PATTI, Ercole
PATTI, Ercole. – Nacque a Catania il 16 febbraio 1904 da Luigi, avvocato, e da Mariannina Nicolosi, proprietari terrieri originari del paese etneo Trecastagni. Oltre ai fratelli minori, Vito e Lalla, gli fu caro lo zio poeta, Giuseppe Villaroel, che lo iniziò agli interessi letterari e lo introdusse, adolescente, all’interno degli ambienti colti siciliani.
Patti ebbe da subito una vita intensa di incontri e viaggi, e una precocissima vocazione letteraria, con due punti fermi imprescindibili nella sua biografia e nei suoi libri: Catania e Roma.
A dieci anni entrò a malincuore nel collegio gesuita Pennisi di Acireale; presa la licenza liceale, decise di laurearsi in giurisprudenza per assecondare i desideri del padre, purché gli venisse concesso di passare sei mesi all’anno a Roma, dove si sarebbe dedicato all’attività di scrittore e dove riscosse prestissimo un inaspettato successo, come rivela nell’autobiografico Roma amara e dolce (Milano 1972).
A 15 anni il Corriere dei piccoli, diretto da Silvio Spaventa Filippi, gli pubblicò un primo breve racconto, scritto durante la convalescenza dalla febbre spagnola, Il chiodino, per cui ottenne un compenso di 25 lire. Uscirono sue novelle per il Giornalino della domenica di Vamba e per il Pungolo di Napoli. Patti incrementò le sue letture ed ebbe modo di conoscere, grazie allo zio, Vitaliano Brancati, Luigi Pirandello, Pier Maria Rosso di San Secondo e, nel 1920, l’amatissimo Giovanni Verga. Sempre in quegli anni collaborò, inoltre, anche al supplemento letterario mensile del Giornale dell’isola (1919-23) in cui, nel 1921, uscirono due brani poi pubblicati in La storia di Asdrubale che non era mai stato a Bellacittà (Milano 1921), racconto umoristico illustrato da Mario Bazzi.
A Roma giunse appena diciassettenne: innamorato del centro storico, degli odori dei vicoli, delle fanciulle romane – quelle «ragazze, necessarie, alla vita come l’aria, la luce, il pane» (E. Patti, Quartieri alti, Milano 1973, p. 195) –, iniziò a frequentare la mitica terza saletta del Caffè Aragno e il Caffè Greco, dove strinse amicizia con Vincenzo Cardarelli, Bruno Barilli, Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Ardengo Soffici: «L’aria leggera e un poco frizzante di Roma coi suoi giornali con le firme degli scrittori famosi che abitavano vicino e che desideravo conoscere, mi dava come una leggera ebbrezza e mi spingeva a lavorare» (Roma amara e dolce, cit., p. 24).
Accolto in una testata romana, Il Piccolo, supplemento del Giornale d’Italia, vi pubblicò un elzeviro dedicato a Una giornata primaverile al Pincio (1921). Fu poi la volta di una novella, Le signorine di Ponteulivo, nel Giornale d’Italia, cui seguirono diverse altre collaborazioni a quotidiani e riviste: nella terza pagina del Nuovo Paese, diretto da Soffici, uscirono le novelle che avrebbero composto il suo primo libro, Il paese della fanciullezza (Roma 1924). Da una di esse, La giostra, nel 1923 Patti trasse l’atto unico grottesco e pirandelliano, Il carosello, messo in scena il 9 aprile al teatro degli Indipendenti, diretto da Anton Giulio Bragaglia, che riscosse pubblicamente le lodi di Savinio.
