioni di rimedi a base di erbe.
Tra il 12° e il 13° secolo un grande impulso alla scienza sperimentale venne dato dal domenicano Alberto Magno (1193-1280), detto Albertus Teutonicus: le sue ricerche illuminarono molti campi dello scibile medievale con esiti interessanti anche nella farmacologia. Nel De virtutibus herbarum cercò di spiegare l'azione dei principi contenuti nelle piante, ponendosi il problema della correlazione con il terreno sul quale crescono.
Un contributo d'ampia portata diedero i viaggiatori che partirono per esplorare nuove terre, primo tra tutti il veneziano Marco Polo, che con il padre Niccolò e lo zio Matteo intraprese alla fine del 13° secolo il suo grande viaggio nel cuore dell'Asia. Il resoconto fu dettato da Marco mentre era prigioniero dei genovesi, i quali lo avevano catturato al suo ritorno da un soggiorno di 17 anni a Pechino, dove era stato ospite della corte. Pur non avendo specifici interessi botanici, Marco Polo riportò dai suoi viaggi notizie molto importanti sui vegetali: raccontò come avveniva la raccolta del pepe nero (Piper nigrum) e descrisse l'albero della canfora (Cinnamomum camphora) di Formosa e di Sumatra. Fu anche il primo europeo che vide una pianta di rabarbaro (Rheum palmatum, Rheum tanguticum), che illustrò minutamente. Al mercante fiorentino Francesco Balducci Pegolotti, che si recò in Asia Minore e a Cipro nella prima metà del 14° secolo, si devono le notizie sulla gomma adragante, un essudato che fuoriesce per fenditure naturali o prodotte artificialmente su varie specie di Astragalus, usata nell'industria farmaceutica e conciaria. Il genovese Geronimo di Santo Stefano vide, nei suoi viaggi in Asia, l'albero da cui si estrae la resina di benzoino (Styrax benzoin) tanto preziosa da essere un dono da sovrani, e Nicolò Conti, anch'egli veneziano, dalle sue peregrinazioni venticinquennali in Asia, portò notizie sull'aloe. Genova e Venezia erano al tempo i due più importanti centri di commercio delle droghe vegetali.
Nel Rinascimento, epoca di grande fervore culturale e creativo, si assiste a un vero e proprio risveglio nelle arti e nelle scienze, di cui si giova anche l'erboristeria. Cominciano a essere vagliati criticamente i principi di Plinio, Dioscoride e Galeno, e compaiono i primi veri erbari con immagini che illustrano, facilitandone la ricerca, i diversi tipi di piante. Uno dei personaggi più discussi dello scenario scientifico cinquecentesco è Paracelso; fondatore della chimica farmaceutica, chiarì alcuni aspetti della scienza, ma non sdegnò la magia e la negromazia. Tra le sue teorie più controverse vi è quella 'del segno', secondo la quale un buon medico, per curare i pazienti, doveva osservare la forma esterna delle piante medicinali, perché esse sono state 'segnate' dalla natura in modo da poter essere riconosciute dallo scienziato per le loro proprietà terapeutiche.
Nel Cinquecento molti sembravano dilettarsi a esercitare la scienza della preparazione dei farmaci e in prima linea c'erano i Medici, signori di Firenze. Anche Leonardo da Vinci si dedicò allo studio delle piante medicinali e alla preparazione di farmaci; nei sui scritti si trovano menzionate diverse droghe, come l'aloe (Aloe vera), lo zafferano (Crocus sativus) e l'asiatica curcuma, che rappresenta uno dei principali componenti del curry. Nel Codice Atlantico, Leonardo dà una ricetta a base di scorza di avellana (Corylus avellana), semi di ortica (Urtica dioica) e una saxifragacea, probabilmente il Ribes nigrum. Nasceva nel frattempo una nuova esigenza: fino al Cinquecento, gli erboristi avevano ricercato le erbe là dove la natura le aveva poste, e cioè nei prati, nei pascoli, nei campi. In quest'epoca, invece, vennero istituiti i primi veri orti botanici destinati all'utilità e allo studio di maestri e allievi. Uno di questi, rimasto ancor oggi nella sua sede, nella struttura architettonica originaria, fu creato nel 1545 presso l'Università di Padova per volontà del Senato veneto e grazie all'attività di Francesco Bonafede; un altro, quasi coevo, ma del quale non si conosce la struttura originale, fu fondato presso l'Università di Pisa, a opera dell'imolese Luca Ghini.
