Eritrea
(XIV, p. 220; v. africa orientale italiana, App. I, p. 62; eritrea, App. II, i, p. 868; III, i, p. 567; V, ii, p. 136; etiopia, App. IV, i, p. 730)
Geografia umana ed economica
di Paolo Migliorini
L'E., costituitasi in Stato sovrano il 24 maggio 1993, ha una superficie di 121.143 km² e una popolazione stimata in 3.577.000 ab. nel 1998. Oltre un milione di Eritrei (la metà dei quali rifugiati nel Sudan) vive fuori dei confini della madrepatria. La capitale, Asmara, contava 367.300 ab. nel 1991.
L'E. è uno dei paesi più poveri dell'Africa; alla fine della guerra, nel 1991, la maggior parte della popolazione dipendeva, per la sopravvivenza, dagli aiuti internazionali e, a tutt'oggi, gli indicatori economici e sociali delineano un quadro d'insieme particolarmente depresso, pur essendo stati avviati sia il processo di ricostruzione dell'economia sia la realizzazione nel territorio di infrastrutture.
L'agricoltura, che fra il 1980 e il 1990 ha registrato un calo di produzione dell'ordine del 40%, è praticata su un'estensione di circa 320.000 ha sugli altipiani, dove le precipitazioni sono sufficienti per la pratica delle principali colture: teff (un cereale locale), mais, grano, sorgo e miglio. Ma le ricorrenti siccità (particolarmente disastrosa quella del 1993) e l'erosione del suolo concorrono a creare un ambiente sfavorevole alle attività agricole, che risultano assai poco remunerative. La pesca nel Mar Rosso ha dato finora risultati modesti (3800 t nel 1995), ma presenta prospettive di sviluppo interessanti. Ricerche di idrocarburi sono in corso nei fondali del Mar Rosso, dove è stata accertata la presenza di consistenti riserve potenziali; altra risorsa mineraria finora scarsamente valorizzata è l'oro.
L'apparato industriale, tradizionalmente incentrato sulla produzione di vetro, cemento, calzature, cibi conservati e bevande, aveva iniziato ad ammodernarsi e diversificarsi per effetto di una politica tendente a liberalizzare gli scambi commerciali, attirare gli investitori stranieri, incentivare le industrie orientate all'esportazione; ma tale processo di modernizzazione si è pressoché bloccato a seguito dei nuovi scontri armati con l'Etiopia del 1998 e del 1999.
Nel 1993 l'E. è stata ammessa al gruppo dei paesi ACP (Africa, Caribi, Pacifico) aderenti alla convenzione di Lomé. La bilancia dei pagamenti, grazie al consistente apporto delle rimesse degli emigrati, è in attivo, e l'E., pur avvalendosi di massicci aiuti finanziari della cooperazione internazionale, ha la peculiarità di essere uno dei pochi Stati africani immuni dalla crisi del debito con l'estero.
bibliografia
Emergent Eritrea: challenges of economic development, ed. G.H. Tesfagiorgis, Lawrenceville (N.J.) 1993.
T.G. Gebremedhin, Beyond survival: the economic challenges of agriculture and development in post-independent Eritrea, Lawrenceville (N.J.) 1997.
Storia
di Emma Ansovini
Nel maggio del 1991, da un lato la conquista di Asmara da parte del Fronte popolare di liberazione dell'Eritrea (FPLE) e dall'altro la caduta del regime di Manghistù in Etiopia segnarono la fine del lungo e sanguinoso conflitto che aveva opposto il governo etiopico al FPLE, il movimento di ispirazione marxista divenuto dagli anni Settanta il protagonista della lotta di liberazione. La guerra lasciava un paese stremato con un settore agricolo pressoché distrutto, un'economia urbana praticamente inesistente, più di 700.000 profughi (circa un quinto della popolazione, il cui reinserimento si presentava, data la situazione, particolarmente difficile), e il resto della popolazione ai limiti della sussistenza, largamente dipendente dagli aiuti umanitari. A questo si aggiungeva l'urgenza della reintegrazione nella vita civile di una consistente parte delle forze armate; si trattava spesso di giovani che non avevano conosciuto altra esperienza che quella della guerra. La conferenza internazionale, svoltasi a Londra nell'agosto 1991, che vide la partecipazione, sotto la presidenza degli Stati Uniti, del FPLE e del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiopico, giunto al potere nel maggio 1991, riconobbe la legittimità del governo provvisorio, guidato da I. Afewerki e costituitosi subito dopo la presa del potere, e definì le modalità del referendum sull'indipendenza da tenersi nel 1993. Le prime misure varate dal governo, che riguardavano il sostegno all'industria statale, all'agricoltura e alla pesca, erano volte ad affrontare la drammatica situazione economica, ma trovarono inizialmente un ostacolo, soprattutto per quanto riguardava il possibile