Nel luglio 1925, ottenuta la laurea in diritto internazionale, sciolse il debito nei confronti del padre ma, come lo zio Giuseppe anni prima, anche Patti abbandonò la professione forense per dedicarsi interamente alla scrittura e far ritorno a Roma, nel 1926, dove lo attendevano i siciliani Brancati, Antonio Aniante (Antonio Rapisarda) ed Elio Vittorini. Qui, accolto fra i collaboratori del Tevere, diretto da Telesio Interlandi – che gli affidò anche il settimanale umoristico Il Caffè –, tenne con successo per quattro anni una vivacissima rubrica quotidiana di costume e cronaca, firmata con lo pseudonimo dickensiano Il signor Pott, le cui prose furono poi raccolte in volume con il titolo Due mesi di vita di un giovanotto (Napoli 1933). Di lì alla prima pagina il passo fu breve. Iniziò pure il decennio dei lunghi viaggi nel mondo: primo Paese su incarico del Tevere fu l’India, nel 1930. Fu quindi la volta di Giappone, Russia, Turchia ed Egitto, per la Gazzetta di Ermanno Amicucci, cui dedicò la raccolta di servizi fatti in Oriente (Ragazze di Tokio. Viaggio da Tokio a Bombay, Milano 1934; poi, ampiamente rivisto, con il titolo Un lungo viaggio lontano, 1975).
Nel gennaio 1931 Giornale dell’isola e Corriere di Sicilia si fusero nel nuovo Popolo di Sicilia, fascista, diretto da Piero Saporiti, presso cui era convogliata gran parte della intellettualità siciliana, fra cui lo stesso Patti, che aveva preso a stendere per la Gazzetta del popolo anche pezzi di costume sull’Italia ‘snob’ cittadina e vacanziera, che confluirono nel gustosissimo volume Quartieri alti (Roma 1940, 1941; Milano 1943) e nell’omonimo adattamento cinematografico (1945), sceneggiato insieme con Renato Castellani, Stefano Vanzina (Steno) e Mario Soldati, che ne firmò la regia. La stessa testata gli affidò nel 1934 anche il Giro d’Italia. Nel 1936, inviato a Gibuti a seguire l’impresa etiopica, assisté alla fuga del negus Hailé Salassié e al ritiro degli inglesi, che racconta dettagliatamente in Roma amara e dolce (cit., pp. 58-72).
Collaborò, inoltre, con Il Popolo d’Italia ma, per non doversi compromettere con il regime, si occupò solo di critica cinematografica e del notiziario settimanale, con lo pseudonimo di PAT. Tenne rubriche cinematografiche anche per Tempo ed Europeo e collaborò a numerose altre testate, fra cui Giornale d’Italia, Omnibus, Il Messaggero, Il Mondo, La Stampa, Corriere della sera, Il resto del Carlino, Risorgimento liberale.
Frattanto, sulla metà degli anni Trenta, s’era manifestato per Patti l’interesse per la sceneggiatura. Spesso in coppia con Ivo Perilli e altri colleghi, sceneggiò le prime commedie all’italiana di Mario Camerini.
Lavorò su Darò un milione (1935) dal soggetto Buoni per un giorno di Cesare Zavattini e Giacinto Mondaini, interpretato da Vittorio De Sica e Assia Noris; su Il cappello a tre punte per i fratelli de Filippo (1934) sulla riduzione cinematografica di Ma non è una cosa seria di Luigi Pirandello (1936) con Mario Soldati. Negli anni Quaranta sceneggiò, assieme ad altri, molti film di Alfredo Guarini: Senza cielo (1940), È caduta una donna (1941), Documento Z3 (1942), con Isa Miranda. Si cimentò anche come soggettista e firmò con Brancati, Sandro De Feo, Augusto Genina, Ivo Perilli, Mino Maccari e altri Tre storie proibite di Augusto Genina (1952); scrisse Un incidente a Villa Borghese (1953) per il film a episodi Villa Borghese di Gianni Franciolini, di cui fu pure sceneggiatore assieme a Ennio Flaiano, Age, Scarpelli e altri; nel 1961 lavorò sul film di Alessandro Blasetti Io amo, tu ami.
