EREMITI DI S. AGOSTINO
L'Ordine mendicante degli E. di s. Agostino, detti anche Eremitani o Agostiniani, non esente ai primordi da accenti ascetici, nacque dalla volontà di raggruppamento di alcune congregazioni eremitiche presenti sul territorio italiano e spesso accomunate dall'adesione alla Regola di s. Agostino: Giamboniti, Brettinesi, Eremiti della Tuscia ed Eremiti del Montefavale. Il Capitolo di fondazione, indetto da Innocenzo IV (1243-1254), venne celebrato a Roma nel 1244 sotto il patronato del cardinale Riccardo Annibaldi e ratificato dalla Grande Unione del 1256 (Rano, 1974a; Gutierrez, 1986).Scongiurato il pericolo di soppressione dell'Ordine nel 1274 durante il secondo concilio di Lione, gli E. di s. Agostino manifestarono un impulso espansionistico anche fuori di Italia con la costituzione di province in Germania, Francia, Inghilterra, Spagna e Ungheria, così da contarsene complessivamente sedici nel 1295 e ventiquattro nel 1329. Sotto il generalato di Clemente da Osimo (1271-1274, 1284-1291) vennero promulgate nel 1290 le Costituzioni di Ratisbona (Aramburu Cendoya, 1966), che risultano prive di una normativa in materia architettonica e artistica, sebbene consolidino l'istituzione eremitana attraverso il raggiungimento di quell'unità spirituale e organizzativa su cui agli inizi aveva pesato negativamente l'assenza di una figura-modello interna all'Ordine, ruolo più tardi ricoperto da Nicola da Tolentino (m. nel 1305), esaltato nel ciclo pittorico del Cappellone di S. Nicola nel convento tolentinate (1326 ca.; Bisogni, 1987; Boskovits, 1989; Benati, 1992; Romano, 1992).La fase di espansione del movimento agostiniano si protrasse almeno fino alla metà del Trecento, benché si fossero avvertiti i primi segni di disaffezione all'osservanza della regola, i quali si accentuarono con la crisi di molte comunità dopo la peste del 1348. Il tentativo di ricerca di una nuova unità degli E. di s. Agostino, portato avanti soprattutto dai priori generali Gugliemo da Cremona (1326-1342) e Gregorio da Rimini (1357-1358), non raggiunse l'obiettivo prefissato, né impedì che le varie province attuassero una politica di sostanziale maggiore autonomia, che si accompagnò a una più generale decadenza dell'Ordine, protrattasi per quasi tutto il Quattrocento.Architettura.- Già nel Capitolo del 1244 le congregazioni eremitiche si erano mosse in direzione dell'unificazione; tuttavia l'avvio di un comune programma insediativo coinvolgente un sempre più numeroso gruppo di fondazioni si concentrò in Italia all'indomani del secondo concilio di Lione, anche se per taluni cantieri (per es. S. Marco a Milano, 1254; S. Giacomo Maggiore a Bologna, 1267; S. Agostino a Siena, 1260-1270) gli inizi sono da ricondurre agli anni a ridosso della Grande Unione nel 1256. L'importanza assegnata alla presenza di due abati cistercensi nel Capitolo del 1244 ha indotto a ritenere che essi avessero potuto esercitare un'influenza diretta sulla prima organizzazione conventuale eremitana (Zazzeri, 1987), precedendo i maggiori Ordini mendicanti nel loro naturale ruolo di riferimento. Di fatto la Curia romana intendeva indirizzare il movimento in formazione verso il modello spirituale mendicante; sotto il profilo più strettamente architettonico i punti di tangenza con il mondo cistercense si riducono al caso di S. Marco a Milano (Romanini, 1964) e in parte all'organizzazione degli spazi comunitari nel braccio conventuale.Tra il 1244 e il 1256 le comunità si insediarono in strutture preesistenti di rado inserite nel tessuto urbano (Roth, 1952-1954); l'unico caso di apertura di un effettivo cantiere prima del 1256 è S. Marco a Milano, anch'esso condizionato tuttavia dal riutilizzo di un complesso romanico. La precocità della fabbrica lombarda, i cui lavori furono ordinati nel 1254 da Lanfranco Settala, allora priore dei Giamboniti, è confermata dalla sua estraneità tipologica rispetto alla chiesa ad aula mono o triabsidata, riscontrabile con eccezionale continuità nelle successive fondazioni eremitane a partire dall'ottavo decennio del Duecento per quasi un cinquantennio. L'avvio nel 1267 dei lavori di S. Giacomo Maggiore a Bologna (Fanti, 1967; Piconi Aprato, 1967) potrebbe costituire un punto di riferimento nel processo tendente a una politica di uniformità insediativa che fu condotta con estremo rigore nelle province italiane; qui infatti l'Ordine, oltre ad annoverare il maggior numero di conventi, aveva subito incontrato difficoltà a fare coesistere le diverse compagini che lo avevano costituito.Dopo il 1256 l'eterogeneo fenomeno degli E. di s. Agostino si avviava nel solco tracciato dai Predicatori e dai Minori, i cui statuta e i primi complessi conventuali - all'epoca non ancora ultimati o in fase di elaborazione - dovevano apparire come possibili exempla. Le tipologie