OBLIEGHT, Ernesto Emanuele
OBLIEGHT, Ernesto Emanuele (Obladt, Ernö). – Nacque a Budapest nel 1838, primogenito del rabbino Sigismondo Samuele e di Rosalia.
Sulle sue origini si hanno poche notizie. Stando al succinto necrologio pubblicato nel Corriere della Sera, sarebbe giunto «in Italia da giovinetto». Una bozza di contratto redatta nelle more della successione, datata maggio 1909 (Arch. storico della Banca d’Italia, Banca d’Italia, Liquidazioni della Banca Romana, prat. n. 119, f. 1), attesta la presenza di un fratello Rodolfo, che gli sopravvisse di oltre vent’anni e fu suo erede, e del padre, ancora in vita nei primi anni del Novecento e domiciliato a Vienna, oltre a confermare la notizia data da Barbèra (1920, p. 123) secondo cui il suo vero nome era Ernö Obladt. Il cognome fu poi modificato in Oblieght, mentre al nome, solo in un secondo momento, aggiunse Emanuele, forse per omaggiare il re d’Italia.
Dopo diverse peregrinazioni si stabilì a Firenze almeno dalla fine degli anni Sessanta, quando aprì un’agenzia di pubblicità che ottenne la gestione della quarta pagina di diversi quotidiani. Questa attività fu la base della sua fortuna e della sua fama se è vero che Carlo Collodi, all’epoca collaboratore del Fanfulla (una delle testate di cui Oblieght gestiva la pagina pubblicitaria), in uno scritto del 1872 concludeva una rassegna delle risposte che alla domanda «cos’è il giornalismo» avrebbero potuto dare diversi personaggi affermando: «Il giornalismo è un pretesto per vendere la quarta pagina – risponderebbe Oblieght» (Collodi, 1872, p. 37).
Con questa battuta Collodi coglieva un aspetto destinato ad assumere un peso via via crescente nel giornalismo – e che Oblieght fu tra i primi a comprendere – vale a dire l’importanza della pubblicità non solo come fonte sicura di guadagni, reggendosi i giornali più che sugli scarsi abbonati sugli introiti derivanti dalla gestione della quarta pagina, ma anche come porta di accesso al controllo dei quotidiani e quindi a legami col mondo politico dal quale ottenere appalti ed affari.
Le esperienze straniere, del resto, avevano mostrato chiaramente come il successo economico fosse strettamente legato ai proventi della pubblicità. I primi grandi giornali popolari francesi, La Presse e Le Siècle, nati entrambi nel 1836, avevano potuto raggiungere una notevole diffusione grazie al prezzo assai contenuto; e se la vendita sotto costo delle copie poteva essere perseguita senza squilibrare i conti, ciò era dovuto alle entrate delle pagine pubblicitarie: da qui, infatti, sarebbe derivato il 43% dei ricavi del Siècle nel 1839 (Weiss, 1962). La situazione italiana era ancora lontana dalla realtà francese o inglese; la limitata tiratura della gran parte dei giornali, la dipendenza economica di molti fogli da centri di potere politico, il ristretto mercato nazionale contribuivano a limitare il giro di affari che avrebbe potuto svilupparsi attorno alla diffusione della pubblicità. I segni di un’evoluzione, in corso almeno dagli anni Ottanta, erano però visibili nelle vicende di quotidiani come il Corriere della Sera e il Secolo, che scelsero di gestire in proprio la raccolta delle inserzioni.
Gli esempi stranieri dovettero ispirare Oblieght, il quale però, considerata la ristrettezza del mercato nazionale, si mosse in altre direzioni, soprattutto cercando di stabilire legami con la più avanzata realtà francese. Il 1° dicembre 1869 firmò un contratto con la potente agenzia di stampa Havas, che – in cambio della cessione della pubblicità francese sui giornali di cui Oblieght aveva o avrebbe avuto in futuro l’esclusiva – gli affidò il monopolio della pubblicità italiana sui giornali francesi in concessione alla Havas.
