Eredita classica e cultura cristiana: Boezio e Cassiodoro
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Fin dalle origini i cristiani adottano un atteggiamento critico nei confronti del sapere ereditato dall’Antichità greco-romana; in seguito grazie ad Agostino, che ne riconosce l’indiscusso valore formativo, e alla mediazione culturale operata da Boezio e Cassiodoro l’insegnamento viene cristianizzato e le artes liberales finiscono per dare un contributo essenziale alla formazione degli autori mediolatini.
Anicio Manlio Torquato Severino Boezio
L’interesse per i buoni
De philosophiae consolatione, Libro I
Eppure sei tu che hai proclamato per bocca di Platone questa massima: che cioè felici saranno gli Stati se a governarli saranno i filosofi o se i loro governanti vorranno dedicarsi alla filosofia. Per bocca dello stesso filosofo tu precisasti che il motivo fondamentale per cui i filosofi devono prendere le redini dello Stato è di impedire che il governo della cosa pubblica, abbandonato nella mani di cittadini ribaldi e scellerati, si volga a peste e rovina per i buoni. Io dunque, attenendomi a questo autorevole insegnamento, mi sforzai di tradurre nella pratica della pubblica amministrazione ciò che avevo appreso nei miei studi solitari. Tu e quel Dio che ti ha infuso nelle menti dei sapienti siete consapevoli che nient’altro mi ha indotto ad assumere cariche di governo se non il pubblico interesse di tutti i buoni.
S. Boezio, La consolazione della filosofia, trad. it. di O. Dallera, Milano, BUR, 1977
Cassiodoro
Elogio ai copisti
Istitutiones, Libro I, cap. XXX
Io confesso che, fra tutti i lavori fisici da voi svolti, preferisco, non senza una giusta ragione, quello dei copisti, quando ovviamente scrivono senza errori, poiché essi, leggendo le divine Scritture, istruiscono in maniera salutare la loro mente e scrivendo seminano in lungo e in largo gli insegnamenti del Signore. Santa attività, lodevole occupazione quella di predicare agli uomini con la mano, parlare con le dita, elargire la salvezza ai mortali senza parlare e combattere contro le illecite insidie del diavolo con penna e inchiostro. Satana, infatti, riceve tante ferite quante sono le parole del Signore scritte dal copista.
Cassiodoro, Le istituzioni, a cura di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001
Nel I secolo a. C. per influsso della scuola tardo-ellenistica il sistema scolastico latino accoglie uno schema di sette discipline, le artes liberales (liberali, in quanto degne di un uomo libero), destinate a diventare la base culturale propedeutica per ogni disciplina di ordine superiore, in particolare la filosofia; la loro prima sommaria teorizzazione è attestata nei perduti Disciplinarum libri di Terenzio Varrone.
Nei secoli successivi i cristiani assumono un atteggiamento sempre più critico nei confronti della scuola antica in generale e delle arti liberali in particolare, ma il pensiero di Agostino, esposto nel De doctrina christiana, produce una svolta nella trasmissione del sapere antico, perché riconosce il valore formativo che le arti liberali conferiscono a chi aspira alla sapienza cristiana; in questa prospettiva l’insegnamento viene cristianizzato e le artes liberales finiscono con l’acquistare un nuovo significato, in quanto permettono di applicare ai Testi Sacri (Vetus et Novum Testamentum) gli stessi metodi di analisi di cui ci si serve per lo studio degli autori pagani.
Riproposte in chiave allegorica nel manuale didattico De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, queste sette materie finiscono per confluire nei secoli VI e VII in un comune curriculum disciplinare, che grazie allo sforzo compiuto dal pensiero boeziano e cassiodoreo riceve la sua tradizionale bipartizione in trivium (grammatica, retorica e dialettica) e quadrivium (aritmetica, musica, geometria e astronomia). In questa nuova temperie culturale gli scrittori cristiani sono costretti loro malgrado a rivisitare e confrontarsi con il sapere trasmesso dagli antichi all’alto Medioevo.
