Weil, Eric
Filosofo tedesco, naturalizzato francese (Parchim, Meclenburgo, 1904 - Nizza 1977). Dalla natia Germania, in cui era stato allievo di Cassirer, fu costretto dall’avvento del nazismo a emigrare in Francia, dove, dopo aver partecipato alla Resistenza durante la Seconda guerra mondiale, fondò nel 1946, con Bataille, la rivista Critique. Insegnò nelle univv. di Lilla e di Nizza. Segnato dall’influenza di Kojève, anche W. ebbe in Hegel il centro dei suoi interessi, in partic. dal punto di vista della filosofia politica, anche se non bisogna dimenticare il peso che ebbe su di lui il pensiero di Weber. In Hegel et l’État (1950; trad. it. in Hegel e lo Stato e altri scritti hegeliani), in polemica con le letture ‘stataliste’ di stampo bismarckiano del filosofo tedesco, egli rivendicò il carattere aperto e liberale della filosofia di Hegel. L’altra opera fondamentale di W. è Logique de la philosophie (1950; trad. it. Logica della filosofia), in cui lo hegelismo antisistematico e aperto di cui si è detto si collega alla distinzione diltheyana di «spiegare» (erklären) e «comprendere» (verstehen) e alla conseguente distinzione fra scienze della natura e scienze dello spirito, secondo una strada che è molto affine a quella che, nei suoi primi lavori, aveva percorso Aron. Alla filosofia, in quanto disciplina del comprendere, è essenziale il momento del dialogo: per questo essa si contrappone al lavoro e all’utile e si distingue dalla scienza, che è legata alla tecnica. Delineando così la filosofia come un mondo di dibattito e di confronto dialogico estraneo alle preoccupazioni pratiche, W., in cui si avverte fortemente, in questo punto, l’ispirazione kantiana, oltre che weberiana, rivelava anche l’influenza della cultura filosofica francese che, da Bergson a M. Mauss fino a Bataille, aveva avuto nella polemica con l’utilitarismo uno dei suoi temi fondamentali. Altri aspetti importanti della riflessione weiliana, in cui, oltre all’influenza di Kant e Kojève, si avverte anche quella delle tematiche esistenzialistiche tipiche del dopoguerra francese, sono la riflessione sul male e sulla violenza, che egli considera inestirpabili, e quella sulla libertà come scelta non razionalmente giustificabile, anzi assurda; temi, questi, che svolse, oltre che nella citata Logique de la philosophie, nelle opere Philosophie politique (1956; trad. it. Filosofia politica), e Philosophie morale (1961).