Nel Settecento molti sovrani furono prodighi di concessioni, relativamente alle preparazioni di medicamenti a base di erbe, nei confronti di conventi, monasteri e ordini religiosi. I carmelitani avevano una specie di esclusiva riguardo all'acqua di melissa (Melissa officinalis), i gesuiti detenevano il monopolio del commercio della china (Cinchona succirubra), i benedettini si erano specializzati in collutori e dentifrici a base di erbe. Questo secolo è noto anche per le pillole composte di materiale vegetale; ne sono un esempio quelle dell'anatomista Girolamo Fabrici d'Acquapendente, fatte di succo di aloe e di rose e messe poi ad asciugare al sole sotto un setaccio allo scopo di proteggerle dalle mosche. A tutti gli spadaccini era noto il 'balsamo del cavaliere di San Vittorio', dalle proprietà antisettiche e cicatrizzanti: a base di angelica (Angelica archangelica), iperico (Hypericum perforatum), aloe (Aloe vera), mirra (la gommoresina trasudante dalla corteccia delle varie piante dell'Arabia e dell'Africa del genere Commiphora, dotata di azione antisettica e astringente) e incenso (gommoresina che si ricava per incisione dai vari alberi del genere Boswellia), il balsamo era usato per la cura delle ferite.
L'erboristeria, in seguito, si avvalse della rivoluzione operata da Linneo nella classificazione dei vegetali (e degli animali), con la quale si stabiliva un ordinamento che permetteva una sicura identificazione basata sugli organi di riproduzione delle piante. In tale classificazione, Linneo introdusse la nomenclatura binomia, utilizzata ancor oggi, composta dal nome del genere e della specie.
1.
A partire dall'Ottocento si verificarono alcuni eventi che determinarono dei cambiamenti importanti nell'uso delle droghe vegetali. In primo luogo, l'enorme progresso della chimica fece sì che dalle droghe vegetali cominciassero a essere isolati i principi attivi: nel 1805 venne estratta la morfina dall'oppio, a opera di F.W. Serturner; P.-J. Pelletier e J.-B. Caventou isolarono, nel 1817, l'emetina dalle radici di ipecacuana (Uragoga ipecacuanha), nel 1818 la stricnina dalla noce vomica (Strychnos nux vomica), nel 1820 la chinina dalla china (Cinchona spp.), e così via. Dopo il loro isolamento, i principi attivi cominciarono a essere riprodotti per sintesi ed essere usati in terapia come tali; la disponibilità di principi puri presentava infatti grandi vantaggi rispetto all'uso della droga intera, perché consentiva di ottenere un effetto più costante, sicuro e intenso, e di standardizzare il dosaggio. Contemporaneamente, la chimica sintetica sperimentò la produzione di nuovi farmaci, molto spesso utilizzando a modello quelli naturali, come per es. la sintesi dell'acido acetilsalicilico, meglio noto con il nome di aspirina, operata intorno al 1897 sul modello della salicina, a sua volta isolata da M. Leroux, nel 1827, dalla corteccia di salice (Salix spp.). Ebbe inizio così per le droghe vegetali un lento processo di abbandono che si protrasse per decenni. Ne è un indice il fatto che il numero delle droghe vegetali presenti nella Farmacopea ufficiale si andò assottigliando sempre più fino a raggiungere un minimo storico nell'ottava edizione pubblicata nel 1972. Un processo di tale genere non si è verificato invece, o almeno si è verificato in maniera molto meno evidente, nei paesi emergenti, presso le cui popolazioni (che rappresentano la maggior parte della popolazione mondiale) l'uso dei rimedi vegetali ha sempre costituito e costituisce tuttora, per motivi economici, l'unica forma di terapia possibile.
Negli ultimi 20-30 anni del 20° secolo, si è assistito a una riscoperta delle droghe vegetali, le cui motivazioni possono essere ricercate nella constatazione degli effetti dannosi connessi con l'uso dei farmaci di sintesi, o anche in un generico desiderio di ritorno alla natura. Sta di fatto che attualmente l'uso delle droghe vegetali è molto diffuso, anche nei paesi industrializzati.
