PANSIOTTI, Ermenegilda
PANSIOTTI (Pansiotti Cambon, Pansiotti D’Amico), Ermenegilda (Gilda). – Nacque a Milano il 16 febbraio 1891 da Giuseppe e da Matilde Suzzara Verdi.
Il padre era un possidente di origine piemontese, e la madre, esponente dell’aristocrazia milanese, apparteneva a un casato di antico lignaggio che poteva vantare una discendenza dai Gonzaga di Mantova.
Dalla madre fu indirizzata verso l’arte e, appena tredicenne, si iscrisse all’Accademia di belle arti di Brera dove fu allieva di Giuseppe Mentessi e Achille Cattaneo. Nel 1911, dopo aver conseguito il diploma, decise di completare la sua formazione frequentando gli studi di Cesare Tallone e Antonio Ambrogio Alciati. Nel corso del secondo decennio del XX secolo partecipò attivamente al dibattito artistico del capoluogo meneghino: conobbe Arturo Tosi ed entrò in contatto con il gruppo futurista attraverso Luigi Russolo, ma non aderì al movimento d’avanguardia mantenendosi fedele agli insegnamenti accademici e volgendo la sua maniera verso gli esiti formali e contenutistici dell’ultima scapigliatura lombarda. Nel 1913 esordì in pubblico presentando un dipinto al premio Canonica a Milano. L’anno seguente entrò a far parte della neo costituita Federazione artistica femminile italiana e partecipò alla collettiva riservata alle iscritte, che si tenne in marzo nella sede milanese dell’associazione in via Borgonuovo. In seguito, tra il 1915 e il 1920, prese parte regolarmente alle annuali mostre organizzate dalla Società per le belle arti ed Esposizione permanente. Nel 1919 espose alla Quadriennale di Torino (Pantomima, Ritratto) e nel 1920 fu ammessa alla XII Esposizione internazionale d’arte di Venezia (Luci e colori del palcoscenico, ripr. in Cimatti, 1972, p. 23). L’anno seguente fu eletta socio onorario dell’Accademia braidense e partecipò con Cameretta di campagna e La stanza degli sposi alla prima esposizione nazionale dell’opera e del lavoro d’arte nell’ambito de La Fiorentina primaverile (Firenze, Palazzo del Parco di S. Gallo).
Il 17 aprile 1924, a Pusiano (Como), sposò il pittore triestino Glauco Cambon, noto ritrattista, dal quale ebbe due figli. Da allora cominciò a firmare i suoi dipinti con il doppio cognome Pansiotti Cambon. Nuovamente ammessa dalla giuria di accettazione, nel 1924 partecipò alla XIV Esposizione internazionale d’arte di Venezia con l’opera Il santo mattino (ripr. in Mastropaolo, 2000, p. 74), che fu acquistata dal ministero dell’Educazione nazionale per essere collocata nel palazzo del Governo di Milano. Sempre nel 1924 ottenne una menzione d’onore alla Mostra nazionale del ritratto femminile (Monza, Villa Reale).
Distaccandosi progressivamente dai modi e dai soggetti tipici della scapigliatura, declinati secondo le eleganti suggestioni dello stile floreale (La sciarpa azzurra, 1920, ripr. in Cimatti, 1972, p. 15, Ritratto della signora Adele M., p. 21), Pansiotti volse il proprio interesse soprattutto verso il genere del paesaggio dipingendo en plein air, in particolare nei mesi estivi, trascorsi tra il 1921 e il 1924 in Brianza, nei pressi del lago di Pusiano: un interesse che andò consolidandosi negli anni successivi (1925-29) quando, con il marito, iniziò a trascorrere lunghi soggiorni a Tivoli, che le ispirarono vedute, scene di vita e ritratti dei contadini dell’Agro romano. Nello stesso tempo indirizzò la sua attenzione anche verso il genere della natura morta, prediligendo le composizioni di fiori (Rose di maggio, 1929, Milano, Raccolta d’arte della Fondazione Cariplo).
