Ermanno di Salza
Presumendo che al momento dell'elezione a Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri teutonici E. avesse almeno trent'anni, la sua data di nascita verrebbe collocata prima del 1179. Egli apparteneva a una famiglia di ministeriales della Turingia, probabilmente della zona di Gotha-Langensalza-Sondershausen e, durante l'epoca in cui ricoprì la carica di Gran Maestro, le regioni della Turingia e dell'Assia divennero le zone in cui la presenza dell'Ordine teutonico fu più massiccia.
Nel 1209 o 1210 E. fu eletto Gran Maestro dell'Ordine teutonico (cf. Favreau, 1974, p. 80). Mentre i suoi predecessori erano stati personaggi di statura non eccezionale, sotto E., grazie ai suoi rapporti stretti con Federico II e con il Papato, l'Ordine teutonico assunse una rilevanza internazionale, che lo mise sullo stesso piano dei Templari e degli Ospitalieri. Oltre al Mediterraneo, che rimase per E. il centro dell'attività sua e dell'Ordine da lui guidato, presto la presenza dell'Ordine si estese anche all'Europa orientale, probabilmente con l'intenzione di crearvi una signoria territoriale. Nel 1211 il re d'Ungheria, Andrea II, chiamò i cavalieri dell'Ordine teutonico nel Burzenland per difenderlo contro i cumani pagani. Ma quando l'Ordine tentò di crearsi qui una signoria territoriale, nel 1225, il re ungherese ne decretò l'espulsione.
Un'altra zona in cui l'Ordine teutonico era attivo era la cosiddetta 'Piccola Armenia', ossia la Cilicia. Leone II, fino ad allora principe d'Armenia, nel gennaio 1198, a Tarso, era stato incoronato re dall'arcivescovo Corrado di Magonza e il suo Regno era entrato in un rapporto feudale con l'Impero romano. Quando E. visitò la Cilicia nel 1211-1212 insieme a Wilbrando di Oldenburg, incaricato da Ottone IV, vi erano già insediamenti dell'Ordine teutonico (cf. Forstreuter, 1967, pp. 60 s.). Nell'aprile 1212 l'Ordine ottenne da Leone II, che si disse confrater dell'Ordine, il castello di Amuda ("famosum castellum Amudain") e i villaggi di Selpin e di Buchequia, nonché il diritto di libero transito e commercio nel Regno armeno (Tabulae, 1869, nr. 46, p. 37).
Nonostante che il nome di E. non risulti tra quelli dei partecipanti al IV concilio lateranense del 1215, è probabile che vi abbia preso parte (Kluger, 1987, p. 8). Sembra che E. e Federico II si siano conosciuti nel dicembre 1216 durante una dieta tenutasi a Norimberga (ibid., pp. 8 s.).
Qualche tempo dopo, E. partì per la crociata e nel settembre 1217 doveva essere a Cipro (ibid., p. 9). Partecipò poi (nel 1218) all'assedio di Damietta. Quando il sultano al-Kāmil offrì, nel 1219, ai crociati una tregua trentennale che avrebbe compreso la restituzione del Regno di Gerusalemme nei suoi confini prima della battaglia di Ḥaṭṭīn (1187) a eccezione dei castelli di Kerak e di Montreal, a cui i musulmani non vollero rinunciare in quanto proteggevano la strada per la Mecca, E. si schierò con il partito favorevole ad accettare questa proposta, costituito dal re di Gerusalemme, Giovanni di Brienne, dai baroni di Terrasanta e dai francesi, mentre erano contrari il legato pontificio Pelagio, i Templari, gli Ospitalieri e gli italiani (ibid., pp. 13 s.). E. appoggiò la posizione di Giovanni di Brienne perché anch'egli aveva un grande interesse alla restituzione del Regno di Gerusalemme, in quanto stava per acquistare per il suo Ordine la cosiddetta 'Seigneurie de Joscelin', a nord di Acri (cf. Mayer, 1980). Nella primavera del 1220 E. abbandonò, insieme a Giovanni di Brienne, l'assedio di Damietta.
