KARLFELDT, Erik Axel
Poeta svedese, nato a Folkärna in Dalecarlia il 20 luglio 1864, morto a Stoccolma il 31 aprile 1931. Fu prima insegnante, poi bibliotecario; infine, dal 1912, segretario permanente dell'Accademia svedese, la quale conferì, dopo la sua morte, il premio Nobel alla sua memoria. Fu squisito critico (Skalden Lucidor, 1912; C. F. Dahlgrén, 1921) e oratore. Ma fu, soprattutto, un poeta: uno di quei tipici scaldi svedesi, come Bellman e Fröding, per i quali la poesia è dono di natura e miracolo, istintivo estroso svelarsi della vita, all'infuori di ogni razionale elaborazione del pensiero, in necessità di canto. E fu tutto ciò in un tono nuovo, esperto di ogni moderna raffinatezza di forme e delicatezza di sensibilità, ma rimanendo sempre, in fondo, un blocco compatto di vergine natura, semplice, sano, forte; come il Fridolin delle sue canzoni, che ha studiato il latino, ma quando parla il linguaggio della sua vera vita, ritrova schietto l'accento contadino della sua parlata. Già in quella prima raccolta, Vildmarks och kärleksvisor (Canzoni della marca selvaggia e canzoni d'amore), più che da un'interiorità meditativa, la poesia nasce da un'esperienza di "lavoro d'ascia, di carro e di aratro" e ha odor di terra" e "respiro d'aria libera e viva fra prati e foreste": nella reazione realistica contro tutto ciò che può parere sentimentalismo romantico, il getto del canto si libera, a tratti, nitido e limpido, risolvendo in purità di melodia anche le più oscure ebbrezze o angosce del cuore (v. Ur hjärtats gåtbok, Dal libro dei segreti del cuore; Augustikväll, Sera d'agosto; Drömd lycka, Felicità sognata; Ung kärlek, Giovane amore, ecc.). E come un naturale getto inesauribile di melodie è tutta la poesia di Fridolin (Fridolinsvisor, Le canzoni di F., 1898; Fridolins lustgård, Il giardino di F., 1901; riuniti più tardi in Fridolins poesi, La poesia di F., 1907). È un mondo poetico, semplice, ma tutto concreto, corporeo, chiaro; tanto che, come di rado avviene nella lirica, esso appare tutto popolato di una folla di figure nettamente disegnate, caratteristiche, tali da ricordare le figure della lirica di Bellman.
Il sorriso e il sentimento, la lirica e l'umorismo sono talmente fusi insieme che precisamente nella loro fusione la poesia trova le sorgenti del proprio stile, e nei Dalmålningar på rim (Pitture dalecarliensi in rima, 1901), che conchiudono il ciclo di Fridolin, K. riesce ad ampliare i propri orizzonti così da giungere a comprendere, senza mutare colore né tono, oltre il mondo della realtà, anche il mondo della leggenda.
La Vergine Maria che avanza sul prato fresco Sjugareb, rosea e bionda e con una carnagione di fiore di mandorlo, nel volto e nel vestito in tutto simile a una fanciulla dalecarliense; il profeta Elia che sale al cielo su uno dei carri del paese, portando in testa il suo cilindro e al fianco il suo gran parapioggia; il profeta Giona, che è anch'egli come un dalecarliense in mare, il "conte del maggio", il "ricco epulone", ecc., non sono caricature, ma umoristiche immagini, attraverso la cui linea caricaturale la poesia dell'anima di Karlfeldt giunge a ritrovare la propria più pura, a un tempo smaliziata e ingenua, natura, con un procedimento d'arte che ricorda - come forse nessun'altra opera nella letteratura moderna - la delicata arte di Gottfried Keller nelle Sieben Legenden.
L'ulteriore sviluppo della poesia di K. fu, com'era naturale in un uomo di animo semplice ma d'alta cultura, un approfondimento sempre maggiore d'interiorità. La lirica d'amore Flora och Pomona (1906), riprendendosi a motivi d'ebbrczza erotica e cosmica già affacciantisi nella poesia precedente, li sviluppa in profondità, con un'intensità nuova di tono, creando una poesia satura di musica e di colore, ebbra di senso e di sofferenza, che tocca tutti gli accenti estremi della passione. La lirica Flora och Bellona (1918), nata in gran parte durante la guerra mondiale, riflesso immediato della tragicità della storia nella vita appartata di un'anima solitaria, amplia alla poesia gli orizzonti, elevandola a momenti, nella coscienza dell'umano soffrire, a un tono di universale pietà. La lirica dell'ultima raccolta Hösthorn (Il corno autunnale, 1928) discende infine alle più intime, religiose profondità della vita, e forse la più alta parola che K. abbia detto, come uomo e come poeta, è quella di Höstpsalm (Salmo autunnale), francescana parola di poesia, in cui l'uomo e Dio, il creatore e le creature, il peccare e il soffrire appaiono acquietati in un umile sentimento dell'infinita bontà della vita.
Opere: Samlade värker, voll. 6, Stoccolma 1931.
Bibl.: R. Gson Berg, Svenska skalder från nyttiotalet, Stoccolma 1921; A. M. Carlsson, E. A. Karlfeldt, Stoccolma 1924; T. Fogelquist, E. A. Karlfeldt, Stoccolma 1931.