DALLA RIZZA, Ermenegilda (Gilda)
Nacque a Verona il 13 ott. 1892, secondogenita (il fratello maggiore Danilo morirà a 13 anni) di Guglielmo, di professione amministratore, e di Maria Pajola, casalinga, entrambi veronesi. Alla morte del padre - avvenuta quando la D. aveva otto anni - andò ad abitare a Sona (Verona) nella casa degli zii materni, ricchissimi proprietari terrieri che curarono la sua educazione facendole compiere gli studi dell'istituto magistrale, e allo stesso tempo le diedero una formazione musicale avviandola allo studio del pianoforte e della teoria.
Come accaduto a molte altre sue colleghe, anche la D. manifestò precocemente doti vocali precipue e del tutto particolari: in un saggio scolastico, nel salone di S. Sebastiano a Verona, interpretò, appena decenne, il ruolo della Sicilia in un concerto dedicato alle regioni italiane, ottenendo un grande successo coronato da insistenti richieste di "bis" e da una recensione sul quotidiano Arena.
Iniziò gli studi regolari di canto sotto la guida di V. Orefice e di A. Ricci a Bologna. Nel 1912 fu ascoltata durante una lezione da un impresario, che la scritturò - in pratica ancora studentessa - per la stagione al teatro Verdi di Bologna: qui la D. debuttò appena ventenne il 15 apr. 1912 nella parte di Carlotta in Werther di J. Massenet.
Trasferitasi da Verona a Milano, cominciò il giro degli impresari e delle audizioni organizzate dal suo primo agente Oreste Poli: finché, ingaggiata dall'impresa Mazzanti, cantò al teatro Coccia di Novara in La forza del destino di G. Verdi e a Firenze in La fanciulla del West di G. Puccini, ottenendo grande successo particolarmente in quest'ultima opera.
Lo stesso Puccini, presente come d'abitudine alle rappresentazioni della sua recentissima opera, rimase colpito dall'esecuzione vocale e soprattutto dalla interpretazione scenica della giovane debuttante al punto da tenerla ben presente - come si vedrà in seguito - per alcune delle sue future creature.
In questa stessa occasione la D. destò anche la curiosità e l'interesse di un'altra notevole personalità del mondo operistico dell'epoca, ossia del soprano Emma Carelli, che, trasformatasi in manager con W. Mocchi, gestiva le sorti del teatro Costanzi di Roma: immediatamente scritturata, e sotto l'attenta guida del celebre soprano, la D. il 20 febbraio 1913 eseguì in prima esecuzione assoluta l'opera comica Ugual fortuna di V. Tommasini, con scarso successo, e il 4 marzo La leggenda delle sette torri, altra opera nuova del compositore, critico e musicologo A. Gasco.
Sostituì inoltre immediatamente artiste della celebrità di M. Farneti (in Isabeau di P. Mascagni il 5 marzo) e di T. Poli Randaccio (in La fanciulla del West il20 aprile): e proprio per il successo conseguito nella difficile opera mascagnana la D. fu chiamata ad eseguirla anche al teatro Donizetti di Bergamo (il 21 agosto); successivamente fu costretta a spostarsi a Torino per onorare alcuni contratti che la legavano al teatro Vittorio Emanuele (ove eseguì Manon Lescaut di G. Puccini il 4 ottobre) e al politeama Chiarella (ove si presentò ancora in Manon Lescaut e La Bohème di G. Puccini e in La falce, operina di breve respiro di A. Catalani).
Nel gennaio dell'anno seguente fu di nuovo al teatro Costanzi, ove in principio oltre a nuove recite di Isabeau sostituì C. Boninsegna ne La dannazione di Faust di H. Berlioz e ottenne i ruoli di protagonista in Lohengrin di R. Wagner e Iris di P. Mascagni.