Nell'ottobre 1220 fece parte della delegazione inviata da Federico II presso il papa, per trattare le condizioni per l'incoronazione imperiale (cf. Kluger, 1987, p. 21). Nel giorno dell'incoronazione di Federico II, il 22 novembre 1220, l'Ordine, ovviamente grazie all'intervento dell'imperatore, ottenne da papa Onorio III gli stessi diritti dei Giovanniti e dei Templari, nonché il diritto di portare il mantello bianco, contestato precedentemente da parte dei Templari e vietato ai Teutonici nel 1210 da papa Innocenzo III (ibid., p. 22). In seguito E. riuscì a ottenere per il suo Ordine una impressionante serie di privilegi imperiali e pontifici (ibid., pp. 23 ss.).
Nel maggio 1221 E. tornò a Damietta, dove i crociati subirono nell'agosto dello stesso anno una pesante sconfitta e furono costretti ad arrendersi. E. tornò (probabilmente nell'autunno del 1221) in Italia per riferire all'imperatore e al papa sull'infelice esito dell'impresa (ibid., pp. 34 s.). Il Gran Maestro partecipò poi alle trattative svoltesi a Ferentino nel marzo 1223, nelle quali l'imperatore ottenne dal papa un ulteriore rinvio della partenza per la Terrasanta (ibid., p. 36). Sembra che proprio E. avesse suggerito il progetto del matrimonio di Federico II con l'erede del Regno di Gerusalemme, Isabella di Brienne, celebrato il 9 novembre 1225 a Brindisi (ibid., pp. 36 ss.).
Dopo essere stato, nell'aprile 1223, nel seguito dell'imperatore, il Gran Maestro partì per la Germania per fare propaganda per la crociata di Federico II, ma anche per eseguire un'importante missione diplomatica: si trattava di ottenere dal conte di Schwerin il rilascio del re di Danimarca, Valdemaro II. Alla fine dell'anno, E. si recò alla corte dell'imperatore in Sicilia, dove arrivò ai primi del 1224 dopo essersi fermato nel dicembre 1223 presso la Curia romana (ibid., p. 40). Presto ripartì nuovamente alla volta della Germania, e il 4 luglio 1224 era presente alla stipula di un trattato in cui il re Valdemaro II di Danimarca, per ottenere il suo rilascio, fece importanti concessioni all'imperatore (ibid., pp. 42 s.).
Dopo aver partecipato alla dieta di Norimberga, a fine luglio del 1224, E. si recò di nuovo presso l'imperatore nell'Italia meridionale. In giugno fece parte della delegazione inviata da Federico II presso il papa per trattare un ulteriore rinvio della crociata (ibid., p. 46). Il 25 luglio 1225 fu stipulato l'accordo di San Germano, in cui fu concesso allo Svevo un ultimo rinvio di due anni per recarsi personalmente in Terrasanta, ma nel caso in cui, per qualsiasi motivo, non fosse partito entro questa data l'imperatore sarebbe stato scomunicato (ibid., pp. 46 ss.).
Nel 1226 E. fece parte del gruppo di delegati che per conto dell'imperatore trattò con la Lega lombarda che si era ricostituita. Benché le posizioni fossero troppo divergenti per poter arrivare a un accordo, il Gran Maestro si impegnò per una mediazione e per questo impegno ottenne l'apprezzamento del papa (ibid., pp. 66 ss.). Nel gennaio 1227 E. attraversò poi di nuovo le Alpi per recarsi in Germania a fare propaganda per l'imminente crociata dell'imperatore.
