Macario, Erminio
Attore teatrale e cinematografico, nato a Torino il 27 maggio 1902 e morto ivi il 26 marzo 1980. Erede del teatro dialettale piemontese, mise a punto sulla scena il personaggio stralunato e surreale con cui raggiunse la celebrità. La sua carriera si sviluppò tra il palcoscenico, il cinema e la televisione nel corso di più di cinquant'anni di attività, ed egli in ogni campo fu interprete finissimo e poliedrico, anche se non riuscì mai a imporre una figura delineata in maniera 'definitiva' che lo innalzasse alla notorietà dei comici più popolari. Influenzato da Charlie Chaplin e dalle maschere della tradizione italiana, possedeva un'ironia fatta di nonsenses linguistici, mossette, ingenuità e tenera inadeguatezza al mondo.
Debuttò nella rivista nel 1924, a soli 22 anni, nella compagnia di Giovanni Molasso, ma già l'anno seguente partecipò agli spettacoli di Isa Bluette affermandosi come primo comico. Successivamente il teatro di Wanda Osiris gli aprì le porte del cinema, dove esordì con Aria di paese (1933) di Eugenio De Liguoro: il film è un hapax nel cinema italiano, dolce e strampalato esempio di comicità rustica tutta impalpabile. Ottenne poi grande successo grazie al sodalizio con Mario Mattoli in Imputato, alzatevi! (1939) e "Lo vedi come sei… Lo vedi come sei?!" (1939). L'esperta regia di Mattoli, che lo diresse anche in due film del 1940, Non me lo dire! e Il pirata sono io!, contribuì a farne un attore riconoscibile, in un'epoca di commedia disimpegnata e di tragici eventi storici. Dopo alcune parodie, nate all'interno di un sistema produttivo ormai travolto dalla guerra (Il fanciullo del West, 1942, di Giorgio Ferroni; La zia di Carlo, 1943, di Alfredo Guarini; Macario contro Zagomar, 1944, di Ferroni; L'innocente Casimiro, 1945, di Carlo Campogalliani), M. trovò in Carlo Borghesio il regista adatto a valorizzare il suo lato quotidiano e malinconico. Nacque così la trilogia 'neorealista' inaugurata da Come persi la guerra (1947) e proseguita con L'eroe della strada (1948) e Come scopersi l'America (1950), tutti di Borghesio, in cui M. nel ruolo di un ingenuo e bonario uomo qualunque, costretto a fare i conti con la drammatica situazione del dopoguerra, seppe modellare la sua comicità astratta sullo spirito dell'epoca. Fu in seguito la volta del dichiaratamente chapliniano Il monello della strada (1950), ancora diretto dal fedele regista.
Mattoli lo volle poi nel sorprendente Adamo ed Eva (1950), parodia delle varie epoche storiche, a partire dagli uomini primitivi fino alla conquista dello spazio, che segnò però l'inizio di una crisi dell'attore, dovuta alla fragilità del suo personaggio. I film successivi (La famiglia Passaguai fa fortuna, 1952, di Aldo Fabrizi; Io, Amleto, 1952, di Giorgio C. Simonelli; Agenzia matrimoniale, 1953, di Giorgio Pastina) videro M. impegnato in ruoli da comprimario e in raccolte di sketch preparate in fretta e furia. Fu ripescato da Mario Soldati nella debole commedia Italia piccola (1957) e da Camillo Mastrocinque nel cast di tutte stelle di La cambiale (1959), storia di un assegno che passa di mano in mano, con Totò, Peppino De Filippo e numerosi altri comici, esperimento corale ripetuto poi da M. nel 1963 in Il giorno più corto di Sergio Corbucci. All'inizio degli anni Sessanta, dopo qualche anno di crisi, M. seppe sfruttare la tendenza del cinema popolare ad abbinare più protagonisti: fu l'inizio di una lunga successione di ruoli di spalla, tra i quali la serie dei 'Quattro' (I quattro monaci, 1962, di Carlo Ludovico Bragaglia; I quattro tassisti, 1963, di Giorgio Bianchi; I quattro moschettieri, 1963, ancora di Bragaglia; Totò contro i quattro, 1963, di Steno) che lo rilanciò in compagnia di Aldo Fabrizi, Nino Taranto e Peppino De Filippo. Fu però con Totò che l'attore trovò stabilità e continuità, mitigando l'improvvisazione del protagonista con la sua docile comicità surreale; tra gli altri, vanno ricordati titoli come Lo smemorato di Collegno (1962) di Corbucci, Totò di notte n. 1 (1962) e Totò sexy (1963), entrambi di Mario Amendola, e Il monaco di Monza (1963) nuovamente di Corbucci.
Dopo la morte dell'amico M. si ritirò pressoché definitivamente dal grande schermo, anche se lavorò nel 1974 in Il piatto piange di Paolo Nuzzi e nel 1976 in Due sul pianerottolo di Amendola. La sua stagione cinematografica era definitivamente tramontata di fronte alla nuova commedia aggressiva e volgare: rimaneva la televisione con antologie del suo repertorio (Macario uno e due e Macario più nel 1975) e naturalmente il teatro, cui regalò con la propria compagnia vivaci allestimenti di commedie piemontesi e di riviste d'epoca.
Nel 1971 pubblicò un libro di memorie, Macario story.
Album di Macario: fotostoria emozionale, a cura di M. Macario, Ivrea 1981; M. Ternavasio, Erminio Macario. Vita di un comico, Torino [1998].