Il 24 marzo per una improvvisa malattia della titolare L. Pasini Vitale, moglie del direttore d'orchestra E. Vitale, la D. fu costretta ad interpretare il ruolo della protagonista in Parisina, l'ultima opera di P. Mascagni: avendo studiato i primi due atti in precedenza (poiché la Carelli intendeva affidare inizialmente proprio a lei la parte), per sua stessa ammissione (cfr. F. G. Rizzi, Verismo e bel canto) fu costretta da una sera all'altra ad "improvvisare" il terzo atto quasi di sana pianta, come notò anche buona parte della critica sui giornali.
È il caso di osservare che in queste due prime stagioni della sua carriera la D. cantò quasi costantemente sotto la direzione e la cura di E. Vitale, uno dei più importanti direttori d'orchestra italiani (L. Mugnone, T. De Angelis e F. Del Cupolo rappresentano sporadiche e felici parentesi): infatti è il teatro Costanzi (in cui E. Vitale era praticamente direttore stabile) quello in cui la D. muove i suoi primi, sicuri passi.
E poiché in questi due anni la D. aveva acquistata una notevole popolarità, la Carelli la propose a W. Mocchi per la compagnia che, muovendo dal Costanzi, visitava le città dell'America meridionale tra il maggio e il settembre-ottobre di ogni anno: era ovviamente la sua prima tournée all'estero, e alla curiosità si doveva certamente unire un certo timore per i confronti con i suoi colleghi e compagni di viaggio: i tenori J. Palet, H. Lazaro, T. Schipa, K. Jorn; i baritoni G. Danise e M. Sammarco ed altri, tutti sotto la direzione di E. Vitale nella quasi totalità delle rappresentazioni che avevano luogo, tra l'altro, al teatro Coliseo di Buenos Aires e al Municipal di Rio de Janeiro e San Paolo del Brasile, oltre che in una serie di teatri minori.
La D. ottenne non il successo, ma il trionfo vero e proprio: nelle quattro opere cantate (Mefistofele di A. Boito, I pagliacci di R. Leoncavallo, La Bohème e La fanciulla del West) sia la freschezza della esecuzione vocale sia la controllata spontaneità che ella metteva nella creazione dei personaggi a lei affidati le conquistarono la simpatia del pubblico sudamericano: senza rendersene conto, in questo 1914 ella iniziò nella maniera più felice ed imprevista un rapporto che si protrarrà fino al 1933 e che la vedrà sui palcoscenici di Rio. Buenos Aires, San Paolo e Santiago per ben quindici stagioni, idolatrata da un pubblico sempre più entusiasta, al punto di arrivare a considerarla una propria gloria nazionale (come accadrà a Buenos Aires, ove il mito della D. è tuttora vivissimo insieme con quello di C. Muzio).
Anche nel seguente 1915, per il periodo compreso tra la fine di aprile e la fine di ottobre, la maggior parte dell'attività si svolse in America latina, tra l'Argentina e il Brasile, questa volta sotto la bacchetta di G. Marinuzzi: cantò in moltissime esecuzioni di Iris, Il cavaliere della rosa di R. Strauss (ruolo di Ottavio), Cavalleria rusticana e soprattutto nelle pucciniane Manon Lescaut, Tosca, La Bohème e La fanciulla del West, confermando una naturale predisposizione per le figure femminili del compositore lucchese e stabilendo per esse quasi una supremazia interpretativa al Colón di Buenos Aires (avendo qui come partner tra gli altri anche E. Caruso, in Manon Lescaut).
Al rientro in Italia l'aspettava il debutto al teatro alla Scala di Milano nel ruolo - non più ripreso in seguito - di Jaroslavna ne Il principe Igor di A. Borodin (26 dic. 1915) con F. Anitua, T. Schipa e G. Danise; a questo spartito seguono il 9 marzo 1916 quello di Andrea Chénier di U. Giordano con E. Johnson e R. Stracciari, e il 19 marzo quello di Isabeau diretto dall'autore P. Mascagni; e poi la tournée in Sudamerica dei mesi estivi (i direttori d'orchestra della compagnia sono G. Baroni e P. De Rogatis, mentre tra gli artisti spiccano i nomi di T. Schipa, G. Crimi, E. Johnson, R. Titta, A. Crabbé, G. Rimini) nel corso della quale eseguì anche la parte di Eva ne I maestri cantori di Norimberga di R. Wagner e - in prima esecuzione assoluta - l'opera Huemac di P. De Rogatis.