All'inizio di settembre del 1227 partì con Federico II da Brindisi, ma l'imperatore, ammalatosi, dovette sbarcare a Otranto e recarsi poi a Pozzuoli per curarsi. E. proseguì insieme al patriarca di Gerusalemme, Geroldo, e al duca Enrico di Limburgo, a cui era stato conferito il comando della spedizione costituita da venti galee, raggiungendo Acri via Cipro intorno alla metà dell'ottobre 1227. A nord di Acri era in corso, sin dalla prima metà del 1226, la costruzione del castello di Montfort, destinato a diventare la sede centrale dell'Ordine teutonico (ibid., pp. 74 ss.). Il 7 settembre 1228 arrivò finalmente in Terrasanta anche Federico II, il quale nel frattempo era stato scomunicato da Gregorio IX per aver rimandato nuovamente la crociata. Quando poi giunsero ad Acri due frati minori, inviati dal papa per sollecitare il patriarca di Gerusalemme a trattare l'imperatore come scomunicato e i tre Ordini militari a negargli qualsiasi appoggio (L'Estoire, 1859, p. 370), E. fu costretto a prendere posizione a favore dell'imperatore e contro il papa, essendo ormai divenuta impossibile la mediazione per la quale egli fino ad allora si era sempre impegnato. Federico II, per evitare di perdere l'appoggio dei Templari e degli Ospitalieri, rinunciò al comando sull'armata crociata, conferendo quello sui tedeschi e lombardi a E. e quello sui soldati originari dei Regni di Gerusalemme e di Cipro al maresciallo Riccardo Filangieri e al conestabile Odo di Montbéliard (Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. 159). L'imperatore avrebbe elogiato più tardi, nel marzo 1229, la fedeltà di E. e dei Cavalieri teutonici: "Unum tamen de magistro et fratribus sancte Marie Teutonicorum dicere possumus et merito non tacere, quod ab ipso adventus nostri principio in servitio Dei nobis tam devote quam efficaciter adsisterunt" (M.G.H., Leges, Legum sectio IV, 1896, p. 166).
Nel marzo 1229 E. inviò una lettera a Gregorio IX per giustificare il suo comportamento e la crociata di Federico II (ibid., nr. 121). Precedentemente il Gran Maestro aveva fatto parte della delegazione inviata presso al-Kāmil per ricevere da questi il giuramento del trattato stipulato con l'imperatore, che aveva già prestato questo giuramento il 18 febbraio 1229 (cf. Kluger, 1987, pp. 82 ss.). E. cercò invano di convincere il patriarca Geroldo di Gerusalemme a dare il suo consenso al trattato che restituiva la Città Santa ai cristiani. La presa di posizione del Gran Maestro a favore di Federico II e contro Gregorio IX mise l'Ordine teutonico in una situazione difficile, perché gli Ospitalieri cercarono di approfittarne e chiesero al papa di sottomettere a loro l'Ordine teutonico in quanto nato da un ospedale gerosolimitano, che nel sec. XII era stato dipendente dagli Ospitalieri.
Quando Federico II, sabato 17 marzo 1229, entrò con il suo esercito a Gerusalemme, E., al quale, come disse egli stesso, stava a cuore non soltanto l'onore dell'Impero ma anche quello della Chiesa ("nos vero, sicut ille qui honorem ecclesie et imperii diligit et utriusque exaltationi intendit"; M.G.H., Leges, Legum sectio IV, 1896, p. 167), convinse l'imperatore a non assistere, diversamente da quanto qualcuno gli aveva consigliato, alla celebrazione della messa nella chiesa del S. Sepolcro, in quanto una tale azione dello scomunicato Svevo avrebbe potuto essere interpretata da parte papale come un'ulteriore provocazione. Federico II entrò quindi soltanto dopo la fine della messa nella chiesa del S. Sepolcro, prese dall'altare la corona e se la mise sulla testa, senza alcun rito religioso, per recarsi così sul trono. Si trattava, come è stato chiarito in modo definitivo alcuni anni fa (Mayer, 1967, pp. 200-210), non di una 'autoincoronazione', bensì soltanto di un gesto compiuto frequentemente dagli imperatori nei giorni festivi, cioè quello di portare la corona (Festkrönung).
