VIDARI, Ercole
– Nacque a Pavia il 22 dicembre 1836, da Gaetano, ingegnere, e da Angela Cazzani, settimo di nove figli.
Rimasto orfano di entrambi i genitori, fu allevato dal fratello Giovanni, avvocato, più vecchio di lui di quindici anni. Studente di giurisprudenza presso l’Università di Pavia, nel 1859 combatté come volontario nella seconda guerra d’indipendenza. Il 21 novembre dello stesso anno conseguì la laurea e il 19 febbraio 1862 il titolo di avvocato presso il tribunale d’appello di Milano.
All’esercizio della professione legale Vidari affiancò subito l’attività scientifica e accademica. Nel 1862 ricevette l’incarico di insegnamento del diritto commerciale presso la facoltà giuridica pavese ed entrò a far parte delle commissioni esaminatrici anche di diritto internazionale e di diritto e procedura penale. Rimasto vacante l’insegnamento giusinternazionalistico, a causa della prematura collocazione a riposo per motivi di salute dell’ordinario Giuseppe Zuradelli, e assegnata la cattedra commercialistica a Stanislao Soro Delitala, nel 1863 iniziò a insegnare il diritto internazionale. Quando nel 1865 il concorso per la cattedra fu vinto da Pietro Esperson e Soro Delitala scomparve prematuramente, Vidari fu nominato professore straordinario di diritto commerciale. Nel 1866, da posizioni moderate, vicine agli ideali cavouriani, diede nuova prova di impegno civile e come soldato di stanza a Varese partecipò alla terza guerra d’indipendenza.
In quel torno di tempo Vidari esordì anche sul piano scientifico. I suoi primi interessi investirono alcuni dei temi più caldi e controversi del diritto internazionale pubblico. A differenza di molti suoi contemporanei, non pubblicò trattazioni di carattere generale sul diritto delle genti. Nondimeno, nei suoi scritti si possono cogliere riflessioni di ampio respiro e istanze di rinnovamento del diritto internazionale. Alla prelezione L’Italia nei suoi rapporti di diritto internazionale (Pavia 1864) seguirono le monografie Del rispetto della proprietà privata dei popoli belligeranti (Pavia 1865; essa fu riedita due anni più tardi con il titolo Del rispetto della proprietà privata tra gli Stati in guerra) e Del principio di intervento e di non intervento (Milano 1868).
Come emerge anche dai suoi scritti minori (per l’elenco si rinvia a Fugazza, 2018, p. 2 nota 7), almeno tre furono le direttrici di ricerca lungo le quali Vidari orientò i propri studi giusinternazionalistici. La prima può essere rintracciata nell’impegno profuso per promuovere il riscatto scientifico del diritto delle genti, da realizzarsi, a giudizio del maestro pavese, coniugando la dimensione pratica ai profili teorici della speculazione. La seconda direttrice ruotava intorno alla critica della teoria della nazionalità propugnata da Pasquale Stanislao Mancini. Una teoria, nei confronti della quale, nel volgere di un ventennio, Vidari espresse una condanna netta. Elaborate già negli anni Sessanta, le posizioni critiche del giurista pavese ricevettero una compiuta messa a punto nell’articolo Pasquale Stanislao Mancini giureconsulto (in Il Filangieri, XIV (1889), pp. 1-11), pubblicato per commemorare Mancini a un anno dalla sua scomparsa. Delle tesi manciniane nulla veniva salvato e gli Stati, non già le nazioni, erano indicati come i soggetti del diritto internazionale. E infine, come terza direttrice dei propri interessi giusinternazionalistici, Vidari si impegnò a favore di una tutela assoluta della proprietà privata in tempo di guerra. Un impegno, quello, che espresse non soltanto sul piano teorico ma anche quale membro effettivo dell’Institut de droit international, di cui fece parte dal 1873 al 1880.
