Bentivoglio, Ercole
Nacque a Bologna il 15 maggio 1459 da Sante, signore della città, e da Ginevra Sforza. A tre anni il padre lo mandò a Firenze, presso i Medici, e da allora si tenne sempre lontano da Bologna, forse anche in conseguenza della morte precoce del padre (1463) e delle nozze di Ginevra con Giovanni Bentivoglio.
Rivoltosi al mestiere delle armi, entrò dapprima al servizio di Lorenzo de’ Medici, partecipando nel 1486 alla guerra di Sarzana contro i genovesi. In questo periodo sposò Barbara di Marsilio Torelli, conte di Montechiarugolo.
Dopo la cacciata dei Medici da Firenze (1494), B. rimase al servizio della Repubblica e nel 1496 prese parte alla guerra contro Pisa, portando a termine con successo alcune azioni (B. è ricordato da M. nei Frammenti storici: 5 § 54, 6 § 23, 6 § 35). Fu quindi per qualche mese al servizio di Siena. Il 23 luglio 1497 passò a quello di Alessandro VI e, al comando di cento uomini d’arme, partecipò con il duca Valentino alla conquista della Romagna.
Nel 1502 B. fu nuovamente al servizio dei fiorentini e invano tentò di recuperare Arezzo ribellatasi. Il 1° maggio 1503 la Repubblica di Firenze gli affidò la carica di governatore generale delle milizie, con una provvigione di 1200 fiorini d’oro. Durante l’assedio di Pisa del 1504, completamente d’accordo in questo con il commissario di guerra Antonio Giacomini Tebalducci, B. si oppose al disegno del gonfaloniere Piero Soderini – sostenuto anche da M. – di deviare l’Arno presso Pisa, in modo da impedire ogni comunicazione tra la città assediata e il mare. Nonostante il parere contrario dei responsabili militari, Soderini insistette nel suo progetto: che risultò però vano e dovette essere interrotto.
Nel luglio del 1505, mentre guidava l’esercito fiorentino al soccorso di Piombino, B. decise di affrontare Bartolomeo d’Alviano che stava tentando di avvicinarsi a Pisa, sconfiggendolo presso Torre di San Vincenzo (17 luglio). La vittoria di San Vincenzo, che liberava d’un tratto Firenze dalla minaccia dell’Alviano, fu indubbiamente sopravvalutata dalla Signoria fiorentina e dallo stesso Bentivoglio. Questi propose ai Dieci di sferrare un colpo decisivo contro Pisa. La sua proposta fu tenacemente avversata nel Consiglio maggiore, dove non mancavano coloro che dubitavano delle sue qualità militari. Prevalse, tuttavia, il parere del gonfaloniere Soderini, favorevole alla proposta di B. (deliberata il 19 agosto). A tali fatti M. accenna in una lettera ad Antonio Giacomini Tebalducci del 27 agosto (Lettere, pp. 113-14). Il Segretario rimase presso l’esercito per tutta la campagna.
L’8 settembre B. era sotto le mura di Pisa: aperta con le artiglierie una larga breccia presso la porta Calcesana, lanciò le fanterie all’attacco della città. I fanti fiorentini fecero però una così cattiva prova che, dopo altri due tentativi, il 14 settembre B. decise di rinunziare all’impresa. Il governo fiorentino lo ritenne responsabile dell’insuccesso e nel 1506 fu privato della carica di capitano generale e successivamente licenziato.
B. conservò tuttavia la stima di M. che, al principio di quell’anno, pubblicato il primo Decennale, gliene aveva inviato in omaggio una copia. B., che si trovava allora a Cascina, ancora al servizio della Repubblica, mandò in risposta al Segretario fiorentino, il 25 febbraio, una lettera notevole per la consapevolezza della decadenza italiana: dopo aver lodato l’arte con cui erano stati illustrati i principali avvenimenti del decennio, esortava M. a continuare l’opera,
perché, se bene questi tempi sono stati e sono tanto infelici che el ricordargli rinova e acresce a noi altri dolori non picoli, pur c’è gratissimo che queste cose scritte in verità pervengano a chi verrà doppo noi [...] perché cognoscendo la mala sorte nostra de questi tempi, non ce imputino intieramente che siamo stati cativi perservatori dello honore e reputacione ittalica (Lettere, p. 117).
E B. concludeva con il triste presagio di tempi addirittura ancora peggiori,
parendome che a questa ultima ruina quel poco che ci resta concorra como a cosa desiderata: e certamente per quanto porta l’umano iudicio, non si pò sperare altro che male, se quello che salvò il populo d’Israel de le man de Faraone non ce apre in mezo questo fluttuante mare inopinata via a salvarse, como fu quella (Lettere, pp. 117-18).
Abbandonato il servizio dei fiorentini, B. passò a quello di Giulio II al seguito del duca d’Urbino. M. ebbe modo di incontrarlo nella legazione presso il papa tra l’agosto e l’ottobre 1506 (accenna a un lungo dialogo con lui nella lettera inviata da Perugia il 15 settembre). Risale a questo periodo un accenno a un non identificabile «scritto» dove, a proposito del numero di fanti da arruolare in ogni podesteria, «disse messer Ercole […] questo ordine vi ha a servire sempre in reputazione e qualche volta in fatto» (Cagione dell’Ordinanza, § 19).
Da questo momento si perdono le sue tracce. Morì probabilmente attorno al 1510.
Bibliografia: I. Nardi, Istorie della città di Firenze, 1° vol., Firenze 1888, pp. 272, 301, 305, 307-08; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna: parte terza, a cura di A. Sorbelli, in RIS2, 33.1, pp. 171, 180, 215, 236, 300, 337-38; Documenti inediti sulla famiglia e la corte di Alessandro VI, a cura di M. Menotti, Roma 1917, pp. 45, 100; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998, ad indicem; N. Machiavelli, Frammenti storici, in Id., Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, 2° vol., Roma 2010, pp. 915-52.
Per gli studi critici si veda: C.M. Ady, The Bentivoglio of Bologna, Oxford 1937 (trad. it. Milano 1967, pp. 157-59).