DONÀ (Donato, Donado), Ermolao
Nacque a Venezia presumibilmente alla fine del XIV secolo ed appartenne al ramo di S. Maria Fonnosa, "senza Rose". Era figlio di Nicolò "dalle Trezze", consigliere nel 1390 per il sestiere di Cannaregio e fratello di Cristina (maritata ad Andrea Zulian, politico e letterato), di Tommaso (nel 1434 rettore a Lepanto, sposato a Marina del fu Giacomo Priuli) e di Andrea (che svolse intensa carriera politica: fu consigliere e procuratore di S. Marco de supra il 26 ott. 1449; ambasciatore al sultano d'Egitto, a Genova in occasione della guerra tra il duca di Milano e la Repubblica marinara, ad Eugenio IV per la questione del patriarcato d'Aquileia; maritato a Maddaluzza del fu Francesco Barbarigo, morì il 4 apr. 1464).
Il D. ebbe una vita politica molto piena, spezzata da un'improvvisa quanto tragica morte. Entrato in Maggior Consiglio nel 1412, il primo incarico certo è del 1431, quando venne inviato ambasciatore a Firenze. Da allora in poi fu continuamente impegnato in uffici diplomatici. Nel 1434-35 lo troviamo ambasciatore al papa e l'anno successivo ambasciatore a Filippo Maria Visconti in occasione del conflitto tra Milano e Genova, forse insieme con il fratello Andrea, inviato a Genova. Comunque, mentr'era ancora impegnato a Milano, venne eletto podestà di Brescia e, contemporaneamente, uno dei commissari a Bergamo per trattare la pace coi Milanesi. Al suo rientro fu eletto dapprima consigliere per il sestiere di Castello e, subito dopo, ambasciatore ad Eugenio IV a Ferrara e poi a Firenze. La sua missione durò circa tre anni, poiché è solo nel 1440 che lo troviamo nuovamente a Venezia, come capitano in Golfo (ma la carica non e sicura) e come savio di Terraferma.
Tra il '41 ed il '42 fu savio del Consiglio, ma ricopri la carica per poco tempo, giacché venne eletto per la seconda volta ambasciatore a papa Eugenio IV in Firenze e nel '43 di nuovo ambasciatore a Filippo Maria Visconti, sempre per il conflitto genovese. Fu questo l'ultimo incarico che lo tenne lontano da Venezia. Nel 1442, '44, '45, '46, '48, '49, e '50 fu sempre savio del Consiglio e consigliere per Castello nel 1444, '45 e '46. Il 18 genn. 1447, coadiuvato da Giovanni Marino "doctor", pattuiva in Venezia con Luca di Stefano de' Varnacci cremonese, procuratore di Ludovico Gonzaga marchese di Mantova e con Diotisalvi di Nerone di Diotisalvi, oratore di Firenze in Venezia, la condotta del marchese ai servigi della lega veneto-fiorentina in qualità di capitano generale del Comune fiorentino (la condotta prevedeva per il marchese 600 fiorini al mese di provvigione personale; la protezione della -lega agli Stati di Ludovico e dei fratelli Gian Lucido, Alessandro e Carlo; il dominio personale su tutti i luoghi eventualmente conquistati oltre il Po; a Venezia sarebbero andati i territori presi in Lombardia, a Firenze quelli presi in Toscana).
Nel 1448 il D. venne eletto provveditore dell'esercito nella guerra contro Milano, prima insieme con Federico Contarini, poi, quando costui venne a morte, con Gherardo Dandolo. E da provveditore visse l'avvilente rotta di Caravaggio nell'agosto '48, durante la quale, come narra Cristoforo da Soldo, "fu preso canzelieri; fu preso soprastanti de carri de guastadori de cernedi; fu preso biolchi, carri e bovi" e, soprattutto, "fu preso tutti doi li preveditori de campo", non avendo il D. voluto fuggire, com'era stato pregato di fare, sia dal capitano generale dei Veneziani, Micheletto Attendolo, sia da Ludovico Gonzaga.
Controversi i giudizi sulle responsabilità della disastrosa rotta. Mentre il Soldo è esplicito nell'attribuire la colpa della sciagura ai due provveditori oltre che ad alcuni capitani, più sfumati risultano i giudizi di Simonetta e Sanuto. Secondo il primo, la responsabilità andrebbe attribuita a Tiberto Brandolini che si sarebbe fatto portavoce di un gruppo di capitani; la proposta di attacco al Bergamasco sarebbe stata poi accettata dai provveditori anche su esplicito ordine del Senato. Il Sanuto, invece, è più apertamente difensore dell'operato del D. e del Contarini: addossa la colpa a Micheletto Attendolo e ad alcuni capitani, troppo frettolosi nel valutare le forze nemiche e molto ansiosi di far bottino. Il giudizio del Soldo, invece, risulta condoviso dal Navagero, fin troppo brutale nell'affermare la responsabilità dei soli provveditori nella scelta di dar battaglia, scelta che i due avrebbero imposto all'Attendolo ed ai suoi.
Comunque sia, il disastro risultò veramente pesante per i Veneziani: il D., insieme con molti altri, fu preso prigioniero e condotto a Cremona. Dalla prigionia il D. veniva liberato solo nell'ottobre di quell'anno, come condizione alla pace stipulata da Pasquale Malipiero, procuratore di S. Marco e provveditore in Lombardia, e da Angelo Simonetta, segretario e procuratore di Francesco Sforza: allo Sforza andava tutto il territorio già posseduto da Filippo Maria Visconti; egli rinunciava a qualsiasi diritto su Crema e la Chiara d'Adda, restituiva il Bresciano ed aiutava Venezia a recuperare il Bergamasco; mentre la Repubblica, dal canto suo, s'impegnava a sostenere il condottiero con truppe ed ingente esborso di denaro; al momento in cui avesse varcato l'Oglio, lo Sforza doveva liberare (come fece, per l'appunto) il D., i condottieri Roberto da Montalboddo e Gentile da Leonessa, il segretario ducale Ulisse Aleotti e in seguito tutti gli altri prigionieri (tale l'accordo stipulato nella chiesa di S. Biagio di Rivoltella).