Secondo la Tribuna illustrata, col trasferimento della capitale, Oblieght lasciò Firenze e fondò a Roma la Società generale italiana per la pubblicità, con capitale di 3,6 milioni, un’impresa che alla fine degli anni Sessanta annoverava già tra i suoi punti di forza la Gazzetta delle campagne, la Gazzetta dei banchieri e il Consigliere delle famiglie, e controllava la gestione della pubblicità di sette giornali: Il Diritto, la Gazzetta d’Italia, L’opinione nazionale, la Gazzetta di Firenze, l’Italia, il Corriere italiano e l’Italie.
A Roma nel 1874 acquistò la villa Flaminia, costruita dalla famiglia Massani nel 1820 in stile neoclassico, che dovette cedere nel 1897 a seguito degli effetti del tracollo finanziario.
Nel 1877 assunse la quarta pagina del Bersagliere, di cui divenne anche comproprietario grazie all’appoggio di Giovanni Nicotera; acquisì poi la proprietà anche di altri quotidiani di cui inizialmente aveva solo la gestione della pagina pubblicitaria: i ministeriali IlDiritto, Libertà e Italia, mentre di altri ottenne partecipazioni più o meno consistenti (Fanfulla e Bersagliere). Si trattava di acquisizioni fatte per conto, o con l’appoggio, di uomini della Sinistra (quali Agostino Depretis, Benedetto Cairoli, Nicotera), che, a quanto emerse pochi anni dopo, in alcuni casi avrebbero fornito anche i denari per concludere gli affari (come denunciò il Corriere della Sera, 20 gennaio 1882). Oblieght acquistava quotidiani in perdita, ma così operando si assicurava appoggi politici in grado introdurlo in nuovi settori di investimento.
Non a caso nel 1877 ottenne la concessione per la costruzione della tramvia che collegava piazza del Popolo e ponte Milvio a Roma; e allo scopo, e con la partecipazione di capitali belgi, fondò la società Impresa tramways. Questa ampliò progressivamente i suoi interventi – nel novembre 1879 ottenne la linea Termini-Verano, nel dicembre 1880 la Termini-piazza Venezia, nel maggio 1881 la Termini-S. Giovanni – e assunse partecipazioni nella Società romana omnibus. Sempre nel campo della costruzione di linee tramviarie, partecipò a imprese attive altrove, come per esempio a Milano, e avviò imprese concomitanti.
Nel dicembre 1878 ebbe l’affitto del terreno e l’autorizzazione per la realizzazione della funicolare del Vesuvio – della quale cedette i diritti di gestione per la cifra di 1.200.000 lire a una società da lui creata con l’apporto di capitali francesi, la Société anonyme du chemin de fer funiculaire du Vèsuve con sede a Parigi (prima funicolare ad arrampicarsi sul cono del Vesuvio, fu inaugurata il 6 giugno 1880 e pubblicizzata dalla canzone Funiculì funiculà, commissionata per l’occasione).
Data al 1879, stesso anno nel quale acquistava per 220.000 lire il giornale Il Pungolo diretto da Leone Fortis (precedente proprietario), una delle sue più importanti iniziative, la partecipazione agli utili dell’agenzia di stampa Stefani, legata alla Havas sin dal 1861 attraverso una serie di accordi, l’ultimo dei quali, siglato nel 1867, prevedeva l’esclusiva alla Stefani di diffondere i dispacci della Havas e la ripartizione al 50% degli utili.
Nell’ottobre 1879 l’accordo fu rivisto e l’Havas, forte anche dei crediti vantati verso la Stefani, impose tre rilevanti modifiche: la riduzione al 33% della quota di utili spettante alla Stefani; la possibilità che i giornali potessero pagare il servizio di informazione sotto forma di spazi pubblicitari; la facoltà per la Havas di cedere ad altri i suoi benefici. Un mese dopo, il 20 novembre, la Havas concesse per 37 anni a Oblieght parte dei suoi diritti in cambio dell’impegno a collaborare con la Havas per lo sfruttamento del potenziale pubblicitario della Stefani; in sostanza i giornali che si fossero abbonati all’agenzia italiana avrebbero pagato una parte del prezzo sotto forma di impegno a pubblicare un certo numero di inserzioni pubblicitarie.