intervento di investitori esteri, nell'orientamento marxista del FPLE e nell'ancora indefinito status internazionale del paese. Quest'ultima difficoltà fu superata grazie al referendum popolare dell'aprile 1993, che con una straordinaria partecipazione al voto e con una maggioranza di favorevoli del 99,8% sancì l'indipendenza definitiva del paese, e grazie all'ammissione all'ONU nel maggio 1993. Riguardo all'altro aspetto invece, anche per la preoccupazione della possibile nascita di movimenti a base etnica e religiosa, l'introduzione di una Costituzione e di un sistema politico basato sul multipartitismo venne rinviata al termine di un periodo di transizione di quattro anni. Il potere esecutivo fu affidato a un Consiglio di Stato, guidato da Afewerki, e quello legislativo a un'Assemblea nazionale, composta dai membri del Comitato centrale del FPLE e da 60 rappresentanti eletti dalle assemblee provinciali o selezionati dallo stesso Comitato centrale, tra cui almeno 10 donne. Uno dei primi atti dell'Assemblea nazionale, che aveva anche il compito di nominare una commissione per l'elaborazione di un progetto di Costituzione da sottoporre a referendum popolare, fu l'elezione di Afewerki alla presidenza della Repubblica. Nel febbraio 1994 il FPLE decise di trasformarsi da movimento armato in partito politico, assumendo il nome di Fronte popolare per la democrazia e la giustizia. Questo cambiamento coincise con l'adozione di una linea politica più moderata e pragmatica e l'attenuazione di fatto del richiamo all'ideologia marxista ma, nonostante la riaffermata necessità di instaurare un regime pluralistico, non comportò aperture riguardo alla libertà di associazione e di organizzazione e quindi non avviò un sostanziale processo di democratizzazione. Furono varati incentivi agli investimenti stranieri per far fronte a una disastrosa situazione economica, aggravata anche dalla siccità che aveva colpito la regione nel 1993-94, mentre si procedeva a una razionalizzazione del settore pubblico e a una riforma amministrativa che riduceva le regioni da 10 a 6.
La bozza della nuova Costituzione, che prefigurava un regime di tipo presidenzialistico insieme alla fine del monopartitismo, una volta elaborata dalla commissione, subì un complesso iter di verifica: fu sottoposta al vaglio di esperti internazionali nel corso di due conferenze tenutesi nel giugno 1994 e nel gennaio 1995, e successivamente fu discussa in assemblee che coinvolsero popolazione ed esercito. Il testo definitivo fu ratificato, nel maggio 1997, da un'Assemblea costituente composta da 527 membri, provenienti dall'Assemblea nazionale, da rappresentanti di rifugiati eritrei e da eletti nelle assemblee regionali, con una quota del 30% riservata alle donne.
Nel contesto regionale l'E. mantenne inizialmente buoni rapporti con l'Etiopia, ma vide progressivamente peggiorare quelli con il Sudan, che pure aveva sostenuto in passato la lotta del FPLE, accusato di addestrare nel proprio territorio i membri dell'ala militare del ǧihād islamico, un gruppo di opposizione radicale al governo Afewerki. Il conflitto con il Sudan favorì l'avvicinamento dell'E. agli Stati Uniti e a Israele, che consideravano il governo di Khartum uno dei centri di riferimento del fondamentalismo islamico. Difficili e conflittuali, a partire dal 1995, furono le relazioni con lo Yemen per la disputa relativa alla sovranità sulle isole Ḥānish nel Mar Rosso.
All'inizio del 1998 si assistette a un rapido deterioramento dei rapporti con l'Etiopia, sfociato nel maggio in una vera e propria guerra condotta da ambedue le parti in un clima di crescente acceso nazionalismo. Il conflitto traeva origine da un'antica controversia, relativa a una striscia di terra lungo il confine con il Sudan - il cui assetto era stato definito dai trattati internazionali dell'inizio del Novecento -, ma sembrava alimentato anche da contrasti di carattere economico, intervenuti dopo la decisione dell'E. di battere una propria moneta (novembre 1997), e dalle preoccupazioni dell'Etiopia circa la possibilità di usufruire dei porti eritrei. Poco efficaci si rivelarono i primi tentativi di mediazione condotti dagli Stati Uniti, che con i due paesi avevano stabilito buoni rapporti, e dall'Organizzazione dell'unità africana.
bibliografia
R. Pateman, Eritrea takes the world stage, in Current history, 1994, pp. 228-31.
M. Plaut, Eritrea: in the eye of the storm, in The world today, 1995, pp. 26-28.
G. Kibreab, Ready and willing ... but still waiting. Eritrean refugees in Sudan and the dilemma of return, Uppsala 1996.