Vedi Eritrea dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Pur essendo un piccolo paese, l’Eritrea ha un’importanza strategica rilevante per la sua posizione lungo la costa del Mar Rosso, come retroterra del Canale di Suez e sbocco commerciale dei traffici provenienti dall’altopiano etiopico.
Dopo la colonizzazione italiana e la successiva occupazione britannica, l’Etiopia inglobò l’Eritrea (1962), nonostante le Nazioni Unite nel 1950 avessero stabilito che l’Eritrea dovesse essere federata all’Etiopia, ma rimanendo autonoma. Questa unione forzata fu la causa scatenante di un conflitto fra Eritrea e Etiopia che durò trent’anni, alla fine del quale Asmara conquistò l’indipendenza, sancita da un referendum nel 1993. Alla guida del paese si impose Isaias Afewerki, leader dell’Eritrean People’s Liberation Front (Eplf), il partito che aveva combattuto la lotta di liberazione e che nel 1994 è diventato il People’s Front for Democracy and Justice (Pfdj).
Nei primi anni dopo l’indipendenza il paese sembrò muoversi verso una democrazia libera e multipartitica. In seguito prevalse però una linea politica autoritaria, che portò il regime di Isaias Afewerki alla progressiva militarizzazione, a scapito del rispetto dei diritti umani, e a entrare in conflitto diretto o indiretto con i paesi vicini.
Un primo confronto armato, scoppiato tra Eritrea e Yemen nel 1995 per la sovranità sulle Isole Hanish è stato risolto con un arbitrato internazionale. Parte del confine con Gibuti è invece rimasto conteso e non sono mancati gli incidenti lungo il confine con il Sudan. A influire negativamente sulla stabilità dell’intero Corno d’Africa è stato però il deterioramento del rapporto con l’Etiopia. La potenziale vicinanza fra Asmara e Addis Abeba era legata al fatto che il Pfdj aveva un largo seguito tra la popolazione tigrina, come l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (Eprdf), l’attuale partito di governo in Etiopia.
Inoltre il Tigray People’s Liberation Front (Tplf), principale componente dell’Eprdf, aveva combattuto il regime Derg a fianco dell’Eplf. Nel 1997 l’uscita dell’Eritrea dall’area monetaria del birr etiopico e l’introduzione della nuova moneta nazionale (il nakfa) innescò un’escalation politica e militare che portò alla guerra del 1998-2000, scoppiata per una controversia lungo il confine etiopico-eritreo. Il conflitto ha provocato più di un milione di sfollati, il paese ha dovuto fronteggiare anche migliaia di profughi di ritorno dal Sudan e quelli espulsi dall’Etiopia. Il dispiegamento, nel giugno del 2000, della United Nations Mission in Eritrea and Ethiopia (Unmee) come forza di interposizione internazionale ha portato alla cessazione del conflitto, ma non ha definitivamente risolto la controversia, visto che Addis Abeba non ha accettato il verdetto sul confine. Il 1° agosto 2008 la Unmee è terminata per decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a causa delle continue interferenze di Asmara, che ha boicottato l’operatività della missione internazionale. Nel 2012 un’incursione delle truppe etiopiche in territorio eritreo ha nuovamente fomentato le tensioni fra i due paesi. Ora vige una fragile pace ma la tensione è alimentata dalle reciproche accuse di sostenere gruppi ribelli.
Il crescente isolamento internazionale ha provocato gravi danni soprattutto nel 2011, quando l’Eritrea ha dovuto far fronte alla peggiore carestia nel Corno d’Africa dal 1960. Il governo, che ha sempre negato il problema, non ha ricevuto aiuti alimentare dai grandi donatori. In chiave anti-etiopica, e per uscire dalla condizione di paese ostracizzato, Afewerki ha stretto un’alleanza strategica con il Sudan di Omar al-Bashir e ancora oggi sostiene il movimento jihadista somalo al-Shabaab.
Nel dicembre 2009 le Nazioni Unite hanno votato un embargo militare insieme a sanzioni economiche contro l’Eritrea per la sua ingerenza in Somalia. Nel dicembre 2011 sono state imposte nuove sanzioni per il sostegno ai gruppi armati del Corno d’Africa e il mancato riconoscimento del conflitto confinario con Gibuti. Esse richiedono alle imprese straniere operanti nel settore minerario di assicurarsi che i proventi non vengano utilizzati per finanziare azioni belliche e esigono che gli stati membri si assicurino che l’Eritrea non faccia uso di coercizione per la riscossione della tassa del 2% sulle rimesse dei suoi cittadini residenti all’estero.
