ERMIA (‛Ερμίας, Hermĭas, erroneamente ‛Ερμείας, Hermīas) di Atarneo
Uomo politico e filosofo del sec. IV a. C. Eunuco e nella sua giovinezza (almeno secondo Teopompo) cambiavalute, riusci a conquistare il privato possesso di alcuni villaggi intorno al Monte Ida nella Troade, e a farselo riconoscere dalla Persia. Divenne così tiranno di Atarneo e signore di un territorio abbastanza esteso. La sesta lettera platonica, la cui autenticità è ora riconosciuta (e i cui dati sono quindi più attendibili di quelli di Strabone, XIII, 57, secondo cui E. sarebbe stato addirittura scolaro di Platone nell'Accademia) è diretta, insieme, a lui, a Erasto e a Corisco, i quali ultimi, già discepoli dell'Accademia, tentavano ora di dare attuazione, in Scepsi, loro patria, all'ideale politico del platonismo. Le concezioni dei due platonici dovettero così influire sulla prassi politica di E., il quale non solo li seguì nello studio della geometria e della dialettica, ma mise a loro disposizione la città di Asso, grato perché il loro consiglio di mutare la sua tirannide in una forma più mite di costituzione aveva indotto altre popolazioni a sottomettersi volontariamente al suo dominio (Didym., In Demosth., col. V, 24, Diels-Schubart). E di questa singolare unione politica dei due filosofi con Ermia è anche memoria in una iscrizione contenente un trattato concluso da ‛Ερμίας καὶ οἱ ἑταῖροι con la città di Eritre (Dittenberger, Sylloge, I, 3ª ed., p. 307). S'intende quindi come in questa regione, dove la tradizione platonica si perpetuava nell'insegnamento e giungeva persino a realizzazioni politiche, si rifugiassero Aristotele e Senocrate quando, morto Platone nel 348-7, essi si allontanarono da Atene. Aristotele prese la direzione della scuola: nella piccola Asso egli continuava l'insegnamento del maestro e faceva le prime prove del suo. Viva amicizia si strinse così fra Aristotele ed E., che gli diede in moglie la nipote e figlia adottiva, Pizia, e gli procurò con ogni verosimiglianza più tardi, nel 342, l'invito, da parte di Filippo di Macedonia, di recarsi a Pella a educare Alessandro. Ma, accordatosi Filippo con la Persia, E. fu abbandonato a sé stesso e costretto a patteggiare con il Gran Re. Invitato proditoriamente a un colloquio, fu (341) tratto prigioniero a Susa e ucciso. Nelle ultime parole chiese, secondo Didimo, che si annunciasse "agli amici e ai compagni che non aveva compiuto nulla d'indegno della filosofia". Nell'epigramma tombale (fr. 674 Rose), in cui alludeva alla morte di E., ucciso dai Persiani non in battaglia ma a tradimento, e nel bell'inno alla Virtù (fr. 675) in cui celebrava la figura di E. accanto a quella degli antichi eroi greci, Aristotele espresse la sua profonda emozione per la morte dell'amico e del suocero.
Bibl.: A. Boeckh, Hermias von Atarneus, in Anhandl. d. Berl. Akad., Hist.-phil. Klasse, 1853, p. 133 segg. (= Kleine Schriften, V, p. 189 segg.); A. Körte, Zu Demosthenes' Didymos Kommentar, in Rh. Museum, LXIII (195), p. 389 segg.; E. Macher, Die Hermias-episode in Demosthenes-Kommentar des Didymos, Lundenburg 1914; W. Jaeger, Aristoteles, Berlino 1923, pp. 112-21.