Nel seguente 1917 oltre a Siberia di U. Giordano e Tosca - cantate rispettivamente nel gennaio e febbraio al teatro alla Scala - il 27 marzo è al Grand-Théâtre di Montecarlo per creare la nuova opera di G. Puccini La rondine: il ruolo di Magda da lei ricoperto sembra essere composto e musicato per le sue caratteristiche fisiche e vocali. La grande capacità di assimilazione e l'ormai notevolissima disinvoltura scenica della D. (definitivamente assurta ad un livello impensabile di popolarità in Sudamerica e considerata anche in Italia una delle più grandi artiste) riescono a far trionfare l'opera, anche se non a farla "decollare", come dimostrano le poche, pochissime rappresentazioni che seguiranno negli altri teatri una volta esauritasi la curiosità per la nuova partitura e il conseguente cruccio del musicista che non perderà occasione in seguito per sollecitare anche la D. a riprendere lo sfortunato spartito: da Torre del Lago il 31 ag. 1919: "Mi dispiace che quest'opera giaccia inerte", e il 16 ag. 1921: "... E la nostra Rondine ?... o perché non si ridà quest'opera nella nuova edizione?" (cit. in Rizzi, Verismo…, p. 32).
Anche stavolta, così come era successo con il teatro Costanzi, il suo primo contatto con un nuovo teatro avviene nella importante circostanza della prima esecuzione assoluta di un'opera: a Montecarlo poi, si tratta di un'opera del più importante operista vivente.
Sempre a Montecarlo, quindici giorni dopo La rondine la D. cantò anche Tosca, ancora con T. Schipa e la direzione di G. Marinuzzi. Le esecuzioni delle due opere soddisfano grandemente il pubblico, la critica e soprattutto l'autore: a conferma della predilezione che il compositore lucchese aveva inequivocabilmente manifestato nei confronti della D. fin dalla prima volta che l'aveva vista in scena a Firenze in La fanciulla del West cinque anni prima.
La giovane artista conquistò però anche R. Gunsbourg, manager del Grand-Théâtre: qui sarà chiamata ininterrottamente dal 1917 per undici stagioni consecutive fino al 1927 e ancora nel 1933, 1934, 1935 e 1937. Inoltre è da sottolineare che qui canterà sempre al fianco di artisti di fama internazionale, da M. Battistini (Tosca nel 1918) a T. Schipa, da M. Journet (Tosca nel 1919) a B. Gigli, da E. Nani (La fanciulla del West nel 1919) a J. McCormack (Tosca nel 1921 e 1923, Madama Butterfly nel 1923), da G. Lauri Volpi (Tosca e Madama Butterfly nel 1922) a D. Smirnoff (La traviata e Madama Butterfly nel 1924) e per ben nove stagioni sotto la guida di V. De Sabata.
Ancora nel 1917 fu in America del Sud in tournée con W. Mocchi: la sua ormai indiscussa celebrità internazionale e la popolarità di cui godeva in quella parte del continente americano fecero sì che stavolta E. Caruso cantasse al suo fianco in vari ruoli: Manon di J. Massenet e Manon Lescaut a Rio de Janeiro, La Bohème, Tosca e Lodoletta a Buenos Aires, Rio de Janeiro e San Paolo.
Il 10 gennaio 1918 è di nuovo a Roma per la prima esecuzione italiana de La rondine al teatro Costanzi, ancora alla presenza di Puccini: questa volta il compositore testimoniò la sua altissima stima artistica per la ventiseienne interprete con una lettera a lei indirizzata e datata l'11 gennaio mattina: "... dicano quel che vogliano dire i giornali dell'opera mia non potranno dire di Lei, cara Gilda, che bene, optime!Sempre più mi convinco della assoluta sua priorità su qualunque artista che canterà Rondine" (cit. in Rizzi, Verismo ..., p. 133). L'11 gennaio del 1919, ancora al teatro Costanzi, al quale doveva in origine essere destinato, venne rappresentato il Trittico (Suor Angelica, Gianni Schicchi, Il tabarro), apparso in prima esecuzione mondiale al teatro Metropolitan di New York Panno prima: la D. prese parte allo Schicchi nel ruolo di Lauretta, e interpretò la parte della protagonista in Suor Angelica, ottenendo un travolgente successo di pubblico e - soprattutto - di critica, riuscendo a passare m agilmente dalla cupa, lacerante disperazione di suor Angelica al lirismo candido, quasi adolescente di Lauretta" (E. Gara, in Le grandi voci, col. 191).