Patti fu badogliano e antifascista dichiarato. Questo gli costò, dal 1° ottobre 1943, tre mesi di carcere a Regina Coeli, dove incontrò Sandro Pertini, Giuseppe Saragat (scambiato per Nenni e arrestato in sua vece), Silvio D’Amico, i membri del Gran Consiglio. Seguì un periodo nel carcere di San Gregorio, ottenuto per intercessione di Mario Missiroli, poi la liberazione e una fase di latitanza sotto il falso nome di avv. Giuseppe Berardi. In realtà tante furono le concause del suo arresto: Patti, ‘traditore badogliano’, aveva salutato con sollievo la caduta del fascismo e scriveva pezzi polemici nel Popolo di Roma, diretto da Corrado Alvaro fra luglio e l’8 settembre; inoltre aveva criticato la diva Doris Duranti, particolarmente cara a Sandro Pavolini, e aveva pubblicamente esaltato le poesie provocatorie di Trilussa.
In quel torno di tempo, poco dopo il padre, spentosi nell’aprile 1942, nel luglio 1944 morì anche la madre. Già dai primi anni del secondo dopoguerra Patti iniziò a scrivere programmi per la RAI (Le canzoni dei Quartieri alti, 1949; Città che sorridono e Questo dopoguerra, 1950). Il periodo migliore per la sua produzione narrativa va dal 1965 al 1971. Fra scrittura giornalistica e linguaggio letterario si era creata ormai una perfetta fusione: l’asciuttezza ‘dietetica’, equilibrata, ironica, arguta della sua prosa riscosse l’ammirazione di Eugenio Montale e Savinio, di Emilio Cecchi e Valentino Bompiani. La sua Sicilia, non verghiana né pirandelliana, non è mai tragica, comica bensì nello smascheramento che lo scrittore fa della volontà di salvare la forma, dietro cui rivela tresche e intrighi.
Come Nino, protagonista di Un bellissimo novembre (Milano 1967) che, scoperta la relazione erotica tra zio e madre, non trovava più in lei e nel mondo familiare purezza e serenità, così la società offriva tanto teatro e poca etica, una vera saga della mediocrità dietro irreprensibili apparenze. Che Patti ritrae senza moralismi, contrapponendo l’età dell’adolescenza e del desiderio, spontanea e vitale, alla maturità ipocrita e moralmente disgregata, partecipando con gioia alla sensualità del mondo, pur entro il consapevole stagliarsi dell’ombra della morte e della fine nostalgica di ogni cosa.
Giovanissimo, quando ancora viveva a Catania, Patti si era cimentato con il suo primo romanzo, I Barbagallo, rimasto incompiuto. Ripresolo, ne estrasse alcuni brani che inserì in Giovannino (Milano 1954), pubblicato per i tipi di Bompiani, finalista al premio Strega e ventidue anni dopo trasformato in film da Paolo Nuzzi. Al 1955 risale la messa in scena al teatro dei Commedianti a Roma dell’atto unico Una sceneggiatura, seguita dal romanzo Un amore a Roma (1956) che, da opera teatrale (Roma, teatro Parioli, 28 febbraio - 31 marzo 1959), venne trasformato con Flaiano in un film per la regia di Dino Risi (1960). Dello stesso anno la messa in scena al Piccolo Teatro di Roma dell’atto unico Un film per Brignazzi, con regia di Luigi Pascetti.
Patti non fu minimamente toccato dall’ondata di neoavanguardismo che travolse il panorama letterario degli anni Sessanta. Nulla di serio, ma tanto chiasso! In Diario siciliano. Alla ricerca della felicità (1970; 2ª ed. accr., 1975), addirittura fa catapultare giù dal balcone libri di scrittori contemporanei (Balestrini, Leonetti, Manganelli, Eco e via enumerando), che il vecchio protagonista, tornato nella sua casa di famiglia, trova abbandonati da un «capellone» che «si era installato chissà da quanto tempo nella casa disabitata» (Due schioppettate, ibid., p. 19). L’anima ansiosa di Patti, alla ricerca costante della felicità e di un antidoto possibile alla morte, trova pace in questo libro, che raccoglie pensieri e ricordi scritti fra il 1931 e il 1970.
