ROERO, Ercole Tommaso
– Nacque ad Asti nel 1661 da Tommaso Francesco, marchese di Cortanze, e da Maria Cristina Roero, discendenti da due dei rami in cui si era diviso un illustre gruppo familiare arricchitosi da antica data grazie alle ‘casane’ (cioè i banchi di cambiavalute e prestiti), fiorite in epoca medievale a sostegno delle intense attività economiche dell’Astigiano.
Sin dal Duecento i membri di questo casato avevano esercitato cariche pubbliche ad Asti come sindaci e consiglieri comunali. Legarono il proprio nome al territorio situato nella parte nordorientale dell’attuale provincia di Cuneo, acquisendo alcune rocche e titoli feudali. Dal Cinquecento erano entrati nell’orbita dei duchi di Savoia ottenendo incarichi prestigiosi, in particolare come governatori e comandanti di fortezze.
Le prime tracce della vita pubblica di Roero sono relative al suo ruolo di feudatario di Cortanze, piccola località presso Asti, che il ramo della famiglia cui apparteneva aveva progressivamente acquisito dal Cinquecento insieme con i feudi di Calosso e Crevacuore.
Cortanze era parte del nucleo dei cosiddetti feudi della Chiesa di Asti, dipendenti dal vescovo della città piemontese e, di conseguenza, dallo Stato pontificio. Parte del feudo era giunto alla famiglia nel 1586, quando Ercole Roero (m. 1615), uomo d’armi in Fiandra al servizio di Alessandro Farnese, governatore di alcune città piemontesi e veedore generale delle milizie sotto il duca Carlo Emanuele I di Savoia, ne aveva acquistate alcune quote, cui se ne sarebbero aggiunte altre nel 1612, escluse due piccole porzioni rimaste sottoposte direttamente a Roma e al vescovo di Asti.
Nel 1679, come suo nonno e suo padre, Roero, investito di Cortanze, prestò omaggio feudale al vescovo, ma fu implicato nei decenni successivi nelle lunghe controversie giurisdizionalistiche aperte dal regno di Vittorio Amedeo II di Savoia, che contestava diritti sia su alcuni feudi pontifici sia su alcuni antichi feudi imperiali. A seguito di tali conflitti, nel 1741 Roero ottenne una seconda investitura, che egli stesso aveva sollecitato per regolarizzare i rapporti con il vescovado.
Questi vincoli giurisdizionali impegnarono Roero, che aveva ricevuto il feudo alla morte del fratello Cesare, in lunghe trattative, al fine di ottenere dalla S. Sede il pieno riconoscimento dei diritti su quel territorio. Dal 1679 risulta che avesse emanato una serie di ordini relativi alla vita amministrativa del feudo; ma dal 1686, ormai avviato alla carriera militare, e con maggior regolarità dal 1712, egli delegò la gestione del feudo a un procuratore astigiano, Pietro Alberto Asinari. Si occupò peraltro della ristrutturazione del castello di Cortanze, al quale destinò spese che restano documentate per l’anno 1703.
Da fine Seicento la sua presenza ad Asti, dove la famiglia possedeva dal Medioevo un palazzo, si fece sempre più sporadica, nonostante egli risultasse ancora formalmente iscritto all’elenco dei consiglieri comunali (dal 1683 al 1733). Dal 1690 (Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche in rapporto agli interni, Lettere di particolari, C, m. 94, 18 ottobre 1690) si ha notizia che fosse ufficiale di fanteria. Nel 1703 il duca Vittorio Amedeo II lo nominò comandante in seconda del reggimento del marchese Pallavicino; con lo stesso grado, in quell’anno, ricevette l’incarico presso le milizie della città e provincia di Asti.
Partecipò alle campagne della guerra di successione spagnola controllando, in forma spionistica, i movimenti in Monferrato delle truppe francesi, che erano diventate da quell’anno nemiche dopo il passaggio dei Savoia al fronte filoasburgico. In questo modo si conquistò la fiducia del sovrano, che nel 1705 gli affidò il comando della provincia di Alba e di un proprio reggimento: il reggimento Roero, così denominato secondo il costume invalso dal secolo precedente di definire alcuni corpi di linea affidandoli alla responsabilità di un comandante-proprietario.