Alcuni anni dopo, Augusto Carelli, fratello di Emma, presente all'esecuzione, nel suo libro Emma Carelli. Trent'anni di vita del teatro lirico scriveva: "E forse anche qúesto atto di G. Puccini è sparito dalla circolazione per la mancanza di un soprano capace di resistere a quel martellare di urli della straziata monachella. In quella parte la Dalla Rizza è rimasta inimitabile". Anche se è da precisare che all'estero questo primato nel ruolo di suor Angelica le sarà conteso da Lotte Lehmann, cantante tedesca di fama mondiale che svolse la carriera contemporaneamente alla Dalla Rizza.
Ovviamente l'autore è soggiogato: in un'altra lettera datata 20 marzo 1918 da Torre del Lago, il maestro così si esprime: "... anche stasera, come sovente, sento tanta nostalgia della vostra voce calda e cara e gli occhi e gli orecchi vi odono e vi cercano rievocando le note di Suor Angelica che dalla vostra anima sono arrivate a me indimenticabili..." (cit. in Rizzi, Verismo ..., p. 134).
Sempre a Roma, il 6 marzo partecipò con E. johnson ed E. Molinari alla prima esecuzione italiana di Jacquerie, opera composta dal direttore d'orchestra G. Marinuzzi; poi di nuovo a Montecarlo e infine la consueta tournée in Sudamerica, con un repertorio che pur con leggeri ritocchi rimane quello usuale: Mefistofele (con N. De Angelis e A. Pertile o G. Taccani); L'amore dei tre re di I. Montemezzi (con G. Crimi, N. De Angelis e L. Montesanto); Otello di G. Verdi (con A. Paoli e L. Montesanto); e le eroine pucciniane de La rondine, Madama Butterfly, Tosca, Suor Angelica, Gianni Schicchi.
Rientrata in Italia, concluse l'anno con cinque recite di Tosca al teatro Verdi di Firenze (con C. Alabiso e la direzione di E. Vitale), cinque di Iris al teatro Costanzi di Roma (26 dicembre con gli stessi colleghi), e inaugurò il 1920 con un piccolo ciclo di opere pucciniane in vari teatri: il 17 gennaio al Costanzi Madama Butterfly, il 10 febbraio al teatro S. Carlo di Napoli Suor Angelica e Gianni Schicchi, le stesse il 14 marzo al Costanzi, nel marzo e aprile La rondine, Tosca e La fanciulla del West al Grand-Théâtre di Montecarlo dirette da V. De Sabata.
Anche a Firenze, il 2 maggio si presentò in Suor Angelica e Gianni Schicchi (dopo una nuova prima esecuzione assoluta, quella dell'opera Isabella Orsini di R. Brogi).
Chiamata al Covent Garden di Londra, il 17 maggio cantò Manon Lescaut, e poi Madama Butterfly, La Bohème, Gianni Schicchi e Suor Angelica: il trionfo la accompagnò anche nel più importante teatro d'opera inglese, al quale però rinuncerà per sempre in futuro, preferendo i familiari successi del Sudamerica anche alle allettanti e pressanti richieste del teatro Metropolitan di New York.
Proprio nella stagione estiva del 1920, insieme con B. Gigli e J. Segura Tallien, con la direzione di E. Vitale, avvenne il primo incontro della D. con un personaggio che in seguito la renderà indimenticabile: prima a San Paolo, poi a Buenos Aires e infine a Montevideo vestì i panni di Francesca da Rimini nell'opera omonima di R. Zandonai. Sull'onda dei trionfi sudamericani, la cantò anche al teatro S. Carlo di Napoli il 15 genn. 1921 sotto la direzione dell'autore.