Nel 1925 partecipò alla III Biennale romana di belle arti con un ritratto (Vecchio). Nel corso dello stesso decennio affrontò anche soggetti dal tono più intimista e intrisi dalla sottile elegia del quotidiano, come gli umili interni domestici (La camera degli sposi, 1922), materne figure femminili (Amore, latte, gioia, ripr. in Buffoni, 1927, p. 31) e ritratti di bambini: il suo primogenito (Il mio bambino, ripr. in Cimatti, 1972, p. 39) o i figli dei contadini, che a volte descrisse trasponendoli in una dimensione quasi aneddotico-fiabesca (Cenerentola, p. 47, Colombino, p. 79).
Dal punto di vista dello stile, come osserva Nicodemi (1932, p. 2), Pansiotti elaborò in quegli anni una maniera più personale «improntata ad una rapida e pastosa pennellata, dai vivaci e accesi effetti cromatici, stesa con urgenza espressiva [e] colori gettati a pieno corpo, modellati con passaggi di chiaroscuro, disegnati con larghezza»; un linguaggio pittorico improntato da «una ragionata passione, un sentimento umano e cordiale di comunione con le cose che hanno avuto una traduzione pittorica» (ibid.)
Alla XVII Esposizione internazionale d’arte di Venezia del 1930 espose Il giudice dei minorenni acquistato dall’Associazione nazionale Cesare Beccaria. Soggetto del ritratto è il magistrato Tomasino D’Amico, fondatore del Tribunale dei minori di Milano (nonché poeta, scrittore e musicologo), che Pansiotti, dopo l'improvvisa morte del marito nel marzo del 1930, avrebbe sposato due anni dopo.
Interrotta per un paio d'anni l’attività espositiva, nel 1932 si presentò di nuovo in pubblico con una personale allestita presso la Casa d'artisti a Milano. Dopo il secondo matrimonio, nel settembre del 1932, iniziò a firmarsi Pansiotti D’Amico. E con D’Amico, di origine molisana, prese l’abitudine di trascorrere ogni anno i mesi estivi negli antichi borghi di Duronia e Castropignano (Campobasso) dove realizzò un considerevole numero di dipinti raffiguranti paesaggi, ritratti di contadini, scene di vita campestre e attività agricole.
Nel corso degli anni Trenta la sua pittura iniziò ad accostarsi ai modi e ai soggetti dell’arte di Stato. Senza eccedere nei toni della retorica propagandistica, l’autrice affrontò alcuni temi desunti dalla mitografia fascista: il lavoro, la battaglia del grano (Il nostro oro, ripr. in Gilda P., 1938, tav. IV), l’esaltazione delle origini rurali (Il caporale dell’aja, tav. VII), la sacralità delle tradizioni (La benedizione del pane, tav. II). Nei ritratti di donne che indossano i tipici costumi regionali, molisani soprattutto, il vivido realismo delle fisionomie si coniuga con un attento descrittivismo, che diventa quasi miniaturistico nella rappresentazione dei gioielli e dei merletti che adornano gli indumenti (La bella del Matese, ripr. in Cimatti, 1972, p. 97).
Nel 1936 in occasione della personale presso la galleria Pesaro di Milano, la Galleria d’arte moderna della stessa città acquisì tre delle opere esposte: L’Ultimo colloquio (1935), Terra di Molise (1935), Duronia. Mattino autunnale (1935) (tutte ripr. in Caramel - Pirovano,1974, tavv. 889-891). Nello stesso anno partecipò alla XX Esposizione internazionale d’arte di Venezia (Il distacco) e, a Milano, alla VII Mostra del sindacato interprovinciale fascista di belle arti della Lombardia; tenne inoltre due personali al Palazzo dell'Arte della lana di Firenze e all’Arengario di Monza.