Le droghe vegetali, al di là del loro impiego come materiale di base per l'estrazione di principi attivi (morfina, atropina, chinina, vincristina, taxolo ecc.), vengono oggi largamente utilizzate, come tali o sotto forma di derivati, in svariati settori: in quello alimentare, come aromatizzanti e conservanti; in quello cosmetologico e dell'igiene personale, come deodoranti, antisettici, disinfettanti, astringenti ecc.; infine a scopo medicinale. Quest'ultimo assetto è sicuramente il più critico e pertanto richiede considerazioni approfondite. Anzitutto occorre precisare che le droghe vegetali, di impiego erboristico, possiedono in genere azioni blande e lente, e quindi non sono adatte a curare patologie ben definite e ad andamento acuto. Sono medicamenti per patologie minori, meglio se con componente psicosomatica; è questo un fatto da tenere presente in quanto l'uso improprio di un preparato erboristico può ritardare l'inizio di una terapia più efficace e, quindi, aggravare una patologia in fase iniziale. Inoltre, naturale non è affatto sinonimo di sicurezza, contrariamente a ciò che spesso si pensa. Le droghe vegetali, anche se ad attività blanda, possono procurare inconvenienti o avere in sé principi potenzialmente pericolosi: per es. i polisaccaridi, che sono contenuti nei preparati a base di fibre, possono dar luogo a interazioni farmacologiche, causando il ritardo dell'assorbimento di farmaci come i digitalici o gli anticoagulanti orali; le cumarine, che sono presenti in piante come la camomilla, possono provocare fenomeni di fotosensibilizzazione cutanea; gli alcaloidi pirrolizidinici, che sono propri di numerose specie delle famiglie Borraginaceae, Compositae ecc., possono risultare epatotossici. È chiaro quindi che le piante medicinali devono essere utilizzate razionalmente, facendo ricorso all'ausilio di persone competenti.
2.
Il rinnovato interesse per le droghe vegetali ha posto problemi per ciò che riguarda la sicurezza d'impiego dei preparati erboristici. Considerando che si tratta di sostanze dotate di un'azione blanda, il rapporto rischio/beneficio deve essere tutto e decisamente orientato verso un pericolo trascurabile. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), tenendo conto dell'uso a livello mondiale dei preparati a base di piante medicinali, ha stabilito che essi debbano rispondere a requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia terapeutica. Non a caso la qualità e la sicurezza sono state anteposte all'efficacia terapeutica, in ottemperanza al detto ippocratico primum non nocere.
Come già rilevato, le droghe vegetali possono contenere principi tossici o comunque capaci di indurre effetti indesiderati, ma oltre a questa tossicità che possiamo definire intrinseca, ne esiste un'altra che può derivare da contaminazioni esterne, casuali o dovute a frode. La droga vegetale può, per es., essere stata scambiata con un'altra morfologicamente simile (la genziana con proprietà amare con il veratro contenente principi cardioattivi); oppure può non essere stata raccolta con cura e quindi contenere parti estranee della pianta stessa o parti di altre piante; oppure possono essere stati aggiunti, in maniera fraudolenta, farmaci di sintesi molto attivi (analgesici-antinfiammatori, benzodiazepine, diuretici ecc.); o, infine, la droga può contenere inquinanti ambientali. Tali fattori possono rendere una droga di bassa qualità o addirittura tossica; essi assumono una particolare rilevanza, se si considera che la maggior parte delle droghe vegetali che noi utilizziamo vengono importate da paesi in cui per diversi motivi la possibilità di contaminazioni è piuttosto elevata.
L'organo ufficiale deputato a definire gli standard di qualità e sicurezza delle droghe vegetali è la Farmacopea ufficiale dei vari paesi; la Farmacopea ufficiale italiana, ormai giunta alla decima edizione, nelle monografie dedicate alle singole droghe e ad alcuni loro preparati stabilisce quali siano i requisiti di qualità e sicurezza, nonché i metodi sperimentali per verificarli. In particolare definisce, per ogni droga in essa iscritta, le caratteristiche macro- e microscopiche utili per il riconoscimento; il grado di purezza; la quantità di principi attivi o principi di riferimento; il contenuto limite della carica microbica, dei residui di pesticidi, di metalli pesanti (piombo, cadmio e mercurio), di elementi radioattivi (cesio-134 e cesio-137) e di aflatossine (micotossine ad azione epatotossica ed epatocancerogena prodotte da muffe del genere Aspergillus). È opportuno sottolineare tuttavia che molto lavoro rimane ancora da fare nel settore del controllo di qualità poiché, nonostante gli indubbi progressi realizzati, non tutte le ditte che commercializzano droghe vegetali si sono allineate con quanto suggerito dalla Farmacopea ufficiale.