Nel gennaio 2013 cento soldati si sono ribellati al governo di Asmara, occupando il ministero dell’informazione e costringendo un giornalista a leggere un comunicato in cui esigevano l’attuazione della Costituzione del 1997, la tenuta delle elezioni (posticipate a data da destinarsi dal 2001) e il rilascio dei prigionieri politici. Sebbene la rivolta sia stata bloccata sul nascere, ha evidenziato il forte malcontento nei confronti di Afewerki. Al fine di placare il malcontento popolare e per prevenire possibili colpi di testa tra le fila militari, Afewerki ha annunciato nel maggio 2014 una rivisitazione dell’attuale Carta costituzionale; promessa che non è stata ancora mantenuta.
L’Eritrea è membro delle Nazioni Unite e dell’Unione africana. Nel 2007 si è ritirata dall’Intergovernmental Agency for Development (Igad), che appoggiava l’Etiopia nella guerra tra i due paesi, ma nel 2011 ha chiesto la riammissione. Dal 2003 ha acquisito lo status di osservatore presso la Lega Araba, facendo dell’arabo la seconda lingua ufficiale del paese, tanto che Isaias Afewerki non disdegna di utilizzarlo nei suoi discorsi.
La popolazione eritrea comprende gruppi che parlano tigrino (circa l’80% del totale), oltre a Saho, Afar, Hedareb, Bilen, Kumana, Nara e Rashaida. Sull’altopiano si concentra la popolazione cristiana copta, mentre quella del bassopiano è prevalentemente musulmana sunnita.
A seguito della guerra del 1998-2000, la Chiesa copta d’Eritrea ha subito un progressivo processo di politicizzazione che l’ha portata a staccarsi nel 1998 dal patriarcato etiopico e a stabilire un proprio sinodo autonomo. In epoca coloniale si diffusero nel paese anche il cattolicesimo e il protestantesimo, che tuttavia hanno mantenuto un peso secondario.
Oltre all’inglese e all’italiano, utilizzati nell’istruzione superiore e nel commercio, le lingue più diffuse sono il tigrino e l’arabo. Nonostante gli sforzi fatti nel campo dell’istruzione primaria, il sistema scolastico eritreo rimane largamente deficitario. La nazionalizzazione dell’unica università, gestita ad Asmara da missionari cattolici, ha contribuito a ridurre ancor di più le possibilità di formazione per i giovani eritrei.
Il paese è afflitto da una cronica e diffusa scarsità di cibo, in particolare nelle zone rurali, e da carenze igieniche e sanitarie. Le Nazioni Unite hanno più volte accusato il governo di non rispettare i diritti umani, tanto da parlare di crimini contro l’umanità nei confronti della sua popolazione. Abusi, violenze e torture a danno dei civili e in particolare dei prigionieri politici sono all’ordine del giorno. Un gran numero di detenuti è irrintracciabile e le richieste delle famiglie non trovano alcun seguito. Le organizzazioni per la tutela dei diritti umani hanno più volte denunciato l’impiego del lavoro forzato nel settore minerario. Nonostante la costituzione preveda il multipartitismo, l’unico partito a poter operare legalmente è il Pfdj di Isaias Afewerki. I media sono interamente controllati dallo stato e l’Eritrea si colloca nelle ultime posizioni nelle classifiche riguardo la libertà della stampa.
Le condizioni di oppressione politica, di povertà endemica e il fatto che la leva militare obbligatoria si estenda spesso molto oltre il suo limite spiegano l’altissimo numero di cittadini eritrei rifugiati all’estero. Ad ottobre 2013 la morte di 300 migranti irregolari, la maggioranza dei quali eritrei, annegati a largo dell’Isola di Lampedusa mentre stavano per raggiungere le coste italiane, ha riproposto il tema della restrizione dei diritti umani in Eritrea. La decisione della autorità italiane di invitare alle esequie ufficiali rappresentanti del governo di Asmara è stata fortemente criticata da diversi esponenti della società civile.
La decisione della Commissione europea di stanziare nel 2015 un aiuto di 312 milioni di euro all’Eritrea ha suscitato molte polemiche, soprattutto alla luce dell’ultimo report delle Nazioni Unite che denuncia nuovamente le forti mancanze di Asmara.