E. riferì di questo evento in una lettera inviata nel marzo 1229 a un membro della Curia romana, la cui identità non è nota (M.G.H., Leges, Legum sectio IV, 1896, nr. 123, p. 167). Egli scrive infatti che "il signor imperatore ha portato là [cioè nella chiesa del S. Sepolcro] in onore del re eterno la corona. Molto gli consigliarono di sentire là anche la messa, dato che egli aveva liberato questa terra dalle mani dei Saraceni, e perciò era stato scomunicato. Noi però, che apprezziamo l'onore della Chiesa e dell'Impero e ci impegniamo per l'esaltazione di entrambi, resistemmo a questo consiglio, perché non lo ritenemmo buono né per la Chiesa né per l'imperatore. E seguendo in ciò il nostro consiglio, egli [cioè Federico II] non partecipò alla messa, ma prese soltanto la corona senza benedizione dall'altare e la portò fino al trono, come è uso" (cf. Kluger, 1987, pp. 95-113).
Dopo questo atto, l'imperatore si recò probabilmente nella vicina casa degli Ospitalieri, dove ricevette i grandi del Regno di Gerusalemme. In quest'occasione E. proclamò davanti a una grande folla, tra cui c'erano anche personaggi preminenti come gli arcivescovi di Palermo e di Capua, in latino e in tedesco alcuni verba conscripta dell'imperatore, cioè un discorso dettato dallo stesso: Federico II "proposuit coram omnibus manifeste verba subscripta et nobis iniuncxit, ut verba sua ipsis latine et theutonice exponeremus" (M.G.H., Leges, Legum sectio IV, 1896, p. 167; cf. Kluger, 1987, pp. 113-117). In questo discorso l'imperatore giustificò le sue azioni e si dichiarò disposto a fare la pace con la Chiesa e con il papa. Dalla scelta del verbo exponere si può dedurre che il Gran Maestro non tradusse soltanto il discorso dell'imperatore, ma lo espose con parole sue (Kluger, 1987, p. 115 n. 153).
Prima di tornare in Italia, su richiesta di E. Federico II emanò, nell'aprile 1229, ad Acri sette diplomi in favore dell'Ordine teutonico (ibid., pp. 123-140). Sembra che E. fosse ancora rimasto per un po' di tempo in Terrasanta, perché probabilmente era presente, nel giugno 1229, all'atto di emanazione di un diploma di re Enrico di Cipro (Tabulae, 1869, nr. 71, p. 56). Nel luglio e nell'ottobre 1229 il Gran Maestro fece parte di delegazioni inviate dall'imperatore presso il papa per convincerlo a sciogliere lo Svevo dalla scomunica. Alla fine del 1229 e all'inizio del 1230 E. si recò numerose volte presso la Curia pontificia per proseguire le trattative e nel luglio fu finalmente conclusa la pace di San Germano, di cui il Gran Maestro era il principale artefice. In agosto furono chiarite le questioni ancora aperte; a E. fu affidata l'amministrazione di alcuni castelli ubicati al confine settentrionale del Regno di Sicilia, che l'imperatore cedette come garanzia dell'adempimento delle promesse formulate alla Chiesa. Dopo che Federico II, il 28 agosto 1230, era stato sciolto ufficialmente dalla scomunica, il 1o settembre l'imperatore fece una visita di cortesia a papa Gregorio IX ad Anagni. Al pranzo che il pontefice offrì a Federico II nella sua casa paterna, partecipò oltre a questi soltanto E. (Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. 171), una dimostrazione dell'assoluta posizione di fiducia ricoperta dal Gran Maestro presso papa e imperatore, ma anche del fatto che per la concordia tra le due potenze supreme della cristianità europea era necessaria l'opera di un "geniale mediatore" come E. (Stürner, 2000, II, p. 188).
