FERRATA, Ercole
Nacque a Pellio Inferiore (Pellio Intelvi in prov. di Como) nel 1610 da Giovan Pietro, "uomo di assai civile parentado" (Baldinucci [1681-1728], 1847 [indi: Baldinucci], p. 375) e probabilmente da una Baino di Pellio; suo nonno Ercole era un lapicida di Lanzo e sua zia Lucia Ferrata era moglie di Prassedilio Castellazzi, maestro di muro (Cavarocchi, 1976, p. 1 n. 1). Di salute cagionevole, fu ritirato dalla scuola dai genitori che speravano di potersene prendere maggiore cura. Il F. ben presto dimostrò una "grande inclinazione a cose di disegno" (Baldinucci, p. 376) e un parente del padre offrì la possibilità di sistemarlo presso il cognato, lo scultore Tommaso Orsolino, originario della stessa regione ma attivo a Genova: fu lo stesso Giovan Pietro ad accompagnare il figlio e a sistemarlo presso la bottega dello scultore.
Baldinucci (pp. 376 s.), che attinse notizie dalla sua viva voce, riferisce che il F., inizialmente entusiasta per quanto poteva apprendere dal maestro, ben presto si rese conto di quanto fosse dura la vita dell'apprendista a causa della disciplina rigorosissima cui era sottoposta.
Il F. rimase sette anni presso l'Orsolino durante i quali imparò a modellare, a scolpire e a rifinire, realizzando in piccoli blocchi di marmo copie ridotte dei lavori dei maestro, che "avendo loro spaccio per Francia e Spagna, eran d'ajuto al giovane per pagare la dozzina" (ibid., p. 377).
Ormai stanco di quella vita ed avendo sentito di nuove opportunità di lavoro, si imbarcò alla volta di Napoli, dove certamente già si trovava nel 1637, anno in cui firmò un'istanza alla corporazione degli scultori e marmorari (Rogadeo, 1901). Dopo alcuni mesi di malattia cominciò "a lavorare d'intaglio sopra i festoni, putti e Cherubini, ed altre simili cose: col qual lavoro ... convennegli mantenere sua vita assai poveramente" (Baldinucci, p. 378).
I primi lavori per le chiese napoletane di S. Maria della Sapienza e di S. Domenico Soriano già mostrano il F. gravitare nell'orbita fanzaghiana; nel 1641 ricevette pagamenti per due statue per l'altare maggiore della chiesa dell'Annunziata (D'Addosio, 1914, p. 844), andate perdute nel 1757 durante un incendio. L'altare fu commissionato a G. Finelli, nella cui bottega forse il F. lavorava, nel 1638 e venne eseguito con la collaborazione del Fanzago e di altri artisti minori; il F. scolpì le statue di S. Giuseppe e di S. Gioacchino (Nava Cellini, 1961, pp. 803, 805). Poco dopo, tra il 1641 e il 1646 (Fiorentino, 1984, pp. 190 s.), su commissione di Tommaso d'Aquino, eseguì la decorazione plastica della cappella di S. Diego d'Alcalà in S. Maria la Nova.
Qui gli stretti contatti con la ritrattistica del Finelli vengono ammorbiditi in una visione luministica più attenuata; interessanti sono i putti collocati ai lati dei ritratti, influenzati da quelli eseguiti da Fr. Du Quesnoy per l'altare Filomarino nella chiesa dei Ss. Apostoli, che già mostrano la predilezione del F. verso un indirizzo classicistico, desunto probabilmente da G. Mencaglia.
Problematica è l'attribuzione al F. del Ritratto di Carlo Maria Caracciolo, collocato nella cappella Caracciolo di Vico in S. Giovanni a Carbonara: un documento del 1643 (D'Addosio, 1914) attesta un pagamento di 100 scudi al F. per l'esecuzione della statua, ma l'alta qualità dell'opera e le forti affinità con la ritrattistica finelliana inducono a pensare ad un lavoro di collaborazione tra i due artisti (Nava Cellini, 1961, pp. 41-43; Fiorentino, 1984). Ancora documentato a Napoli nel 1645, anno M cui esegui uno stemma per G. Mastrilli nella chiesa del Purgatorio ad Arco (Mastrullo, 1979, p. 302), il F. si trasferì quindi a L'Aquila, chiamatovi da un mercante locale, F. Colantonio (sul soggiorno aquilano, poco studiato, si veda Baldinucci, p. 380; cfr. Leosini, 1848).