Nello stesso anno 1448, comunque, ritroviamo il D. avogadore di Comun, carica che aveva già ricoperto nel '39 e nel '45. Ed è proprio in questo incarico che va ricercata la motivazione della tragica fine: un giudizio troppo severo, forse una presa di posizione troppo poco sfumata per un carattere che appare fermo e fin troppo deciso nel suo ruolo, gli furono fatali. Il 5 nov. 1450, in carica al Consiglio dei dieci, mentre di notte tornava a casa da una seduta dei Pregadi, fu ferito da uno sconosciuto. Morì il giorno dopo e venne sepolto in S. Michele di Murano.
Subito i Dieci sentenziarono che chi aiutava a trovare l'assassino poteva salvare dal bando due persone. Del delitto venne accusato Giacomo Foscari, il figlio del doge, che sottoposto a tortura rese confessione e fu confinato alla Canea. Sentenza ingiusta, dovuta al difficilissimo momento vissuto dal governo, incrinato da profondi dissensi verso la figura del vecchio doge, costretto di li a poco a dimettersi. Né valse alla riabilitazione dei Foscari la tardiva confessione, in punto di morte, del vero assassino, Nicolò Erizzo: questi indicò come motivo del delitto il desiderio di vendicarsi del D. il quale, come avogadore di Comun, lo aveva accusato di furti e fatto bandire da Venezia.
Il D. aveva sposato nel 1423 Marina di Pietro del fu Alvise Loredan procuratore (Marina stilava il suo testamento il 23 ott. 1451, destinando gran parte dei suoi beni a pie istituzioni ed a monasteri, tra cui quello di S. Michele di Murano, al quale andavano 100 ducati "auri". cfr. Archivio di Stato di Venezia, Notarile Testamenti, Atti Croci Benedetto, b. 1155, test. del 23 ott. 1451). Da lei aveva avuto quattro maschi, Tommaso (nato nel 1434, divenne patriarca di Venezia e morì nel 1504, venendo sepolto nella cappella di S. Giovanni Battista da lui stesso fatta fabbricare in S. Pietro di Castello), Piero (abate di S. Michele di Murano, arrivò ad essere ballottato come patriarca alla morte del cardinal Girardo), Ludovico (frate camaldolese), Giovanni (entrato in Maggior Consiglio nel 1459, sposò nel 1466 una figlia di Pietro del fu Antonio Marcello) e due femmine, una maritata a Lorenzo del fu Tommaso Zane e l'altra a Omobono del fu Triadano Gritti.
Del D. (che Ludovico Foscarini, politico e letterato di lui un poco più giovane, celebrava, in una lettera forse del 1462 ad un tal frate certosino Francesco, come raro esempio di pietà e di fede poiché aveva preferito morire piuttosto che ricevere cure da medici ebrei), umanista, possessore di una "distinta" biblioteca, si sa con certezza che fu anche uno dei corrispondenti di Franceso Barbaro. Biondo Flavio, inoltre, lo dice "occupatissimus in literis" e compositore di "lieroicos versus ... elegantes", forse la "historia del suo tempo" citata dal Sansovino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, Storia ven. 19: M. Barbaro-A.M. Tasca, Arbori…, III, c. 309; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, M. Barbaro, Genealogie... (ripr. fot.), III, 2, sub. voce Donà; Ibid., Mss. P.D. C 2803, e. 186; Ibid., Codd. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti, I, c. 259r; Ibid. 3526: G. P. Gasperi, Catalogo..., c. 41; Venezia, Bibl. Marciana, Mss. It., VII, 156 (8492): M. Barbaro, Libro di nozze, c. 171; Ibid., 198 (8383): Reggimenti della Republica, c. 20r; Ibid., 288 (8640): G. Degli Agostini, Notizie istor. e critiche..., I, c. 358; Ibid., 926 (8595): M. Barbaro, Genealogie..., II, cc. 75v-76r; Ibid., 16 (8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio..., II, cc. 32v, 41r; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 1128 ss., 1138 s.; A. Naugerii Historia Veneta, ibid., XXIII, ibid. 1733, coll. 1112, 1114 s.; J. Simonetae Rerum gestarum Francisci Sfortiae..., in Rer. It. Script., 2 ed., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, pp. 235, 240 s., 252; Cristoforo da Soldo, Cronaca, ibid., XXI, 3, a cura di G. Brizzolara pp. 81, 84; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, lib. XIV, docc. 3, 32; Documenti per la storia della cultura in Venezia, a cura di E. Bertanza-G. Dalla Santa, I, Venezia 1907, p. 325; Acta graduum academicorum Gynmasii Patavini, a cura di C. Zonta-I. Brotto, Padova 1970, n. 1378; F. Sansovino, Venetia città nobilissima..., Venezia 1663, p. 589; F. Corner, Ecclesiae Torcellanae antiquis monumentis, Venetiis 1749, VII, p. 322; VIII, p. 164; X, p. 28; G. Degli Agostini, Istoria degli scrittori veneziani, I, Venezia 1752, pp. 79, 257; II, ibid. 1754, p. 99; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 483; G. Cappelletti, Storia della Chiesa di Venezia, I, Venezia 1849, p. 454; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 266, 273 s., 278, 297; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, II, Gotha 1920, pp. 364, 493.