Anche negli anni successivi E. operò instancabilmente per la pace tra Impero e papato, e anche con la Lega lombarda. L'impegno di mediatore del Gran Maestro nelle vicende italiane, che lo costrinse a essere spesso assente dalla casa principale dell'Ordine teutonico ad Acri, suscitò critiche da parte dei fratelli dell'Ordine residenti in Terrasanta già prima del 1232 (Houben, 2003) e tali critiche furono rinnovate nel capitolo generale di Marburgo del 1237 (Annales Placentini, 1863, pp. 475 ss.).
Come mediatore E. si impegnò tra il 1232 e il 1234 anche in Terrasanta, dove il maresciallo imperiale Riccardo Filangieri era venuto in conflitto con i baroni locali e con il comune di Acri (cf. Kluger, 1987, pp. 177-185), e lo stesso ruolo di mediatore svolse il Gran Maestro nel 1235 nei difficili rapporti tra Federico II e suo figlio Enrico (ibid., pp. 171 s.).
La cosiddetta 'bolla d'oro di Rimini', con cui Federico II donò a E. la Prussia conferendogli un ruolo paragonabile a quello dei principi dell'Impero, che porta la data del 1226, secondo recenti ricerche (Jasinski, 1994) in verità fu emanata soltanto nel 1235 e si colloca quindi non all'inizio ma alla fine degli impegni assunti dall'Ordine, al tempo di E., nel Baltico. Qui, in Prussia, E., forte delle esperienze negative fatte in Ungheria, escluse dalla lotta tutti i possibili concorrenti, cioè il duca Corrado di Masovia, il vescovo Cristiano di Prussia, i Cistercensi, nonché l'Ordine dei Cavalieri di Dobrin, che nel 1235 fu incorporato nell'Ordine teutonico.
Non sono convincenti le tesi che sostengono che E. si fosse recato nel 1231 in Spagna (così Forstreuter, 1967, pp. 90 ss., ma cf. Kluger, 1987, p. 164 n. 3) e nel 1232/1233 in Prussia (così da ultimo Löwener, 1998, pp. 59 ss., ma cf. Militzer, 2000, p. 4).
E. favorì l'espansione dei possedimenti e degli insediamenti dell'Ordine teutonico in Puglia e si fermò non di rado nella casa teutonica di Barletta, dove fu anche sepolto (Houben, 2000). Poco convincente è la tesi secondo la quale il Gran Maestro avrebbe forse voluto essere sepolto nella chiesa di S. Salvatore ad Andria (von Holst, 1976), anche perché l'appartenenza di questa chiesa all'Ordine teutonico non è provata. Alla fine del 1238, ovviamente per motivi di salute, E. si ritirò a Salerno, sede della celebre Scuola medica, dove morì il 20 marzo 1239. Proprio in questo giorno Gregorio IX scomunicò nuovamente e definitivamente Federico II, facendo svanire così il sogno di una pace tra Papato e Impero per la cui realizzazione il Gran Maestro si era sempre impegnato.
Nella storiografia tedesca E. è stato giudicato in maniera positiva. Significative sono a questo proposito le parole di Ernst Kantorowicz: "Per più di due decenni Ermanno di Salza fu alla corte di Federico II come il suo consigliere più intimo e amico più fidato; non solo a causa della sua carica come Maestro dell'Ordine Teutonico, ma per le sue alte doti personali, di cui Federico II in numerose faccende non poté fare a meno. Ermanno di Salza era probabilmente nativo della Turingia, e qualcosa del carattere turingio si trova in tutti i lati della sua personalità: non era né superficiale né impulsivo, ma ponderante e riflessivo, e tutte le sue azioni erano caratterizzate da affidabilità, rettitudine e forza intrepida che contraddistinguevano anche il suo Ordine. Si è spesso lodata la sua fedeltà, che non era solo una sua caratteristica, ma era la forza positiva che porta all'azione, quella che dai tempi remoti la si trova soltanto nei tedeschi. Proprio per la sua fedeltà, la figura del grande maestro dell'Ordine Teutonico assume un aspetto quasi tragico. Ermanno di Salza, infatti, aveva due signori, aveva prestato il giuramento di fedeltà al papa e all'imperatore, e ogni conflitto tra questi due poteri causò al gran maestro una tensione insopportabile. La necessità di essere fedele ai due signori costrinse più tardi Ermanno di Salza a correre numerose volte tra la curia pontificia e la corte imperiale, per conservare o ripristinare la pace negli anni duri dell'irresolubile conflitto. Egli stesso dichiarò che lo scopo della sua vita era 'agire per l'onore della Chiesa e dell'Impero'. Nel momento in cui la rottura tra i due poteri diventò insanabile, sembrò svanire nel Maestro dell'Ordine la possibilità di vivere: nello stesso giovedì Santo del 1239, in cui fu emessa la scomunica contro Federico II, Ermanno di Salza spirò" (19783, pp. 84 s.).