Se Oblieght aveva potuto inserirsi in un affare tanto importante e delicato quale quello che ruotava attorno alle agenzie di informazioni, ciò era potuto accadere – più che in virtù di una posizione di potere invero non ancora del tutto consolidata – in ragione di una rete di conoscenze e di favori avviata da tempo e che, alla fine degli anni Settanta, sembrava dare buoni frutti. Nel 1880 fu favorito nella ripartizione di un prestito nazionale a scapito di ben più accreditate banche e, nello stesso anno, ottenne l’appalto per forniture militari alla Marina.
Nello stesso anno iniziò a circolare la voce che avesse fatto da prestanome per l’acquisto de Il Diritto, rilevato con denari provenienti dal governo stesso. Mentre questo disegno sembrava sul punto di realizzarsi, quasi all’improvviso scoppiò lo ‘scandalo’ Oblieght: alla fine del 1881 l’imprenditore decise di vendere tutte le sue partecipazioni alla proprietà dei giornali alla Banca franco-romana, una società francese creata dai banchieri cattolici Bontoux e Frémy, e controllata dalla Union Générale.
Figura chiave dello scandalo fu Paul Eugène Bontoux. Già funzionario delle ferrovie austroungariche, dove si era occupato di questioni finanziarie, dopo un periodo presso la banca Rothschild di Parigi aveva fondato nel 1878 la banca Union Générale. Vicino agli ambienti clericali, si era fatto promotore di un progetto di riorganizzazione della stampa cattolica italiana anche attraverso l’acquisto di un consistente numero di testate. Ma allorché il governo austriaco, i primi giorni del gennaio 1882, rifiutò il permesso alla costituzione di una banca marittima a Trieste, l’Union Générale iniziò un rapidissimo declino; nel giro di pochi giorni le azioni crollarono e la banca arrivò presto al fallimento.
Lo scandalo scoppiò quando il Secolo diede conto del progetto di vendita, che prevedeva la cessione per 2.800.000 lire delle testate controllate dalla Società generale italiana di pubblicità ai banchieri francesi. Il prezzo era molto superiore al valore delle testate che nel complesso tiravano 45.000 copie e accusavano perdite per 100.000 lire e gli evidenti risvolti politici della vicenda occuparono presto le pagine di tutti gli organi di stampa italiani che denunciarono come il contratto avrebbe previsto la cessione non solo dei giornali ma di tutte le concessioni possedute da Oblieght, compresa dunque quella per forniture alla Marina. Emersero anche i dettagli delle partecipazioni di Oblieght alla Stefani e si insinuò che l’agenzia, fonte principale di notizie per la gran parte dei quotidiani, avrebbe potuto rientrare in un progetto clericale di controllo della stampa. La famiglia Stefani si dichiarò all’oscuro della cessione a favore di Oblieght (ma le carte dell’archivio Havas studiate da Lepri et al. [1999] dimostrano il contrario) e la Havas preferì sciogliere il contratto. Fu aperta allora un’inchiesta ufficiale, diversi direttori dei giornali interessati si dimisero e Oblieght fu costretto in tutta fretta a recedere dal contratto con Bontoux (forse anche per la contemporanea crisi della Union Générale), e a cedere la proprietà di tutti i suoi giornali tranne l’Italie.
Già nel 1876, del resto, il suo nome era stato associato a una scabrosa vicenda londinese legata alla STFE (Società anonima delle tramvie e ferrovie economiche di Roma, Milano e Bologna, con capitale belga e sede a Roma, più nota come TFE). Questa aveva costituito il suo capitale sociale attraverso una grande truffa, coinvolgendo centinaia di azionisti italiani che avevano investito i propri risparmi in The Milan Tramway limited di Londra, un’azienda fantasma che confluì improvvisamente nella TFE, causando perdite rilevanti giunte in alcuni casi al 60% (e che colpirono duramente la Banca agricola di Firenze).
Lo scandalo Oblieght assunse un rilievo particolare non solo per il tentativo di scalata politica alla proprietà di giornali, ma per la modalità con cui avvenne. Per la prima volta emerse che il controllo della pubblicità poteva favorire l’acquisizione della proprietà dei giornali. Il piccolo impero era nato proprio rastrellando concessioni pubblicitarie e aveva potuto compiere il salto decisivo grazie all’accordo che gli affidava il traffico pubblicitario legato alla Stefani. Non furono estranei alla vicenda, né potevano esserlo, appoggi e aiuti politici, ma un aspetto cruciale fu proprio il nesso tra pubblicità e controllo dei giornali.