di riferimento per un Ordine la cui prima generazione, soprattutto per le componenti centroitaliane, era ancora intimamente legata ai trascorsi eremitici, favorirono scelte indirizzate verso una formulazione architettonica semplificata e al contempo carica di valori spirituali, non esenti da ascendenze pauperistiche di ambito monastico (per es. Camaldolesi, Florensi). La chiesa a navata unica con copertura a tetto e coro voltato - che presenta il suo prototipo mendicante in S. Francesco a Cortona (1245-1253) e ha la sua area di influenza in Italia centrale - rispondeva a questa doppia esigenza, senza che ciò precludesse la nascita di un modello più propriamente agostiniano, attraverso l'apporto di poche e qualificanti innovazioni nella sintassi architettonica.L'assenza di una personalità fortemente rappresentativa aveva sollevato gli E. di s. Agostino dalla necessità di realizzare una chiesa-memoriale. Venne dunque a cadere quella distinzione prettamente funzionale tra basilica di rappresentanza ed edificio di culto di uso corrente, formulata invece per i due maggiori Ordini mendicanti (Wagner-Rieger, 1957-1958). Questa mancata contrapposizione e in origine la circoscrivibilità del fenomeno eremitano all'Italia centrosettentrionale (Lombardia, Veneto, Romagna, Toscana, Marche, Umbria) favorirono la standardizzazione degli insediamenti, pensati in funzione del nuovo ruolo di apostolato urbano.Il limite derivante da una nascita per vie sostanzialmente artificiali poteva essere quindi superato assegnando alle proprie fondazioni una matrice comune e austera, che avrebbe contribuito a creare un'immagine immediatamente riconoscibile nel tessuto cittadino del tempo. Fino al quarto decennio del Trecento gli E. di s. Agostino rimasero ancorati in Italia a modalità costruttive che li condussero a un conservatorismo che si potrebbe definire autarchico.Quale sia stato il ruolo e il peso politico delle diverse congregazioni nel condizionare una siffatta scelta in materia architettonica non è dato appurare, in virtù dell'estrema lacunosità delle fonti e delle disposizioni statutarie antecedenti le Costituzioni di Ratisbona del 1290. Qualora si tenga in considerazione la cronotassi delle fabbriche eremitane, si può comunque osservare che il programma architettonico ebbe i suoi prodromi già nel settimo decennio del Duecento, quando era ancora in vita il cardinale Riccardo Annibaldi. L'accettazione, dopo il secondo concilio di Lione, di un tipo insediativo esteso all'ala conventuale e non inquadrato da normative propositive o restrittive distingueva gli E. di s. Agostino anche in riferimento alla frammentazione del linguaggio architettonico francescano e domenicano, emersa in tutta la sua ampiezza poco dopo la metà del secolo. Il modello giambonita, avviato nel cantiere milanese di S. Marco, venne accantonato forse per la morte di Lanfranco Settala, divenuto nel frattempo primo priore del nuovo Ordine (1256-1264), o verosimilmente per il maggior peso assunto dopo il 1264 dalle congregazioni centroitaliane (Brettinesi, Eremiti della Tuscia), rappresentate nella rotazione della carica di priore generale da Guido da Staggia (1265-1271) e Clemente da Osimo. La tipologia a navata unica era più vicina alla tradizione di quelle regioni anche per la sua larga diffusione nell'edilizia romanico-benedettina.Le Costituzioni domenicane del 1228 (Meersseman, 1946) e il clima di rigore intellettuale in cui operavano i Predicatori durante il generalato di Umberto di Romans (1254-1263) e di riflesso i Francescani negli stessi anni (Capitolo di Narbona, 1260) influenzarono presumibilmente la serialità insediativa degli Agostiniani. L'insistenza sull'uniformità anche in materia architettonica, maturata nel pensiero di Umberto di Romans per i segnali di disaffezione alla regola (Meersseman, 1946), informò dunque il nascente Capitolo degli E. di s. Agostino, ponendo in breve tempo le basi del proprio tipo conventuale, che superò di fatto il fenomeno delle famiglie territoriali. L'imposizione della chiesa ad aula priva di transetto anche alle fondazioni dell'Italia settentrionale, tipologia quasi del tutto estranea a quel contesto, divenne tra il 1280 e il 1330 tratto unificante nelle province di origine. Gli E. di s. Agostino introdussero sistematicamente nelle chiese padane il coro triabsidato nella sistemazione a sala (chiesa degli Eremitani a Padova, 1276-1300; S. Margherita a Treviso, post 1282; S. Agostino a Rimini, ca. 1300) mascherato all'esterno da un andamento monoabsidato, soluzione quest'ultima esportata nel Trecento in regioni interessate marginalmente dal fenomeno agostiniano, come l'Italia meridionale (per es. S. Agostino di Andria, S. Agostino di Barletta; Tocci, 1978) e l'isola di Creta (S. Salvatore a Candia, S. Maria della Grazia a Canea; Kitsiki