Nel marzo fu ancora al Grand-Théâtre di Montecarlo per cantarvi solamente musiche pucciniane ivi compresa la prima locale del Trittico; poi tornò al teatro Costanzi. La D. era nel pieno del suo "momento magico": sia i successi ottenuti all'estero, sia quelli italiani, sia - soprattutto - la netta ed inequivocabile capacità di rendere con un realismo pressoché perfetto i personaggi da lei interpretati senza tuttavia discostarsi troppo (e comunque molto meno delle sue colleghe altrettanto celebri, esclusa C. Muzio) dalle linee del tradizionale belcantismo, tutto questo faceva sì che i compositori della "giovane scuola" e quelli più progressisti ed avanzati sul terreno della ricerca musicale la considerassero come la più capace di dar vita alle loro partiture. Così il 15 aprile creò la figura di Consuelo in Anima allegra di F. Vittadini, e il 2 maggio la parte di Mariella ne Il piccolo Marat di P. Mascagni, insieme con H. Lazaro e B. Franci, sotto la direzione dell'autore, in una delle serate davvero fiammeggianti del teatro romano. Il successo generale dell'opera spinse le cronache a rammentare il trionfo incredibile di Cavalleria rusticana: La Tribuna del 4 maggio definì la D. "una ideale Mariella, graziosa, amabile, disinvolta (che) si è guadagnata le generali appassionate simpatie".
Malgrado l'enorme successo ottenuto, la D. eseguirà quest'opera pochissime altre volte, solo nell'America meridionale non oltre il 1922, con B. Gigli e H. Lazaro che, dopo Roma, porterà il ruolo del protagonista in tutto il mondo facendone un "suo" personaggio per i pochi anni in cui questo spartito godrà di altre rappresentazioni.
Dopo dieci anni la D. cominciò a chiudere alcuni capitoli del suo repertorio e appunto in particolare quello della collaborazione con Mascagni, iniziato in pratica con la stessa sua carriera (1913: Isabeau al Costanzi e al Donizetti di Bergamo), e proseguito con le due recite di Parisina, in sostituzione della Pasini Vitale, con l'Iris sudamericano a fianco di B. De Muro e la Cavalleria rusticana con H. Lazaro, entrambi nel 1915, ancora con Iris a Genova e Isabeau alla Scala dirette dall'autore nel 1916, con le famose recite di Lodoletta date nel '17 a Buenos Aires, Rio de Janeiro e San Paolo accanto a E. Caruso, con Iris dato al Costanzi con C. Alabiso e al Comunale di Bologna, tutte nel 1920.
Ci saranno - comunque - un paio di "ritorni": il primo il 28 dic. 1929 al teatro Carlo Felice di Genova per Isabeau in cui, accanto a lei, si alterneranno Alabiso e H. Lazaro, e il secondo al teatro Reale di Roma il 10 maggio 1937 per Il piccolo Marat col tenore livornese G. Masini.
Ma in fondo, pur "sentendo" intimamente i personaggi mascagnani, la D. capì che i problemi vocali imposti non tanto da Mascagni stesso quanto dal gusto verista del pubblico dell'epoca potevano risultare certamente deleteri per la sua pur agguerrita ed accorta organizzazione vocale. E poiché, al contrario, gli spartiti pucciniani risultavano vocalmente molto più abbordabili ed adatti alla sua gola, oltre al suo personalissimo gioco scenico, al punto di permetterle di passare a ruoli di altro genere senza alcuna difficoltà nel settore "lirico-spinto", ecco che già alla fine della tournée sudamericana del 1921 P. Mascagni fu sostituito da R. Zandonai (Giulietta e Romeo, altra opera che comunque ella abbandonerà ben presto - subito dopo i trionfi con il tenore spagnolo M. Fleta colto all'inizio della sua sfolgorante carriera di vocalista - per essere sostituita stabilmente da Francesca daRimini), dall'Andrea Chénier di U. Giordano, e in generale dalla Manon di J.. Massenet, Falstaff di G. Verdi nel ruolo di Alice, Ilcavaliere della rosa di R. Strauss in quello di Ottavio.