Boezio, di famiglia senatoria (gens Anicia), sposa la figlia di Quinto Aurelio Simmaco e completa il cursus honorum conseguendo il titolo di consul (510) e di magister officiorum (522). Come Cassiodoro intraprende una politica di conciliazione e dialogo con i dominatori ostrogoti, ma il tentativo fallisce. Accusato di alto tradimento da Teodorico per i suoi contatti con il senatore Albino e con Giustino, imperatore di Bisanzio, viene incarcerato a Pavia e giustiziato nel 525. La sua tragica scomparsa segna la fine della politica di avvicinamento e pacifica convivenza tra l’elemento romano e quello goto, tentata da Teodorico e mediata dall’impegno politico e personale di Boezio e Cassiodoro.
Boezio vanta un’ottima formazione culturale, sia nelle lettere latine che in quelle greche, ma è soprattutto un cristiano. Alla base del suo pensiero c’è Agostino, ma lo scopo che egli si prefigge è quello di farsi interprete della tradizione teologica cristiana attraverso l’applicazione della metodologia aristotelica. In questa prospettiva concepisce un programma culturale vasto e ambizioso: la trasmissione della sapienza antica alla posterità, attuata in tre momenti distinti: la stesura di scritti riguardanti le arti liberali, la traduzione dal greco in latino delle opere filosofiche di Platone e Aristotele e, infine, la conciliazione del pensiero dei due filosofi con quello cristiano (secondo un’impostazione propria dei neoplatonici).
Il progetto prende avvio tra il 500 e il 510 con il commento all’Isagoge di Porfirio, già tradotto da Mario Vittorino; Boezio si dedica poi alle arti del quadrivium (a lui si deve l’adozione di questo termine per indicare le arti scientifiche) scrivendo il De institutione arithmetica e il De institutione musica (basati su Nicomaco di Gerasa); sono invece perduti il De institutione geometrica (da Euclide) e il De institutione astronomica (da Claudio Tolomeo).
Tra il 512 e il 523 mette mano alla seconda fase del programma: tradurre in latino il corpus delle opere di Platone e Aristotele, cominciando dalla Logica vetus aristotelica (Categoriae, Peri hermeneias, Analytica priora, Analytica posteriora, Topica, Sophistici elenchi); compone anche trattati di logica: il De syllogismis categoricis, il De hypotheticis syllogismis, il De divisione e il De differentiis topicis.
Questo corpus di scritti ha il merito di aver offerto alla scuola medievale quella componente razionale, che dall’XI secolo in poi si porrà alla base di un nuovo modo di concepire la ricerca filosofico-teologica; in Occidente le traduzioni boeziane rimarranno l’unica chiave di accesso alla filosofia aristotelica fino al XII secolo (quando si darà avvio a una nuova campagna di traduzioni dal greco e dall’arabo); anche il linguaggio tecnico da lui elaborato (con il suo lessico ricco di neologismi e tecnicismi e le costruzioni sintattiche tipiche della speculazione filosofica) è destinato a durare nel tempo.
L’opera più nota di Boezio resta la De consolatione philosophiae, scritta in carcere a Pavia in attesa dell’esecuzione. L’opera in cinque libri è un dialogo platonico in forma di prosimetro, sulla scia formale di Marziano Capella. A Boezio, che si lamenta per l’immeritata perdita dei beni terreni e la fine ormai imminente, appare una bellissima matrona, personificazione della Filosofia, che gli dimostra che i torti subiti non hanno in realtà bisogno di consolazione, rientrando nell’ordine naturale delle cose, governate dalla provvidenza divina. L’opera è considerata il testamento spirituale di un intellettuale romano, che consegna al Medioevo una sua chiave di lettura della vita terrena. Manca qualunque riferimento a Cristo e alle Sacre Scritture, ma il problema non è se Boezio sia o no cristiano (e certamente lo è), quanto piuttosto la sua capacità di temperare la fede con le istanze della filosofia e del razionalismo. Viene affrontato anche il problema del rapporto esistente tra forme di potere e cultura: anche sotto Teodorico la cultura dominante non può che essere quella romana.