Panagopulos, 1979).Il programma edilizio eremitano in Italia tendeva a ridurre al minimo le infiltrazioni di linguaggi regionali, riconoscibili per es. nei pilastri semicilindrici di tipo assisiate lungo le fiancate di S. Agostino a Gubbio (consacrata nel 1294; Schulze, 1915) a sostegno di archi-diaframma interni, adottati nelle chiese trecentesche di Massa Marittima e di Bergamo (Romanini, 1964) o nella decorazione a bacini ceramici, di ascendenza romanico-padana, sulla fronte di S. Giacomo Maggiore a Bologna (ca. 1300) o ancora, assecondando le novità dell'architettura veneto-patavina, nel rivestimento in pietra della facciata e nel soffitto carenato in legno progettati da frate Giovanni alla chiesa degli Eremitani a Padova (ca. 1306; Bettini, 1970; Dellwing, 1990). Nei portali in pietra (per es. Padova, Fabriano, Montefalco, Spoleto, Sulmona) e, in un ridottissimo numero di casi, nelle finestre sulla fronte (Bologna, Bergamo) compaiono invece elementi di decorazione plastica fitomorfa.Con un ritardo di tre decenni rispetto ai maggiori Ordini mendicanti, gli E. di s. Agostino ne ripetevano la prassi insediativa vedendosi assegnare dalle autorità cittadine modesti edifici di culto in posizione periferica rispetto al centro politico e in aree di recente urbanizzazione. Ciò non impedì l'apertura quasi immediata di nuove fabbriche, spesso sproporzionate alle iniziali disponibilità economiche dell'Ordine, che la discontinuità di cantiere, soprattutto prima del 1290 (Padova, Bologna), non alterò nel momento realizzativo rispetto al progetto originario.Sul finire del Duecento sorsero insediamenti anche al di là delle Alpi, in particolare in Germania (Augustinerkirche a Monaco di Baviera, consacrata nel 1294), dove si palesa una maggiore libertà nelle scelte architettoniche, destinate a preferire l'impianto a tre o a due navate (per es. Dreifaltigkeitskirche a Costanza, del 1300 ca.; Augustinerkirche a Erfurt, del 1300 ca.; S. Caterina a Cracovia, del 1350-1400 ca.) o ad aderire alla parlata locale, come nell'insediamento di Tolosa (sec. 14°), la cui aula di culto è circondata da cappelle poco profonde inserite negli spazi lasciati liberi dai contrafforti.In Italia l'allontanamento dalla prima formulazione di chiesa eremitana si avvertì intorno al 1330, contestualmente alle avvisaglie di crisi interne all'Ordine, e si esplicò in una maggiore articolazione del blocco orientale con l'inserimento del transetto (per es. Colle Val d'Elsa, fondazione del 1305; Massa Marittima, 1348), nell'adozione dell'impianto basilicale (per es. Genova, metà del sec. 14°; Como, seconda metà del sec. 14°) anche con alzato a sala (Cremona, 1339-1345; Romanini, 1964), talvolta riaggiornando le fabbriche primitive (per es. Bologna, 1341; Perugia, metà del sec. 14°). Nel caso di S. Giacomo Maggiore a Bologna il nuovo coro a deambulatorio si modella su quello duecentesco della locale chiesa francescana.Nell'organizzazione dell'impianto strettamente residenziale si applicava in forma ridotta e non diretta il modello abbaziale cistercense dell'ala dei monaci. La trasmissione avvenne nella versione sine claustro dei conventi domenicani e si manifestò con minime modifiche già nelle fondazioni eremitane tardoduecentesche. Il braccio comunitario era organizzato su due livelli: la sagrestia, il capitolo e il refettorio erano negli ambienti al piano terreno; il dormitorio, che occupava il piano alto, poteva arrestarsi anche all'altezza della sagrestia, il cui ingombro era in questi casi equivalente all'alzato dell'edificio (per es. Gubbio, Tolentino, San Gimignano). La facciata interna del fabbricato era provvista di un portico a copertura in legno, per consentire un collegamento riparato tra l'accesso laterale alla chiesa e gli ambienti al piano terreno, sebbene questo sia documentato soltanto archeologicamente (per es. Padova, Bergamo, Gubbio, eremi in Terra di Siena).L'esigenza di edificare un refettorio a sé stante per fare posto alla sala comunitaria nell'ala conventuale sembra maturare nel corso del Trecento e limitarsi comunque ad alcuni centri di maggiore prestigio (per es. Padova, Tolentino, Gubbio). L'edificazione di un nuovo braccio, parallelo alla chiesa, poteva comportare una strutturazione su due livelli, destinando il piano superiore ad ampliamento del dormitorio. Tuttavia l'erezione del chiostro per tutto il sec. 14° non è consequenziale all'innalzamento di una seconda ala; la sua eccezionalità nel convento tolentinate, nella seconda metà del secolo, appare giustificata dall'importanza a cui era assurto il centro per merito soprattutto del culto di s. Nicola da Tolentino (Cappellone di S. Nicola, 1326 ca.; Pistilli, 1994; Dellwing, 1994) e forse condizionata dalle vicende del cantiere assisiate.
Bibl.:
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