Tra il 1707 e il 1708 fu governatore di Alessandria, importante base strategica finalmente occupata e conquistata dai Savoia; in quei panni ebbe un ruolo importante nell’avviare il dialogo con il Consiglio comunale della città, preparando il terreno alla definitiva annessione dell’Alessandrino ai territori sabaudi. Si trattò di una palestra importante per convincere il sovrano ad affidargli incarichi diplomatici sempre più prestigiosi.
Nel dicembre del 1707 Vittorio Amedeo II lo incaricò delle trattative fra il duca di Marlborough, il comandante britannico più alto in grado fra gli alleati inglesi, le Province Unite e gli Asburgo nella fase finale del conflitto per la successione al trono di Spagna. Il sovrano sabaudo era reduce dalla vittoria conseguita a Torino nel 1706 e stava progettando una campagna d’attacco alla Francia con un numero ancora imprecisato di uomini, ma con il chiaro intento di coinvolgere le truppe alleate. Nel gennaio del 1708 Roero giunse a Vienna per trattare direttamente con il principe Eugenio di Savoia e con l’imperatore Giuseppe I.
Nel 1711, due anni prima della firma dei trattati di pace, fu creato vicegovernatore dei principi (responsabile cioè dell’educazione dei principi di casa Savoia) e generale di battaglia; nel 1717 governatore di Biella.
Il vero salto di status si compì per lui, tuttavia, nel 1719, quando fu scelto come inviato straordinario alla corte d’Inghilterra, dove trascorse sei anni. Da Londra e da Hannover, dove aveva dovuto seguire il re di Gran Bretagna Giorgio I nella sua patria originaria, Roero inviò a Torino scrupolose relazioni sugli attriti fra i partiti whig e tory, sullo stato dei mercati finanziari e sui rapporti tesi fra Inghilterra e Spagna per il controllo di Gibilterra. Furono anni decisivi nel segnare il destino di un ufficiale dell’esercito sabaudo proiettato ormai verso una carriera diplomatica di risalto europeo.
Fra le testimonianze dell’esperienza acquisita nel periodo londinese, si può citare un interessante documento steso dall’inviato al suo rientro a Torino, datato 18 gennaio 1726 e intitolato Relazione del commercio della Gran Bretagna e specialmente dell’Inghilterra, che sarebbe stato pubblicato a cura di Giuseppe Prato nel 1912, ricevendo l’elogio dello storico dell’economia piemontese.
Fra il 1726 e il 1727 svolse un breve incarico come governatore di Alessandria durante il quale entrò nell’orbita del potente ministro sabaudo Carlo Francesco Vincenzo Ferrero d’Ormea, al quale raccomandò il figlio Pietro Alessandro (1681-1747), primo dei sedici figli che gli erano nati dalle nozze con la consanguinea Lodovica Roero di Settime (m. 1730).
Dopo aver intrapreso il mestiere delle armi con il titolo di conte di Calosso fino ai gradi di maggiore di fanteria, il figlio vestì l’abito dei cappuccini, cambiando il nome in Bernardino Ignazio. Il casato astigiano stringeva così nuovi legami con Roma. Prova ne fu la nomina di Bernardino Ignazio ad arcivescovo di Sassari (1730) quando il padre era già diventato viceré dell’isola sarda; da Sassari, dove non riuscì a stabilire un buon rapporto con i ceti dirigenti, il vescovo d’origine astigiana sarebbe stato trasferito a Novara, quando già il padre aveva lasciato la Sardegna.
L’8 luglio 1727 Roero aveva ricevuto la nomina a viceré di Sardegna, carica che rivestì fino al 1731 superando non poche difficoltà ambientali sull’isola. A dispetto dell’indulto del 1726 e del concordato del 1727, i rapporti fra i Savoia e il clero sardo rimanevano tesi. Il viceré aveva ricevuto l’ordine di usare, in tal senso, una sorveglianza discreta, ma ferma: una linea di condotta non semplice, viste le reazioni degli Ordini religiosi e del clero secolare, di cui Roero informò scrupolosamente Torino. Le questioni linguistiche legate alla volontà di sostituire progressivamente con l’italiano l’uso dello spagnolo, soprattutto la crisi agraria e le resistenze della nobiltà insulare accompagnarono il mandato sardo del nobile astigiano, sicuramente l’incarico meno lieve che gli fosse toccato.