Analoga ma diversa negli sviluppi è la vicenda umana di Cassiodoro. Nato da nobile famiglia calabrese (di origine siriana), intraprende la carriera politico-amministrativa sotto Teodorico e brucia le tappe del cursus honorum diventando consul ordinarius nel 514; nel 525 alla morte di Boezio è chiamato a prenderne il posto come magister officiorum, incarico che riveste con lealtà fino al 539 (sotto Vitige). Nel 535 in collaborazione con papa Agapito progetta l’apertura a Roma di una scuola superiore di studi romano-cristiani, ma è costretto a rinunciare a causa dello scoppio della guerra greco-gotica (535-553), che annulla i suoi progetti e lo conduce in esilio a Costantinopoli, dove resta per oltre un decennio insieme a papa Vigilio. Tornato in Italia dopo il 554, si ritira a vita privata nei possedimenti familiari di Vivarium (Squillace, Catanzaro), dove fonda una comunità monastica e trascorre il resto della sua vita (muore ad oltre 93 anni).
A Vivarium Cassiodoro tenta di realizzare una fusione tra monachesimo e cultura romano-cristiana, in cui l’esperienza cenobitica si configura come una sorta di monachesimo dotto, che vede alternarsi alla regolare attività di copia di manoscritti la traduzione di opere dal greco e la stesura di nuovi trattati; ma Vivarium è anche una sorta di isola culturale, dove l’intellettuale si rifugia per sfuggire ai cambiamenti del mondo e salvare il patrimonio del passato dalle devastazioni del presente.
La produzione cassiodorea è quanto mai vasta e abbraccia i generi letterari più disparati (esegesi, teologia, storiografia, grammatica). Nel 530 circa scrive una Historia Gothorum in dodici libri, in cui vagheggia un ideale politico di fusione tra l’elemento etnico romano e quello gotico; dell’opera resta solo un’epitome (i Getica) realizzata dallo storico bizantino Giordane. Opere storiografiche sono anche la Chronica (519), basata su Eusebio e Girolamo, e la più tarda Historia ecclesiastica tripartita, epitome delle opere dei greci Socrate, Sozomeno e Teodoreto, tradotta in latino dal suo discepolo Epifanio Scolastico.
Attorno al 538 riordina le 468 lettere scritte per i sovrani ostrogoti in qualità di dirigente della cancelleria regia, cui dà il titolo di Variae in 12 libri (destinate a diventare un modello di stile cancelleresco insuperato). Ai primordi del periodo vivariense risale l’Expositio psalmorum, commento esegetico al Libro dei Salmi. Tra le opere erudite figurano il perduto Codex de grammatica (una silloge di testi grammaticali, con le Artes di Donato e il De schematibus di Mario Plozio Sacerdote) e il più noto De orthographia, trattato ortografico redatto a 93 anni, in cui sono raccolti dodici passi estratti dalle opere di otto prisci artigraphi: Anneo Cornuto, Velio Longo, Curzio Valeriano, Papiriano, Martirio, Cesellio Vindice, Eutiche e Prisciano.
Ma l’opera cui più è legata la fama di Cassiodoro sono le Institutiones, divise in due libri, dedicati rispettivamente allo studio delle divinae litterae (in 33 capitoli) e alle saeculares litterae (in sette capitoli); a quest’ultimo libro spetta il merito di aver definitivamente fissato il canone scolastico formalizzando la divisione tra trivium e quadrivium già prospettata da Marziano Capella e Boezio. L’opera, che mette a disposizione del lettore uno stringato inventario di materiali bibliografici cui è necessario attingere per crescere nella dottrina, è un compendio erudito rivolto ai monaci di Vivarium perché non dimentichino le nozioni fondamentali della Bibbia e delle humanae litterae. Dal punto di vista della trasmissione testuale il manuale ha una storia redazionale complessa, avendo subito vari rimaneggiamenti: la redazione in due libri che oggi noi leggiamo nell’edizione di R. A. B. Mynors (la cosiddetta recensio maior) è attestata solo in tre fra gli oltre 100 manoscritti superstiti, mentre di regola si registra per i due libri una circolazione autonoma e in più redazioni – del libro II ad esempio restano due recensioni, caratterizzate dalla presenza di numerose interpolazioni, mentre una terza redazione citata da Isidoro di Siviglia e da Paolo Diacono è andata perduta.