Né è da considerare estranea alla decisione di accantonare le opere mascagnane l'operazione alla gola subita a Milano nel dicembre 1922 e dalla quale si riprese dopo meno di un mese, in tempo per cantare il 7 genn. 1923 al teatro Regio di Parma Giulietta e Romeo, e soprattutto (al termine delle recite a Montecarlo e in Sudamerica) in tempo per prepararsi a quella che sarà l'occasione più importante della sua intera carriera: chiamata da A. Toscanini alla Scala con un contratto che comprende anche Manon Lescaut, Falstaff e Louise di G. Charpentier, il 28 nov. 1923la D. si presentò in La traviata, dopo quattro mesi di preparazione accuratissima e snervante.
Il successo trionfale si delineò fin dal primo atto ossia dopo la grande aria che lo conclude. Ricorda Rizzi in Verismo e bel canto, p. 62: "nelprimo atto di Traviata la Dalla Rizza superò veramente se stessa e fu ripagata da una ovazione delirante. Tutta l'interpretazione che ella fece della figura di Violetta poté dirsi una sua personale creazione. Molti ricordano ancora quella "prima" toscaniniana come una grande pagina della storia del nostro teatro lirico". Unanime fu la critica nel riconoscere l'importanza della sua interpretazione e nell'ammirare la singolare prestazione di una cantante sino ad allora ritenuta esclusivamente "soprano drammatico", in base alle equivoche definizioni dell'epoca.
Insomma, qualcosa di assolutamente imprevedibile - malgrado il carisma toscaniniano - nel corso di una stagione che aveva il suo punto di massimo interesse nella prima assoluta del Nerone di A. Boito.
Come già detto, alla Scala eseguì anche Manon Lescaut (conA. Pertile cui si alternò N. Piccaluga, E. Badini e F. Autori), Falstaff, Louise di G. Charpentier; per Manon Lescaut ancoraG. Cesari su IlCorriere della sera del 16 dicembre sottolineò come "... le grazie settecentesche combinate col fremito lirico e drammatico della musica della Manon poterono valersi ieri di una voce e di un temperamento assai adatti ad estrinsecarsi", che si manifestarono anche in Louise, in cui la sua vocalità si rivelò pienamente in uno stretto rapporto con i personaggi, il tipo di interpretazione che di essi la D. realizzò e l'uso raffinato di effetti vocali mai fini a se stessi e sempre tesi a sottolineare l'azione scenica.
Tra il 1924 e il 1925la sua Traviata venne presentata in tutti i teatri in cui era solita agire, inclusi Costanzi, Carlo Felice e le "riprese" alla stessa Scala.
Forse consapevole che l'opera verdiana rappresentava una svolta della sua carriera, la D. cominciò a limitare il repertorio e per i successivi due anni 1925 e 1926non vi inserì alcuna opera nuova, nemmeno per la tournée sudamericana del 1925, né per quella iberica del 1926:dunque quasi esclusivamente le opere pucciniane, Andrea Chénier, Manon, Falstaff, Mefistofele almenofino al 1929-30. Ma il 2 febbr. 1926riprese Francesca da Rimini al teatro Verdi di Trieste: vocalmente più impegnativa di Giulietta e Romeo questa parte offrì, però, alla protagonista la possibilità di mettere in mostra tutte le qualità istrioniche di cui disponeva. Maestra - come s'è visto - d'arte scenica, la D. sembrava anche volerla sottolineare con una certa tendenza naturale alla figura della sventurata giovane amante. E sino alla fine della carriera che si concluderà nel 1939, al di fuori di quelli pucciniani, sarà questo il personaggio che le darà la più diffusa popolarità.
