Buonaiuti, Ernesto
Storico italiano del cristianesimo (Roma 1881- ivi 1946). Fu uno dei massimi esponenti del modernismo italiano che, specialmente dopo la prima guerra mondiale, apparve quasi impersonato in lui. Sacerdote (1903), fu insegnante nel Seminario romano, diresse varie riviste, tra cui Rivista storico-critica delle scienze teologiche (1905-10); Nova et vetera (1908); Ricerche religiose quindi Religio (1925-39 e 1943-44). Colpito, dopo varie censure, dalla scomunica nel 1926, fu allora esonerato dall’insegnamento nell’univ. di Roma come professore di storia del cristianesimo, cattedra che teneva dal 1915; destituito poi per non aver prestato giuramento al regime fascista (1931), fu riammesso in ruolo nel 1944, senza però l’esercizio effettivo dell’insegnamento. Come studioso indagò quasi ogni momento e ogni figura saliente della storia cristiana (Saggi sul cristianesimo primitivo, 1923; Lutero e la Riforma religiosa in Germania, 1926; Le origini dell’ascetismo cristiano, 1928; Il cristianesimo nell’Africa romana, 1928; Gioacchino da Fiore, 1931, oltre all’edizione dei Tractatus super Quattuor Evangelia, 1930, e del De articulis fidei, 1936, dello stesso Gioacchino), fino alla Storia del cristianesimo (1942-43), sintesi della sua visione storica del cristianesimo come fondato sul contrasto perenne, peraltro da B. non concepito dialetticamente, tra «secolo presente» e «secolo venturo». Nel suo pensiero si avverte prima l’influsso di dottrine diverse (John H. Newman, Tyrrell, Blondel e l’«apologetica dell’immanenza», pragmatismo religioso e Bergson; nel campo della critica biblica, «escatologismo» e influenza del primo Loisy), poi di tendenze nuove (specialmente Otto, anche Albert Schweitzer, Friedrich Heiler). Tuttavia la posizione di B. restò sempre decisamente realista, anzi tomista e in polemica con l’idealismo italiano contemporaneo e quello tedesco, da lui considerati, come i totalitarismi, derivazioni della Riforma protestante. Contro di questa, B. difese altresì il sistema sacramentale e gerarchico della Chiesa cattolica, che per altri versi, auspicandone un rinnovamento interno e rivendicando i diritti della libera ricerca, criticò (per es., La Chiesa romana, 1933; Pio XII, post., 1946); né si riconciliò con essa in punto di morte, pur professandosene figlio fedele nello spirito e rivendicando le insegne del proprio sacerdozio. A questo contrasto si aggiunse quello tra l’asserito dovere, per il cristiano, della più assoluta indifferenza per le vicende mondane, e l’appassionata partecipazione spirituale alle vicende politiche e ai problemi sociali, già testimoniato nelle Lettere di un prete modernista (anonime, 1909). Tali atteggiamenti, che furono da alcuni giudicati ambigui e contradditori, rinvigorirono tuttavia con nuove esperienze le doti innate dello storico e dello scrittore (B. fu pure oratore efficacissimo); di tutto questo si ritrova l’unità profonda nel dramma della sua vita di cui è testimonianza l’autobiografia (Pellegrino di Roma, 1945).