Circa l’80% della popolazione dipende da un’agricoltura di sussistenza, mentre i settori ad alta intensità di capitali per la produzione di prodotti d’esportazione sono stati gravemente compromessi dalle guerre e dal forte controllo statale sulle imprese. Le rimesse della diaspora costituiscono una delle più importanti entrate del paese e la principale fonte di sostentamento per buona parte della popolazione. L’economia è trainata dal settore estrattivo che condiziona positivamente anche le infrastrutture. Nonostante un picco nel tasso di crescita economica del 7,5% nel 2012, raggiunto anche grazie a una riforma che ha permesso alle miniere di rame e di oro di Bisha e di Koka di accrescere le proprie performance estrattive, i risultati dell’Eritrea sono modesti e sotto il loro potenziale, tanto che per il 2015 si prevede una crescita dello 0,2%. Lo sviluppo è impedito da numerosi deficit strutturali, oltre che dalla cattiva gestione politica, l’eccessiva spesa militare e lo scarso investimento estero (ad eccezione del settore estrattivo). L’ecosistema del paese è stato gravemente danneggiato dalla deforestazione, dall’eccessivo sfruttamento dei pascoli e dall’erosione dei terreni coltivabili, anche a causa degli eventi bellici.
La decisione del governo eritreo di espellere dal paese tutte le agenzie occidentali di cooperazione ha ulteriormente indebolito l’economia nazionale. Solo la cooperazione cinese ha potuto continuare ad operare. In particolare, i cinesi stanno potenziando il settore sanitario e quello idrico nella capitale. Tuttavia il volume di affari legati alla cooperazione di Pechino è trascurabile rispetto agli interessi cinesi in paesi vicini come Etiopia e soprattutto Sudan. Anche i rapporti con l’Italia sono andati notevolmente migliorando come testimoniato dal viaggio ufficiale dell’ex viceministro degli esteri Lapo Pistelli in Eritrea nel 2014 (l’ultima fu quella del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nel 1997), tappa di un tour che lo ha portato anche in Somalia, Gibuti, Sudan e Etiopia. Obiettivo del ritrovato rapporto è il rilancio di una cooperazione economica e politica bilaterale.
L’Eritrea ha subito un processo di militarizzazione crescente fin dal dominio italiano, quando le truppe coloniali rappresentavano la principale risorsa della colonia. Al momento dell’indipendenza la popolazione militarizzata raggiungeva le 200.000 unità (circa il 3% della popolazione), di cui il 30% erano donne. Nel 1995 il 45% degli effettivi venne congedato, ma nel 1998, con la guerra contro l’Etiopia, le forze militari raggiunsero i 300.000 arruolati. Ancora oggi il comparto militare eritreo conta circa 200.000 unità. Il governo ha dichiarato che ritiene necessario avere un’ampia forza di difesa per difendersi dalle ambizioni egemoniche dell’Etiopia.
Gli eritrei che fuggono dalla dittatura di Isaias Afewerki sono circa 5.000 al mese e, essendo la rotta del Mediterraneo orientale quella maggiormente battuta, essi rappresentano il gruppo nazionale più numeroso che raggiunge le coste italiane. Nel 2014 i migranti provenienti dall’Eritrea hanno rappresentato il 22% degli arrivi complessivi nella penisola. Asmara si trova anche al vertice delle classifiche per il numero di richiedenti asilo in Europa e negli Stati Uniti. Le ragioni che spingono così tanti eritrei a lasciare il proprio paese sono la scarsità di cibo e la violenza di un governo dittatoriale che non garantisce diritti e libertà individuali. Il regime di Asmara è stato più volte accusato dalle Nazioni Unite di compiere gravi violazioni dei diritti umani e il paese è spesso paragonato alla Corea del Nord, con la quale condivide gli ultimi posti delle graduatorie sulla libertà di stampa. Il dissenso interno nei confronti di Isaias Afewerki viene duramente represso, spesso con il ricorso a reclusioni e violenze. In queste condizioni, lasciare clandestinamente il paese è spesso l’unico modo per sottrarsi alla repressione del regime. La leva obbligatoria, in origine di diciotto mesi, viene estesa molto oltre il termine e ai cittadini al di sotto dei cinquant’anni non vengono rilasciati visti per lasciare il paese. Il prolungamento del servizio militare è considerato dall’Un la principale ragione della fuga degli eritrei. Le famiglie di coloro che lasciano il paese clandestinamente, tuttavia, rischiano multe e detenzione e in diversi casi i migranti stessi, quando scoperti, vengono giustiziati.