In queste recite (che dalle tre previste dal contratto supereranno poi la decina) il ruolo di Paolo fu sostenuto da Agostino Capuzzo (tenore padovano nato a Stanghella e da qualche tempo in carriera con ottimi successi, che già le era stato a fianco in Madama Butterfly l'annoprima a Santiago) che la D. sposò il 25settembre dello stesso anno.
Fino al 1929 (l'anno in cui il Capuzzo si ritirerà dal canto per dedicarsi agli affari) i due canteranno insieme in poche altre occasioni l'opera di Zandonai, e - tra l'altro - LaTraviata e Madama Butterfly, dirette da V. De Sabata nel gennaio e febbraio 1927 a Montecarlo e appunto nel 1929al teatro Coccia di Novara in prima esecuzione assoluta la Rosmunda di E. Tremaglia.
L'attività della D. proseguì invece instancabile: il 15 marzo 1927 provò il nuovo ruolo della principessa in Turandot, l'ultima creazione di G. Puccini. Il successo di stima e le inequivocabili asperità che la parte presentava la fecero desistere da ulteriori tentativi: ma non si deve passare sotto silenzio che l'autore le aveva più volte assicurato che l'altra figura femminile della piccola schiava Liù era pensata e realizzata proprio per lei (da Torre del Lago il 20 maggio 1921: "Penso che la piccola Liù sarà una parte per voi. Non crediate che sia secondaria, tutt'altro. Turandot potrà essere adatta per la Gilda - ma per ora è sempre tra le quinte"; e definitivamente da Viareggio il 25 febbr. 1924: "Non so se potrà essere per lei, Turandot, ma certo la Liù (la schiava) parte di primo piano come l'altra, sarebbe nata per la Gilda" (entrambe le lettere riprod. in Rizzi, Verismo ..., pp. 136 s.).
Nel 1930 fu Maria ne Lo straniero di I. Pizzetti, e Ottavio ne Ilcavaliere della rosa (Colóndi Buenos Aires); eseguirà L'amore dei tre re diretto da V. De Sabata alla Scala il 5 marzo 1932, e il 5 aprile sosterrà il ruolo di Anna Bianca nell'opera nuovissima di G. Marinuzzi Palla de' mozzi (ancora il 22 marzo dell'anno successivo al teatro Reale di Roma, l'11 luglio al teatro Colón, nel 1937 al teatro S. Carlo di Napoli e infine nel 1939 al Verdi di Trieste).
Nel 1933 fu Jaele in Debora e Jaele di I. Pizzetti e Maria Egiziaca nell'opera omonima di O. Respighi, entrambi al Colón; poi Elsa in Lohengrin il 19ag. 1933 al Municipal di Rio. Il 30 genn. 1934 interpretò Salud ne La vida breve di M. De Falla con G. Masini e sotto la direzione di A. Votto, ma probabilmente attratta da una figura femminile che nulla aveva in comune con la sua natura ella non centròil personaggio: fu questa l'ultima volta in cui apparve nel massimo teatro milanese.
Il resto della carriera proseguì con i personaggi e i successi di sempre, ai quali si alternò qualche particolare serata: come - ad esempio - quella della prima italiana di Arabella di R. Strauss al Carlo Felice di Genova, il 27 febbr. 1936, sotto la direzione dell'autore, e ripetuta poi con V. Bellezza al Verdi di Trieste il 7 gennaio dell'anno seguente.
Infine, è con una ennesima esecuzione de La fanciulla del West al Grand-Théâtre di Montecarlo al fianco di G. Lauri Volpi che la D. concluse la sua attività nel marzo 1939. Proprio a proposito di questo personaggio è interessante notare come fosse stata lei a riproporlo alla Scala nel 1930 (con G. Thill e D. Viglione Borghese), dopo le quindici recite della stagione 1912-13 nelle quali Minnie era stata T. Poli Randaccio.
Anche in tale occasione G. Cesari puntualizza ancora una volta le esuberanti doti artistiche, vocali e sceniche, della D.: "Come Minnie, la Dalla Rizza ha superato se stessa. Ella fa del personaggio della protagonista quel tipo strano, dolce ed energico, misto di selvaggio e di civilizzato, forte di muscoli e di spirito che i librettisti de La fanciulla del West hanno con precisione definito nelle didascalie del libretto" (IlCorriere della sera, 10 febbr. 1930).