Il prestigio acquisito in pochi anni in seno alla comunità scientifica si consolidò ulteriormente quando, a partire dagli anni Settanta, Vidari rivolse i propri interessi al diritto commerciale, in concomitanza con la nomina, datata 29 marzo 1870, a professore ordinario della materia presso la facoltà di giurisprudenza di Pavia. Risale allo stesso anno la cooptazione nella Commissione di revisione del codice di commercio del 1865 alla quale tuttavia, probabilmente per la presenza pervasiva di Mancini, collaborò saltuariamente.
Nel 1874 sposò la contessa Matilde Benvenuti, figlia del conte Ercole e della contessa Emilia Giorgi di Vistarino. Dal matrimonio nacquero due figli, Lina e Alfonso, che dopo la laurea in giurisprudenza conseguita presso l’Università di Pavia si dedicò all’esercizio dell’avvocatura.
Nel corso degli anni Settanta Vidari costruì la propria identità di specialista del diritto commerciale. Sebbene in seguito mettesse in discussione alcune tesi propugnate negli scritti pubblicati in quel decennio, in essi si possono nondimeno rintracciare taluni di quelli che divennero veri e propri capisaldi della sua opera. Risale allo stesso periodo la prima edizione del suo Corso di diritto commerciale (I-IV, Milano 1877-1880), destinato a grande successo, tanto da meritare cinque edizioni (l’ultima, in nove volumi, fu edita tra il 1900 e il 1908).
Vidari, come riconosciuto anche da alcuni suoi contemporanei, esponenti di rilievo della dottrina giuscommercialistica, offrì un contributo determinante al rinnovamento del diritto commerciale italiano postunitario (Rocco, 1911, p. 293; Supino, 1916, pp. 456-458). Nel contesto di una scienza giuridica in parte assestata su indirizzi interpretativi di stampo esegetico, fu difatti tra i primi a proporre letture sistematiche degli istituti giuscommercialistici. L’articolo Studio critico e comparativo di legislazione cambiaria (in Archivio giuridico, I (1868), pp. 520-581) e soprattutto la monografia La lettera di cambio. Studio critico di legislazione comparata (Firenze 1869), con cui esordì come specialista del diritto commerciale, offrono al riguardo alcune prime precise indicazioni. Destinata a orientare la produzione scientifica di intere generazioni di giuristi fu anche la convinzione circa l’esistenza di legami strettissimi tra il diritto commerciale e l’economia politica. Una tesi che fu argomentata nell’articolo Rapporti del diritto commerciale colla pubblica economia e col diritto civile (in Archivio giuridico, V (1870), pp. 92-135), e che condusse Vidari a indagare i fondamenti economici degli istituti giuridici quale metodo ritenuto imprescindibile per ogni studio che ambisse alla scientificità. Un metodo che egli seppe applicare con grande rigore anche grazie a una solida cultura economica di cui diede prova fin dagli inizi della carriera accademica. Altro caposaldo della sua opera fu la teorizzazione, mai revocata in dubbio, dell’autonomia del diritto commerciale nei riguardi del diritto civile; un tema, quest’ultimo, che negli anni Settanta aveva già polarizzato la scienza giuridica in due fazioni distinte e sul quale il giurista ritornò nuovamente negli anni Novanta con l’articolo Contro un codice unico delle obbligazioni (in Rendiconti del Reale Istituto lombardo di Scienze e Lettere, XXV (1892), pp. 1108-1123), in un periodo nel quale il dibattito era stato nel frattempo rinvigorito dagli interventi di Cesare Vivante, assestato su posizioni lontane da quelle del maestro pavese.
Molti gli istituti giuridici nei confronti dei quali Vidari mostrò un interesse costante. Tra essi merita segnalare innanzitutto le società commerciali, al centro di numerosi articoli e saggi, culminati in una monografia data alle stampe alla fine degli anni Ottanta (Le società e le associazioni commerciali. Trattazione sistematica secondo il nuovo codice di commercio italiano, Milano 1888) e tratta dalla terza edizione del Corso di diritto commerciale (Milano 1888-1894). Un altro istituto sul quale il maestro pavese ragionò in più occasioni fu il fallimento. Il saggio monografico I fallimenti. Trattazione sistematica secondo il nuovo codice di commercio italiano (Milano 1886) fu per lui l’occasione per esprimere le critiche più severe nei confronti del terzo libro del codice di commercio del 1882, opera pressoché esclusiva di Mancini. Le pagine in cui Vidari condannò senza appello alcuni degli istituti cardine di quel libro, ampiamente celebrato dalla dottrina del tempo, si inserivano in un più generale contesto di messa in discussione del pensiero del giurista campano. Pur nella incompletezza di questa rassegna, si segnala infine l’interesse rivolto al contratto di trasporto al quale, oltre a numerosi articoli, dedicò l’ampia monografia Il contratto di trasporto terrestre. Trattazione sistematica secondo il diritto italiano vigente (Milano 1890).