All’inizio del 1938 allestì un’importante personale a Berlino. La mostra, patrocinata dal ministero della Cultura popolare, fu presentata dapprima alla Galleria Gurlitt (gennaio-febbraio) e poi alla Casa degli Italiani (marzo).
Il nucleo centrale dell’esposizione berlinese era costituito dai dipinti che Pansiotti aveva realizzato nel corso della precedente estate: cinquantacinque tele tra le quali si segnalano Veduta di Castel dell’Ovo, acquistata dal ministero del Reich per l'Istruzione pubblica e la Propaganda, Duronia e La trebbia (ripr. in Gilda P., 1938, tav. V) destinate alla raccolta d’arte del Rathaus.
Nel 1939, a Milano, espose alla X Mostra del sindacato interprovinciale di belle arti della Lombardia. Nel 1940 partecipò alla seconda edizione del premio Cremona (Laudata sia la spiga) e ottenne dalla direzione dell’ospedale Maggiore di Milano l’incarico di eseguire il Ritratto di Giuseppe Brivio (Milano, Raccolta d’arte dell’ospedale Maggiore).
Nel 1941 presentò L’agnello ferito (ripr. in Cimatti, 1972, p. 91) alla III Mostra del Sindacato nazionale fascista di Milano.
Trasferitasi come sfollata in Valtellina, nel 1942 tenne una personale nel palazzo del Governo di Sondrio al'interno della quale un'intera sala fu dedicata ai paesaggi alpini. Nel 1945 allestì un’altra personale al Broletto di Como.
Il dopoguerra segnò la brusca interruzione della sua attività espositiva: dopo la personale del 1950 alla galleria Gussoni di Milano, per oltre un decennio continuò a dipingere senza partecipare ad alcun tipo di manifestazione.
Costantemente interessata alla descrizione realistica di personaggi, situazioni e ambienti del mondo contadino (Mucche alla trebbia, ripr. in Cimattti, 1972, p. 77), nonché ai generi del ritratto e delle vedute (Piazza Navona, 1972, p. 123), tra gli anni Cinquanta e i Settanta adottò una pennellata più veloce, a volte sfaldante, e una pittura dall’impasto coloristico impostato sugli accordi squillanti.
Nel 1957, a seguito della nomina del marito a presidente della Corte di Cassazione, si stabilì definitivamente a Roma.
Negli anni Sessanta tornò a presentarsi in pubblico con tre antologiche proposte a Roma (1962, galleria S. Marco), a Napoli (1964, galleria La Barcaccia) e a New York (1965, Italian state tourist office).
Nel 1984 si trasferì in Molise. Morì a Castropignano il 26 ottobre 1986.
Fonti e Bibl.: D. Buffoni, Mostra individuale del pittore Giuseppe Miti Zanetti e della pittrice Gilda P. (catal., galleria Pesaro), Milano 1927; G. Nicodemi, Mostra della pittrice Gilda P. Cambon, (catal., Casa d’artisti), Milano 1932; Gilda P. D’Amico a Berlino (catal., Berlino), Milano 1938; Gilda P., (catal., galleria La Barcaccia), Napoli 1964; Gilda P. D’Amico (catal.), Roma 1965; P. Cimatti, Gilda P., Campobasso 1972; A.M. Commanducci, Dizionario illustrato dei pittori…, IV, Milano 1973, p. 2325; Musei e gallerie di Milano. Galleria d’arte moderna: opere del Novecento, a cura di L. Caramel - C. Pirovano, Milano 1974, p. 53, tavv. 889-891; D. Fratianni, Dedicato a Gilda P., in Molise oggi, X (1987), 14, p. 29; B. Bertolini - R. Frattolillo, Molisani. Milleuno profili e biografie, Campobasso 1998, pp. 276 s.; L. Mastropaolo, Arti visive nel Molise 1920-50, Campobasso 2000, pp. 71-75, 125; R. Frattolillo, Di alcuni personaggi femminili del Novecento molisano, in M. Gioielli, Novecento molisano: vicende e personaggi, Campobasso 2001, p. 103.