ERCOLE I marchese d'Este, secondo duca di Ferrara, Modena e Reggio
Figlio legittimo del marchese Nicolò III e di Ricciarda di Saluzzo (terza moglie di Nicolò), nacque il 26 ottobre 1431, e fu proclamato duca il 20 agosto 1471, alla morte del fratello Borso. Travagliata era stata fino allora la sua vita per le gelosie tra fratelli in ordine alla successione. Nel 1445 il marchese Lionello (succeduto al padre Nicolò) lo mandava per questo a Napoli, e colà E. rimase fino alla morte di re Alfonso (1458). Poi, guastatosi con re Ferdinando, passò al servizio del suo rivale Giovanni d'Angiò. Richiamato nel 1463 dal fratello Borso (successo a Lionello) e destinato alla successione (gli fu affidato il governo di Modena), prese parte alla spedizione dei fuorusciti fiorentini contro i Medici, sovvenzionata da Venezia dalla quale era stipendiato, e fu ferito a Molinella (1467). La sua successione fu insidiata da Nicolò, figlio del marchese Lionello, che nel 1476 (1° settembre) nell'assenza di E. s'impadronì di Ferrara, ove poi, messo in fuga e preso, fu giustiziato. In questa mossa avrebbe avuto mano anche Venezia, per gelosia dei rapporti che E. aveva stretti con il re di Napoli, sposandone (1473) la figlia Leonora. Con questo atto E. iniziava un politica di conciliazione per legarsi i vari principi italiani, dimenticando i rancori privati; così nel 1477 stabiliva il matrimonio del suo primogenito Alfonso con Anna Sforza, figlia di Galeazzo Maria e Bona; nel 1480 fidanzava a Francesco, figlio del marchese di Mantova, la figlia Isabella e nello stesso anno a Lodovico il Moro prometteva la figlia Beatrice.
Non facile era la sua posizione tra la gelosa sorveglianza di Venezia e l'alta sovranità papale, mentre un'accanita lotta d'interessi e intrighi si svolgeva in Italia. Nel 1478, scoppiata dopo la congiura dei Pazzi la guerra del papa e di Napoli contro Firenze, E. fu creato comandante delle milizie fiorentine e milanesi contro il suo stesso cognato Alfonso duca di Calabria; posizione equivoca e non adatta al compimento di serie imprese militari. Fatta la pace, E. si trovò trascinato alla guerra con Venezia e il papa (1482): con la prima, per le pretese, sempre maggiori del Visdomino veneziano in Ferrara, di giurisdizione sui Veneti, di controllo sul sale, ecc.; con papa Sisto IV, per eccitazione del nipote Gerolamo Riario, osteggiato da E. nelle sue imprese in Romagna. Si formò subito una controlega in aiuto di E. per opera di Napoli, Firenze, Milano, Bologna e Mantova; ma i Veneziani riuscirono a occupare il Polesine e a minacciare Ferrara; e quando, uscito il papa dalla lega con Venezia, grazie ai soccorsi arrivatigli da Napoli, E. poteva sperare di riavere il perduto, Lodovico il Moro, sospettoso di manovre aragonesi ai suoi danni, faceva improvvisamente pace a Bagnolo con Venezia (7 agosto 1484), pattuendo l'abbandono del Polesine. E. dovette rassegnarsi. Anche senza nuove guerre il resto della vita di E. fu assai travagliato, benché con la sua abilità (che può talora sembrare doppiezza) sapesse restare sempre estraneo alle guerre che dal 1494 insanguinarono l'Italia. A sua lode va detto che si adoperò per impedire la spedizione di Carlo VIII. Fin dal 1492 cercò di metter pace tra Lodovico il Moro (suo genero) e Ferdinando di Napoli (suo suocero), benché s'inducesse nel 1493 a entrare nella lega di Roma, Venezia e Milano. Venuto Carlo VIII iu Italia (1494), E. tenne un contegno neutrale: alle truppe milanesi e napoletane che si battevano in Romagna forniva indifferentemente viveri; presso il re Carlo mandava a prestare servizio il secondogenito Ferrante; formatasi nel marzo 1495 la lega contro Francia, egli rifiutava la sua adesione, e cercava di ottenere a re Carlo un libero ritorno in Francia: ma, occupata dai Francesi Novara, e apertesi le ostilità, mandava il primogenito Alfonso a servire con 150 uomini d'armi nell'esercito milanese, sicché nella battaglia di Fornovo si batterono nei due campi i suoi due figli. Eppure il re di Francia lo nominava mediatore per la pace con la lega e per la restituzione di Novara, come l'unico principe italiano sans trahison. E. infatti fissò l'accordo e accompagnò il re sino a Lione, ricevendo in deposito il Castelletto e la cittadella di Genova, da restituire dopo l'esecuzione dei patti. Nel 1499 E., per incarico di Venezia, Milano e Firenze, trattò un accordo per Pisa assediata da Firenze, col solo risultato che Venezia abbandonasse Pisa a sé stessa. In quell'anno le milizie di Luigi XII re di Francia invadevano il Milanese, ed E., che aveva cercato di stornare dal capo del genero la procella, si affrettava a Milano per fare omaggio al sovrano e salvare al suo terzogenito Ippolito l'arcivescovado di Milano. Altri guai lo minacciavano in Romagna, dove Cesare Borgia con truppe papali e francesi maltrattava le sue terre: contemporaneamente Alessandro VI offriva per il figlio di E. Alfonso, rimasto vedovo, la mano della figlia Lucrezia, che giunse sposa a Ferrara il 2 febbraio 1502 tra grandi feste. Morto Alessandro (1503) e succedutogli Giulio II, nel 1504 E. fu dal papa invitato a entrare nella lega che si era stabilita contro Venezia con Francia e l'Impero, un preludio di quella di Cambrai, ma pochi mesi dopo E. moriva, il 25 gennaio del 1505. Da Leonora d'Aragona (morta nel 1493) ebbe cinque figli: Alfonso I che gli successe nel ducato, Ferrante, morto in prigione (1540), perché implicato nel 1506 nella congiura di Giulio d'Este, Ippolito, card. e arcivescovo di Esztergom in Ungheria, Milano, Capua e Ferrara (morto nel 1520), che ebbe per segretario l'Ariosto che gli dedicò l'Orlando, Sigismondo, e le figlie, Isabella, la celebre marchesa di Mantova (morta nel 1539) e Beatrice, duchessa di Milano (morta nel 1497). Inoltre, il bastardo Giulio sopra ricordato. E. fu un sovrano benefico e munifico; ingrandì Ferrara aggiungendovi la cosiddetta addizione erculea: amante di vita splendida e raffinata, fece rappresentare commedie di Plauto e Terenzio, ebbe a corte M. M. Boiardo, e gli fu segretario il poeta Antonio Tebaldeo.