Il diritto commerciale e il diritto internazionale, pur centrali nella sua ricchissima produzione scientifica, non esaurirono tuttavia gli interessi di Vidari. Egli fu un intellettuale a tutto tondo, capace di scrivere con eguale competenza di diritto e di politica, di economia e di istruzione. Una piccola testimonianza del suo eclettismo è offerta dalla raccolta di alcuni suoi scritti pubblicati per il quarantacinquesimo anno del suo insegnamento all’Università di Pavia (Scritti varii di Ercole Vidari, Milano 1908), alla quale rimase legato per tutta la vita.
Stimatissimo in Italia e all’estero, ripetutamente collaborò con il ministero di Grazia e Giustizia che in più occasioni si rivolse a lui per pareri sui più controversi istituti del diritto commerciale. Diresse Il Filangieri (dal 1887 al 1892) e l’Annuario critico della giurisprudenza commerciale, che nel 1886 fondò insieme a Leone Bolaffio. Fu membro di prestigiose accademie scientifiche e letterarie, italiane e straniere, tra le quali si segnalano il Regio Istituto lombardo di scienze e lettere e la Società di legislazione comparata di Parigi.
L’8 marzo 1904 fu nominato senatore del Regno. Nel 1911, su richiesta della facoltà giuridica pavese, il ministro della Pubblica Istruzione deliberò di mantenere Vidari in servizio nonostante la cessazione dall’insegnamento per sopraggiunti limiti di età. Tuttavia, per motivi di salute trascorse gli anni successivi tra Alassio e Sanremo, dove morì il 19 dicembre 1916.
Fonti e Bibl.: Pavia, Archivio storico dell’Università, Fascicolo personale Ercole Vidari; Giurisprudenza, Esami, diplomi; Annuario della regia università di Pavia, Pavia 1862-1915, passim; A. Pierantoni, Storia degli studi di diritto internazionale in Italia, Modena 1869, pp. 212-215; A. Rocco, La scienza del diritto privato in Italia negli ultimi cinquant’anni, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, IX (1911), parte I, pp. 285-304; D. Supino, E. V., in Il diritto commerciale, VIII (1916), pp. 456-458; L. Franchi, E. V., in Rendiconti dell’Istituto lombardo di scienze lettere ed arti, s. 2, LI (1918), pp. 876-898; E. Michel, V. E., in Dizionario del Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, p. 565; M. Libertini, Diritto civile e diritto commerciale. Il metodo del diritto commerciale in Italia, in Rivista delle società, LVIII (2013), pp. 1-41; Id., V., E., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 2044-2046; E. Fugazza, E. V. internazionalista. Dal magistero pavese alla collaborazione con l’Institut de droit international, in Historia et ius, V (2014), paper 8, pp. 1-31; E. Mura, All’ombra di Mancini. La disciplina internazionalistica in Italia ai suoi albori, Pisa 2017, pp. 44-54 e ad ind.; L. Pellecchi, Leggere (o non leggere) i Codici: il Diritto privato e processuale, in Almum Studium Papiense. Storia dell’Università di Pavia, a cura di D. Mantovani, II, 2, Milano 2017, pp. 1208-1212; E. Fugazza, Tra liberismo e solidarismo: il lungo percorso scientifico di E. V., Padova 2018; I. Birocchi, Tra i due codici. La giuscommercialistica italiana dopo il “manifesto” di V. (1870-1882), in ‘Non più satellite’. Itinerari giuscommercialistici tra Otto e Novecento, Pisa 2019, pp. 107-165.