Per Bompiani uscirono anche le Cronache romane (Milano 1962), in cui si narrano fatti vissuti dal 1921 al 1961; il romanzo La cugina (Milano 1965; versione cinematografica, regia di Aldo Lado, 1974), che narra l’amore clandestino e infinito fra due cugini; e Un bellissimo novembre da cui fu tratto il film di Mauro Bolognini (1969, con Gina Lollobrigida, Gabriele Ferzetti e Paolo Turco). Il film però suscitò non poche polemiche per il finale laddove, diversamente dal romanzo, venne omesso il suicidio del protagonista, Nino, pazzo d’amore e di gelosia per la zia molto più grande di lui.
Oltre a essere stato insignito, già dall’aprile del 1947, del titolo di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, Patti ricevette diversi premi e riconoscimenti: nel 1969 ottenne il Sileno d’oro, nel 1970 il Termoli. Un libro per l’estate con il romanzo Graziella (Milano 1970; da cui il film La seduzione, per la regia di Fernando Di Leo); nel 1971 il Selezione Campiello per Diario siciliano; nel 1972 la Targa d’oro Acqui storia per Roma amara e dolce; nel 1974 il premio Brancati - Zafferana Etnea per il romanzo Gli ospiti di quel castello, apparso per Mondadori (Milano 1974).
Intanto nel 1971 presso il teatro delle Muse di Roma era andata in scena L’avventura di Ernesto (compagnia del teatro stabile di Catania, regia di Aldo Trionfo). All’edizione per Bompiani di Tutti i romanzi (con introduzione di U. Bosco, Milano 1972 e 1974, che contiene: Giovannino, Un amore a Roma, La cugina, Un bellissimo novembre, Graziella), seguirono infine i 37 racconti di In riva al mare (1973).
Ercole Patti morì a Roma, in seguito a tumore, il 15 novembre 1976, fatalmente nello stesso giorno in cui Nino di Un bellissimo novembre si era suicidato.
Opere. Oltre a quelle già citate: Gli anni che passano (Milano 1941); Il punto debole (Roma 1952); Un amore a Roma, in Sipario, 1959, n. 159-160 (luglio-agosto), pp. 50-64; Le donne e altri racconti con un Diario siciliano (Milano 1959); Il racconto dei 15 anni (Milano 1967); L’incredibile avventura di Ernesto: racconti e diari (Milano 1969); Il carosello: un atto (con introduzione di G. Villaroel - A. Savinio, Catania 1975).
Fonti e Bibl.: A. Savinio, Encomio, in Il Nuovo Paese, 29-30 aprile 1923; E. Montale, Un amore a Roma, in Corriere della sera, 29 giugno 1956; Id., P., ibid., 30 giugno 1959; E. Cecchi, Aria di Roma, ibid., 26 luglio 1963; C. Bo, Introduzione a E. Patti, Quartieri alti, Milano 1973; E. Lauretta, Invito alla lettura di P., Milano 1975; C. Marabini, Introduzione a E. Patti, Giovannino, Milano 1976; G. Scalia, I romanzi di E. P.: saggi di psicocritica, Catania 1982; M. Sipala, Sociologia dell’erotismo e narratologia in un romanzo di E. P., in Narratori siciliani del secondo dopoguerra, a cura di S. Zappulla Muscarà, Catania 1988, pp. 303-308; E. P., Atti del Convegno nazionale di studio…, Zafferana Etnea… 1986, a cura di S. Zappulla Muscarà, Catania 1989; M. Onofri, Introduzione a E. Patti, Diario siciliano, Milano 1996; S. Gesù - L. Maccarrone, E. P.: un letterato al cinema, Catania 2004; E. P. e altro Novecento siciliano, Atti del Convegno internazionale, Princeton… 2003, a cura di P. Frassica, Novara 2004; S. Zappulla Muscarà, Introduzione, Cronologia e Bibliografia, in E. Patti, Roma amara e dolce, Milano 2006; F. La Magna, Lo schermo trema. Letteratura siciliana e cinema, Reggio Calabria 2010, ad ind.; A. Carannante, Scrittori a Roma: sulle tracce di E. P., in Strenna dei Romanisti, 2013, vol. 74, pp. 127-136.