Il che dovrebbe voler dire che di certi personaggi la D. era totalmente padrona (e i fattori che avevano contribuito a questa assimilazione totale si basavano sì su una natura spontanea, ma anche su una ottima quadratura tecnica e musicale), pure se la sua sensibilità musicale, affinata dalla comunanza artistica con direttori come Toscanini, De Sabata, Marinuzzi, oltreché Vitale e Mugnone, non le permetteva nemmeno dopo diciotto anni di carriera di sottolineare certi momenti scenici con dubbi effetti vocali.
Bene dunque G. Lauri Volpi che nel suo Voci parallele scrive: "Voce caratterizzata da inflessioni gutturali e nasali, non tecnicamente perfetta, rispondeva però alle esigenze artistiche dell'attrice, che di essa si serviva più per dare espressione al sentimento che per effetti puramente musicali". Il che, pur nella opinabilità del giudizio tecnico, risponde in fondo al vero e collima con le costanti affermazioni di G. Cesari.
Ritiratasi dalle scene dopo ventisette anni di attività e avendo avuto in repertorio almeno 58 spartiti, si stabili a Mira (Venezia): accettò dopo molte resistenze l'invito ad insegnare nel liceo musicale di Padova, ma dopo solo cinque mesi G. F. Malipiero le offrì la cattedra di canto presso il conservatorio "B. Marcello" di Venezia. Qui rimase per quindici anni: tra gli allievi figurano E. Rizzieri, R. Malatrasi, E. Vincenzi, F. Andreolli. Non tralasciò comunque di impartire lezioni privatamente: tra i discepoli figurano P. Badoer e G. D'Angelo.
Il 14 giugno 1942 tornò sul palcoscenico per una rappresentazione straordinaria (a beneficio della Croce rossa italiana) di Suor Angelica, al teatro Verdi di Vicenza: vi presero parte V. Palombini e alcune sue allieve sotto la direzione di A. Pedrollo. L'occasione spinse i sovrintendenti della Scala e della Fenice ad avanzarle proposte, ma la D. le tronco ancor prima che queste venissero in qualche modo concretizzate. Continuò ad insegnare, e nel frattempo collaborò ad attività di vario tipo (le "Vacanze musicali" organizzate a Venezia da R. Fasano); come regista, oltre alle opere allestite per i suoi allievi, realizzò alla Fenice Francesca da Rimini, La Bohème, a Viareggio La fanciulla del West e a Rovigo La Bohème.
Dopo i quindici anni trascorsi a Venezia si trasferì a Portogruaro ed accettò di insegnare canto al conservatorio "G. Tartini" di Trieste, ove rimase per tre anni: in questo periodo cambiò ancora la sua residenza portandola ad Udine, e anche qui prestò la sua collaborazione al liceo musicale di questa città avendo tra gli altri come allieva E. Ravaglia. Poi, il ritiro definitivo da ogni attività dopo quarantotto anni interamente dedicati al teatro lirico, di cui ventinove di carriera e diciannove di insegnamento.
Ospite della casa di riposo per musicisti "G. Verdi" di Milano (il marito era morto il 24 apr. 1963), la D. si spense il 4 luglio 1975.
Registrò la sua voce a Milano, dapprima nel 1913 su dischi Columbia acustici Peraltro di scarsissimo valore artistico (se non addirittura controproducenti) e poi molto più felicemente per l'etichetta Fonotipia tra il 1922 e il 1928: in questi emergono sì la personalità della D. e la tecnica vocale (come nel duetto completo de La Traviata col baritono G. Fregosi), ma qua e là anche quei fenomeni di risonanze nasali citati da G. Lauri Volpi, e che comunque mostrano molto felicemente l'uso appropriatissimo di "colorazione" che ne faceva la cantante. Nel 1931, infine, incise per la Columbia una edizione completa di Fedora di U. Giordano.
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