Kettelhut, Erich
Scenografo tedesco, nato a Berlino il 1° novembre 1893 e morto ad Amburgo il 13 marzo 1979. Faceva parte della triade di grandi scenografi di formazione espressionista (assieme a Otto Hunte e a Karl Vollbrecht), al cui interno ricopriva un ruolo intermedio, in parte ideativo, in parte di preparazione dei disegni particolareggiati. La triade è legata ad alcuni tra i migliori film di Fritz Lang, Dr. Mabuse, der Spieler (1922; Il dottor Mabuse), Die Nibelungen (1924; La canzone dei Nibelunghi) e Metropolis (1927).
Dopo aver completato gli studi e aver compiuto le prime esperienze professionali come decoratore di scenografie teatrali, debuttò nel cinema con il film in otto parti Die Herrin der Welt (1919; La signora del mondo) di Joe May, in collaborazione con Martin Jacoby-Boy, Hunte e Vollbrecht, e diede il suo contributo ad altri film prima dell'incontro con Fritz Lang (per il rapporto con il regista v. anche Hunte, Otto). Al di là del confronto con una cifra stilistica forte come quella langhiana, e al di fuori dei condizionamenti di ogni lavoro d'équipe, le prove più personali di K. si riscontrano nelle scenografie realizzate per due film di Paul Czinner: Doña Juana (1927), in cui collaborò con Leo Pasetti, e Fräulein Else (1929), nonché in quelle per Asphalt (1929; Asfalto) di May. È in quest'ultimo, infatti, che K. rivela una sensibilità peculiare, non tanto ascrivibile alla temperie espressionista in senso stretto quanto all'universo umiliato del silenzio piccolo-borghese, proprio del Kammerspiel del grande sceneggiatore Carl Mayer. Tuttavia la scala ‒ luogo simbolico tipico della 'fotogenia dell'anima', regno dei drammatici contrasti tra luci e ombre ‒ ideata da K. per Asphalt appartiene di diritto alla serie canonica delle scale espressioniste, a cominciare da Hintertreppe (1921) di Leopold Jessner e Paul Leni.Ma il richiamo all'avanguardia può essere convalidato da un ulteriore elemento: prima ancora di lavorare per Czinner e May, K. aveva prestato la sua consulenza scenografica (e la sua perizia tecnica) a Berlin. Die Sinfonie der Grossstadt (1927) di Walther Ruttmann, le cui immagini in qualche modo 'rubate' (tipiche del documentario) imponevano l'esigenza di mascherare la macchina da presa (e gli stessi operatori) con elementi scenici posticci, spesso da inventare e allestire sul momento, per i quali l'abilità e la discrezione di K. si rivelarono doti estremamente preziose. La carriera di K., da quell'abile professionista che era, continuò negli anni Trenta con le scenografie per film di Robert Siodmak, Paul Martin, André Beucler, Johannes Meyer, Karl Hartl, ma ormai il cinema tedesco non offriva più grandi opportunità. Dopo il vuoto spaventoso degli anni Quaranta, tra il nazismo e la guerra, anche gli anni Cinquanta non presentarono che occasioni mediocri: K. non se l'era sentita di lasciare la Germania, come altri avevano fatto, e continuò a prestare la sua opera per film di scarso valore di Harald Reinl, Josef von Baky, Georg Jacoby, Gustav Fröhlich e altri. Significativo, però, appare il nuovo incontro con F. Lang, tornato in patria dagli Stati Uniti per girare nel 1960 l'ultimo film della 'serie Mabuse', Die 1000 Augen des Dr. Mabuse (Il diabolico dottor Mabuse), dove l'estrema incarnazione del personaggio langhiano si inserisce in un universo tecnologico attualissimo, nel monopolio terrificante di un potere pervasivo e occulto.