L'efficacia terapeutica è senza dubbio l'aspetto più difficile da verificare riferendosi a quelle droghe vegetali che costituiscono i preparati erboristici. Come già accennato precedentemente (v. sopra), si tratta in genere di azioni blande, che si manifestano dopo trattamenti ripetuti: di conseguenza per la loro verifica non si prestano i modelli sperimentali di laboratorio messi a punto allo scopo di valutare effetti acuti e misurabili, quali quelli dei farmaci di sintesi o dei principi attivi purificati. L'esperienza farmacologica potrebbe essere superata da quella clinica, condotta in condizioni controllate; allo stato attuale, però, anche gli studi clinici sono piuttosto scarsi. Ciò nonostante, il rinnovato interesse per le droghe vegetali incoraggia a sottoporle a esperienze cliniche controllate: infatti la dimostrazione scientifica dell'attività biologica, anche se blanda, e l'eventuale isolamento dei principi attivi consentirebbero alle droghe vegetali di entrare a far parte della medicina ufficiale, di cui l'erboristeria può essere considerata l''anticamera'.
3.
La difficoltà di stabilire l'efficacia terapeutica dei preparati a base di piante medicinali, e quindi di collocarli nell'armamentario terapeutico, pone problemi legislativi, soprattutto per quanto concerne l'autorizzazione all'immissione in commercio. Il criterio che si può adottare in questi casi è quello di basarsi su un impiego tradizionale che sia consolidato, sostenuto da dati di letteratura; del resto la Direttiva CEE 65/65 prevede un iter semplificato per la registrazione dei farmaci naturali, qualora si possa far riferimento in modo dettagliato alla letteratura scientifica pubblicata.
In linea con questo principio il Ministère de la Santé publique francese, per es., ha raggruppato le droghe vegetali in categorie di impieghi tradizionali collaudati; ha stabilito inoltre che ai fini dell'autorizzazione alla loro immissione in commercio è possibile utilizzare un iter semplificato, allegando come documentazione scientifica soltanto alcune prove di tossicità effettuate nel piccolo animale. I preparati a base di piante ai quali sono riconosciuti effetti benefici, anche se blandi, vengono distribuiti soltanto in farmacia.
La situazione italiana si presenta diversa e attualmente in evoluzione. I prodotti contenenti principi vegetali vengono considerati specialità medicinali a tutti gli effetti, quindi con obbligo di registrazione e di vendita in farmacia, quando ne viene dichiarato lo scopo terapeutico. Non esiste una procedura di registrazione abbreviata, nonostante sia possibile, nel caso di costituenti noti, ricorrere a dati presenti nella letteratura per l'allestimento del dossier di registrazione. Le piante medicinali, come pure i loro preparati e alcuni loro derivati, possono essere invece liberamente venduti nelle farmacie e nelle erboristerie, qualora non venga dichiarato alcuno scopo terapeutico; in questa evenienza essi si configurano alla stregua di integratori dietetici. Le piante che contengono principi con un'azione farmacologica ben definita, o che siano potenzialmente tossici, possono essere vendute soltanto in farmacia.
Al momento è in discussione in parlamento un disegno di legge finalizzato a regolamentare il settore dell'erboristeria e a sostituire la legge attualmente in vigore risalente, pur con diverse modifiche, al 1931. Secondo questo progetto di legge, le droghe vegetali possono essere distinte in due gruppi: uno costituito da piante vendibili soltanto in farmacia e uno comprendente quelle che possono essere usate per prodotti erboristici e vendibili anche in erboristeria. Vengono, inoltre, definiti i compiti dell'erborista, nonché i requisiti richiesti per l'esercizio di questa funzione. L'erborista, oltre che vendere le droghe come tali, può miscelarle, trasformarle e lavorarle per la produzione di prodotti erboristici da vendere al pubblico, previa autorizzazione, che deve essere rilasciata dall'organo competente della regione di appartenenza. L'erborista può fornire inoltre informazioni ai consumatori relativamente all'uso dei prodotti in vendita, oppure fornire una documentazione illustrativa delle proprietà specifiche dei prodotti stessi. L'esercizio dell'attività commerciale di erborista è soggetto ad autorizzazione: mentre finora era richiesto un generico diploma di erborista, che poteva essere conseguito anche in maniera piuttosto rapida e semplice, il progetto attuale prevede che l'erborista sia in possesso o del diploma universitario in Tecniche erboristiche, o della laurea in Farmacia o in Scienze biologiche o in Scienze agrarie o in Chimica e tecnologia farmaceutiche.
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