Durante il soggiorno aquilano il F. era stato alcuni mesi a Roma e, entro il 1647, vi si trasferì definitivamente: con "lettere di gran favore d'un padre della Congregazione dell'oratorio di San Filippo Neri" si presentò a monsignor V. Spada, il quale lo raccomandò al Bernini. Questi, già dal 1645 al lavoro con la sua bottega nella decorazione dei pilastri della basilica vaticana, evidentemente per provare le capacità del F. "immantiriente gli ordinò di fare un modello per uno di quei putti, che si veggono ne' pilastri di San Pietro, fino a quattro., due colla medaglia, e due colle chiavi" (Baldinucci, p. 380): soddisfatto del risultato, diede al F. i marmi per terminare le sculture. 1 suoi lavori non sono riconoscibili; la decorazione dei pilastrì, per cui esistono nell'Archivio della Fabbrica di S. Pietro pagamenti a trentasci scultori, terminò nel 1648 (Martinelli, in Bernini in Vaticano 1981, p. 117). Negli stessi anni (c. 1649) Bernini fece eseguire al F. un medaglione marmoreo raffigurante S. Francesca Romana, conservato nell'omonima chiesa (Baldinucci, p. 381; Pascoli [1730], 1992, pp. 329, 334 n. 11).
Mentre lavorava per Bernini il F. aveva avuto già modo di entrare nella scuola di A. Algardi e di diventame uno dei discepoli prediletti; nel 1648, quando Algardi aveva momentaneamente accettato di recarsi a Parigi, pensava di portare con sé il F. e D. Guidi (Passeri [1772], 1934, p. 210). Secondo il Baldinucci (p. 381), il F. fu impiegato dall'Algardi nel monumento funebre di Leone XI, ove avrebbe eseguito sia il modello sia la scultura in marmo della Liberalità, e nella grande pala marmorea con L'incontro di Leone I con Attila, dove avrebbe scolpito la figura di S. Pietro (l'intervento del F. non è accettato dalla critica moderna: cfr. Senic, 1978, pp. 90, 93, e Montagu, 1985, pp. 358-360, 435).
Tra il 1652 e il 1656 il F. partecipò alla decorazione della chiesa di S. Nicola da Tolentino. Il disegno dei complesso dell'altare maggiore e degli orriati della volta sono dell'Algardi, mentre le sculture (1652-53) e gli stucchi della volta e della tribuna (1656) spettano rispettivamente al F., al Guidi e a G. B. Ferrabosco (Montagu, 1970; Zandri, 1987). Nel 1654 era intanto morto l'Algardi, e il F., ormai divenuto uno scultore affermato (dal 1654 il suo nome compare nei libri delle Congregazioni dell'Accademia di S. Luca; nel 1666 sarà eletto principe), sembrò prenderne il posto come rappresentante del classicismo barocco.
Il suo stile, formatosi a contatto del naturalismo napoletano e quindi del Bernini, risentì sempre delle cadenze classicheggianti, ammirate già a Napoli nel Du Quesnoy (rivisto certamente con interesse nelle opere romane), e quasi impostegli dalla frequentazione della scuola algardiana; l'influenza del Berninì, inevitabile, nel F. è però sempre contenuta, spesso solo episodica. Già alla fine del sesto decennio aveva una propria bottega (prima del 1660 lavorava presso di lui M. Cafà; cfr. Preimesberger, 1973, p. 230), che ben presto si riempi di giovani apprendisti e divenne una delle più attive di Roma; presso di lui si formarono i maggiori scultori della generazione successiva, che, grazie anche all'attività di "imprenditore" dei maestro, ottennero sempre importanti commissioni.
Bene inserito nel giro delle commissioni romane, il F. lavorò molto per Bernini, ma anche per P. Berrettini o per il Rainaldi. Forse conscio della sua difficoltà "nell'invenzione" preferì spesso, soprattutto agli inizi, eseguire opere su disegno d'altri e anche in seguito utilizzò frequentemente idee grafiche dei suoi allievi (Baldinucci, p. 390).