Nel 1733 veniva creato governatore della cittadella di Torino e insignito del titolo cavalleresco dinastico più prestigioso sotto i Savoia: il collare dell’Annunziata. In veste di governatore di quella cittadella, che era utilizzata come carcere di Stato, ebbe contatti con un prigioniero illustre, Pietro Giannone, che a lui si rivolse per poter ricevere libri con cui alleviare, negli ultimi anni di vita, la noia della reclusione.
Morì l’anno prima di Giannone, a Torino, il 24 gennaio 1747.
Nessuno dei suoi figli maschi ne ricalcò la carriera. Il quintogenito, Girolamo Filippo (1692-1741), ereditò il titolo di conte di Calosso dopo la monacazione del fratello maggiore. L’ottavo, Cesare Massimiliano (nato nel 1698), fu cavaliere di Malta e militare; sposò la nobile astigiana Maria Cristina Mazzetti di Frinco acquisendo poi gli averi del fratello Girolamo. Gli eredi trovarono nella conservazione dei beni feudali astigiani e nelle scelte matrimoniali fortemente endogamiche le principali risorse per mantenere lo status che era stato raggiunto dalle cariche svolte dal genitore nella prima metà del Settecento.
Fonti e Bibl.: L’archivio familiare (105 mazzi, 1473-1976, ma anche documenti in copia dal 1260) è depositato presso l’Archivio di Stato di Asti, Archivio Roero di Cortanze. Sulle ordinanze di Ercole e le pratiche feudali, in particolare mm. 12, 14, 17, 66; sull’attività in Consiglio comunale m. 64; sulla carriera militare m. 17. Le lettere inviate dall’Austria (1706-08) sono in Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche in rapporto all’Estero, Lettere ministri, Vienna, m. 38; i carteggi scambiati durante la missione londinese (1719-24) ibid., Inghilterra (Gran Bretagna), mm. 26-36. Sulle lettere del viceré rivolte alla segreteria degli Interni ibid., Materie politiche in rapporto agli Interni, Lettere di particolari, C, m. 94.
Sulla famiglia e il suo ruolo nell’Astigiano dal Medioevo: R. Fresia, I Roero. Una famiglia di uomini d’affari e una terra: le origini medievali di un legame, Cuneo-Alba 1995; L. Castellani, Gli uomini d’affari astigiani. Politica e denaro tra il Piemonte e l’Europa (1270-1312), Torino 1998, passim. Su Ercole: A. Manno, Il patriziato subalpino. Notizie di fatto, storiche, feudali ed araldiche desunte da documenti, XXIII (dattiloscritto), p. 366, http://www.vivant.it/pagine/result_tutto. php?Trascrizione=roero%20di%20cortanze&rec_id=16599, 10 ottobre 2016; G. Prato, L’espansione commerciale inglese nel primo Settecento in una relazione di un inviato sabaudo, in Miscellanea di studi storici in onore di Antonio Manno, I, Torino 1912, pp. 33-61; Il marchese E. Tomaso R. di Cortanze (1661-1747), in Rivista del collegio araldico, 1926, pp. 193-(198); G. Ricuperati, L’esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Milano-Napoli 1970, pp. 600, 603. A. Merlotti, L’enigma delle nobiltà. Stato e ceti dirigenti nel Piemonte del Settecento, Firenze 2000, pp. X, 143, 151, 154 s.; Governare un regno. Viceré, apparati burocratici e società nella Sardegna del Settecento, a cura di P. Merlin, Roma 2005 (in partic. P. Merlin, Per una storia dei viceré nella Sardegna del Settecento: gli anni di Vittorio Amedeo II, pp. 52-57; B.A. Raviola, E.T. R. di Cortanze, patrizio di Asti, militare e diplomatico, pp. 83-104); F. Uras, La Sardegna nel periodo sabaudo: politica e amministrazione durante il governo del viceré Tomaso E. R. di Cortanze (1727-1731), tesi di dottorato, Università di Cagliari, a.a. 2009-10; E. Muro, Un caso di corruzione nella Sardegna del Settecento: l’inchiesta segreta contro il viceré marchese di Cortanze, in Studi storici, LII (2011), 3, pp. 605-638.