Nella storiografia polacca ha prevalso invece un giudizio negativo come quello di Karol Górski, per cui il Gran Maestro fu una figura molto ambigua. Originario di una famiglia di ministeriales, cioè cavalieri-servi che avevano conquistato la libertà, una irrefrenabile ambizione personale l'avrebbe spinto a ottenere per l'Ordine da lui guidato un territorio in cui costituire uno stato, il che gli avrebbe permesso di diventare principe. Questa ambizione sarebbe all'origine della cosiddetta 'bolla d'oro di Rimini'. Secondo Górski questo documento "aveva due aspetti differenti. Il primo concerneva la situazione personale di Hermann von Salza; l'altro i suoi progetti di fondazione di uno stato. In primo luogo entrò in causa la situazione personale: Hermann von Salza, gran maestro dell'Ordine, consigliere influente del papa e favorito dell'imperatore, era solo un plebeo, che aveva ricevuto la libertà in data assai recente, per i principi dell'Impero. Nel corso delle sue azioni diplomatiche per curare gli interessi di Federico II aveva dovuto senza dubbio inghiottire in silenzio molte umiliazioni: non era che un monaco cavaliere, senza antenati né parenti fra i grandi di Germania. Ora diventava pari ai principi e poteva reclamare precedenze, non trascurabili nelle missioni diplomatiche. Diventava insomma un principe ecclesiastico, come tanti abati e vescovi dell'Impero, e la sua autorità personale era rafforzata da un privilegio. Si trattava di qualcosa di molto reale, ed è perfino possibile che l'ambizioso Hermann avesse avuto in vista proprio questo fine, e che la fondazione di uno stato a spese di un principe polacco fosse per lui in secondo piano" (1971, p. 21). Più avanti Górski scrive su E.: "Se fu monaco, la sua opera fu di uomo politico, e nessuna delle sue azioni più importanti fu propria di un religioso" (ibid., p. 22). E ancora: "Era senza dubbio un grande uomo colui che moriva a Salerno nel 1239 e veniva sepolto a Barletta nella cappella dell'Ordine. Aveva dato alla Germania una nuova provincia, lanciando il proprio ordine ospitaliero nella scia dell'Impero. Dovendo scegliere fra due nozioni di cristianità, allora in lotta fra loro, l'Impero e il papato, aveva preferito il primo, ossia una concezione decisamente politica, piuttosto che religiosa. La scelta dei mezzi si era mostrata coerente con questa impostazione: aveva raggirato il principe di Masovia, mentre il vescovo di Prussia era stato lasciato in prigionia; non era rifuggito dal ricorrere a falsi documenti. Per un monaco non era poco" (ibid., p. 41). Un tale giudizio appare però oggi non più proponibile, in quanto non sembra convincente una netta contrapposizione tra aspetti religiosi e politici nell'opera del Gran Maestro, anche se va senz'altro condivisa l'opinione di Udo Arnold (1998, p. 13) secondo il quale E. fu forse il più grande politico alla guida dell'Ordine teutonico.
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