Dall'inizio degli anni Cinquanta si susseguirono gli incarichi importanti: Bernini gli affidò le statue del Cardinale D. Pimentel, della Fede e della Sapienza nel monumento funebre di questo cardinale (1654-55) in S. Maria sopra Minerva e parte degli stucchi nella decorazione di S. Maria del Popolo (1655-58; Montagu, 1991, pp. 134-140); nella cappella Spada in S. Girolamo della Carità esegui i medaglioni con il Ritratto di Mutio Spada e il Ritratto di Antonello Spada, e la statua sdraiata di Bernardino Lorenzo Spada (1654, 1656-59; cfr. Heirnbürger Ravalli, 1977, e Papaldo, 1978). Alle dipendenze di Pietro da Cortona e in collaborazione con C. Fancelli lavorò agli stucchi che ornano la tribuna (1655-56), i pennacchi della cupola (1659-60) e la volta della navata (1662-65) di S. Maria in Vallicella (cfr. Montagu, 1991, pp. 78, 206 n. 9; la studiosa riconosce la mano del F. nella figura della Religione); suprogetto del Rainaldi esegui il monumento funebre del cardinale C. Bonelli (1657) in S. Maria sopra Minerva; a S. Giovanni dei Morentini scolpì la tomba di Ottaviano Acciaiuoli (morto nel 1659) a imitazione di quella di Ottavio Corsini dell'Algardi (Pascoli [1730], 1992, p. 329).
In tutte queste opere il F. si dimostra un fedele esecutore dei disegni fornitigli, mostrando anche una notevole capacità nell'adeguare il suo stile al compito fichiestogli; si riconosce tuttavia in lui la tendenza a smorzare i toni eccessivamente patetici e drammatici in nome di quell'idea di classicismo di cui era ormai a Roma il maggiore rappresentante.
R forse anche da sottolineare la particolare abilità dei F. nel preparare i modelli che dovevano essere fusi (cfr. Tratz, 1988, p. 413): va ricordato quello a scala ridotta del rilievo di Algardi raffigurante L'incontro di papa Leone I e Attila, che servi per la fusione in argento realizzata da Santi Loti, inviato in regalo a Filippo IV da Francesco Barberini nel 1659 (Montagu, 1971). Alla fine degli anni Cinquanta anche Bernini richiese spesso la sua opera: dal 1657 lavorò ai modelli per la cattedra di S. Pietro (cfr. Battaglia, 1943, pp. 12, 16 s., 19, 22, 26, 108, 130, 159, 161 s.; Bernini..., 1981, pp. 130 s.); nel 1658-59 realizzò, ancora su disegno del Bernini, i modelli del Cristo morto e del Cristo vivo per i crocifissi della basilica vaticana (Battaglia, 1942, pp. 7 s., 23 s.; Schlegel, 1981, pp. 37-42). Il 23 luglio 1660 il F. si impegnò ad eseguire, per S. Agnese in Agone, una delle pale d'altare progettate dall'Algardi, con il Martirio di s. Emerenziana, oltre alla statua di S. Agnese edue angeli sopra l'arco della stessa cappella.
La statua di S. Agnese tra le fiamme, ispirata al Du Quesnoy ma "aggiornata" sulla plastica berniniana, fu eseguita entro i termini di due anni previsti dal contratto, mentre il rilievo fu lasciato incompiuto e venne terminato dopo la morte dello scultore da Leopoldo Retti; nella stessa chiesa il F., insieme al De Rossi, completò dopo il 1669 anche il rilievo raffigurante Il martirio di s. Eustachio lasciato incompiuto dal Cafà (per i lavori in S. Agnese, cfr. Eimer, 1970).
Dall'agosto 1662 il F. lavorò alla statua di S. Caterina daSiena dacollocarsi nella cappella Chigi nel duomo di Siena. Vista la stretta osservanza dei canoni berniniani, è probabile che lo scultore lombardo seguisse un disegno del Bernini; gli ultimi pagamenti per l'opera sono del gennaio 1663 (Golzio, 1939, pp. 79 s.; cfr. anche Borghini, 1984). Nel 1668 fu incaricato di terminare la statua di Alessandro III, sempre per il duomo di Siena, iniziata dal Cafá nel 1665 (cfr. Borghesi-Bianchi, 1898; l'ultimo pagamento è del 1674). Nell'aprile del 1664 furono commissionate al F. due statue da collocarsi sulla facciata della chiesa di S. Andrea della Valle; per queste opere lo scultore doveva attenersi alle indicazioni del Rainaldi.
Per il S. Andrea apostolo e il S. Andrea Avellino utilizzò forse degli schizzi del Cafà, che gli consentirono di ottenere effetti di maggiore dinamicità e chiaroscuro; al F. spetta anche l'esecuzione dell'imponente angelo in alto a sinistra che raffigura la Fama (Pascoli, p. 336 n. 21).Dopo il 1665, su progetto del Bernini, il F. scolpì l'Elefante collocatonel 1667 in piazza della Minerva con sopra l'obelisco rinvenuto presso S. Macuto (Calvesi, 1989). Ancora seguendo precise indicazioni grafiche del Bemini, alla fine del 1668 iniziò a lavorare all'Angelo con la croce, collocato su ponte S. Angelo nel novembre 1669. La statua, dal ricco e mosso panneggio realizzato a pieghe parallele, si adegua abbastanza pedissequamente, ma con stile più pesante e prosaico, all'originaria idea berniniana documentata da un disegno di scuola (La via degli angeli..., 1988, pp. 67 s.; Montagu, 1991, pp. 142 s.).
Nel 1669 si trovava già al suo posto in S. Giovanni dei Fiorentini la bella statua della Fede, dall'espressione estatica e vagamente sentimentale, commissionata al F. nel 1665 (Salerno-Spezzaferro-Tafuri, 1973, p. 249; Barberini, 1991, pp. 53 s.). Ancora al F., nel 1669, toccò completare un'altra opera lasciata incompiuta dal Cafá: la scultura raffigurante S. Tommaso da Villanova e la Carità in S. Agostino (cfr. Preimesberger-Weil, 1975). L'intervento del F. ebbe un effetto normalizzatore: l'inserimento della classicheggiante Carità sembra quasi trattenere le figure immateriali ma caratterizzate ed espressive del Cafà.
Un'altra Carità venne scolpita dal F. per il monumento funebre di papa Clemente IX in S. Maria Maggiore; l'opera fu commissionata nel 1671 da Clemente X al Rainaldi, che era già impegnato nei lavori progettuali dell'abside (Pascoli, 1992, pp. 330, 336 n. 30). La notizia del Pascoli (ibid., p. 329), secondo la quale spetta al F. il monumento a Giulia Ricci Paravicini (morta nel 1672) in S. Francesco a Ripa, non ha trovato alcun riscontro documentario, ma sembra accettabile sul piano stilistico (cfr. A. Menichella, S. Francesco a Ripa..., Roma 1981, p. 75). Sempre su base stilistica gli viene attribuita una Santa sulla facciata di S. Maria dei Miracoli (Petraroia, in Le statue berniniane..., 1987, p. 248 fig. 82).
Tra il 1679 e il 1683 il F. collaborò con il Guidi per l'esecuzione delle sculture destinate alla decorazione della cappella commemorativa del cardinale Federico di Assia-Darmstadt vescovo di Breslavia, nella cattedrale della città (Bershad, 1976; Pascoli, p. 330). Alla fine del 1682 venne affidata al F. e a scultori a lui vicini l'esecuzione del monumento di Clemente X in S. Pietro. Il disegno della struttura architettonica e la messa m opera si devono a M. De Rossi; il F. eseguì la statua del papa assiso in atto benedicente. La tomba, commissionata da P. Altieri, fu terminata nel 1684 (cfr. Menichella, 1985). Al F. viene anche attribuito il monumento sepolcrale di G. G. Slusio (morto nel 1686) nella chiesa di S. Maria dell'Anima (Baldinucci, p. 383; cfr. anche Pascoli, pp. 329 s., 336 s. n. 27).
Il F. morì a Roma l'11 luglio 1686 e venne sepolto nella chiesa di S. Carlo al Corso.
La pubblicazione dell'inventario dei suoi beni (Golzio, 1935) dà un'idea dell'importanza del suo "studio", per la gran quantità di oggetti d'arte che vi erano conservati, sui quali s'istruivano i giovani apprendisti e che servivano anche come modello di nuove opere.
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