Negli anni seguenti Oblieght proseguì nondimeno la sua attività finanziaria. Fu appaltatore del prestito emesso in occasione dell’Esposizione di Torino del 1884 (Gazzetta piemontese, 31 ottobre 1884) e nel circuito dell’affarismo romano e, in particolare, vicino all’aristocrazia fondiaria e speculatrice gravitante intorno alla Banca Romana (della quale nel 1893, al momento della liquidazione, figurava tra i principali creditori).
Il credito originario, che ammontava tra cambiali e conti correnti a lire 4.166.143,25, fu progressivamente ridotto dopo laboriosa trattativa e cessione di fabbricati e terreni. Benché non fosse travolto dallo scandalo del 1882, la fortuna e il ruolo di Oblieght ne risultarono probabilmente ridimensionati.
Morì a Roma il 14 febbraio 1900.
Nel darne notizia il giorno dopo, la Tribuna ricordava brevemente alcune peculiarità: banchiere, speculatore, uomo di grandi affari, primo a ideare i piani finanziari delle Lotterie e della Esposizioni nazionali di Milano e di Torino (1881 e 1884), conoscitore di tutti i misteri della vita politica italiana, uno dei personaggi più noti della capitale, uomo di vivace ingegno, di simpatici modi, di allegro carattere, che visse da gran signore.
La sua eredità fu accettata con beneficio d’inventario nell’interesse dei parenti legittimi dal fratello Rodolfo, dal padre (mancato poco dopo) e dalla di lui vedova Maria de la Tour che rinunciò in seguito.
Fonti e Bibl.: Materiali diversi – comprensivi di disegni e piante – relativi all’eredità Oblieght e alle relative posizioni debitorie sono a Roma, Arch. storico della Banca d’Italia, nei fondi Banca d’Italia, Stabili, pratt. nn. 806-813, 1045, 1263; Liquidazioni, pratt. nn. 381-382, 386, 2022-2030; Gabinetto, pratt. n. 110; Liquidazioni della Banca Romana, prat. n. 119; Liquidazioni della società Geisser, prat. n. 53. Parimenti importante la documentazione relativa alla sua attività imprenditoriale (e non solo), conservata a Roma, Archivio storico capitolino, nei fondi Titolario Postunitario e Ripartizione Lavori Pubblici. Si vedano: C. Collodi, Il giornalista. Fisiologia in punta di penna, in Almanacco del «Fanfulla» pel 1872, II, Roma 1872, p. 37; Corriere della Sera, n. dal 17-18 al 20-21 gennaio 1882; Gazzetta piemontese, nn. dal 16 al 22 gennaio 1882; Il Pungolo, 16 gennaio 1882; il Secolo, 14-15 e 15-16 gennaio 1882; Gazzetta piemontese, 31 ottobre 1884; P. Barbèra, Quaderni di memorie, Firenze 1920, p. 123; A. Caracciolo, Roma capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello stato liberale, Roma 1956, p. 183; F. Nasi, 100 anni di quotidiani milanesi, Milano 1958, p. 67; Id., Il peso della carta. Giornali, sindaci e qualche altra cosa di Milano dall’Unità al fascismo, Bologna 1966, p. 63; V. Castronovo, La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Bari-Roma 1970, pp. 88-91 e passim; S. Lepri - F. Arbitrio - G. Cultrera, Informazione e potere in un secolo di storia italiana. L’agenzia Stefani da Cavour a Mussolini, Firenze 1999, pp. 58, 77-83; F. Ogliari, Milano in tram. Storia del trasporto pubblico milanese, Milano 2006, pp. 27 s. Per le vicende generali della stampa nell’Ottocento, cfr. V. Castronovo, op. cit., e I. Weiss, Il potere di carta. Il giornalismo ieri e oggi, Torino 1962, p. 266; in particolare sulla storia di alcune testate e sul loro rapporto con la gestione della pubblicità cfr. L. Barile, Il Secolo. 1865-1923. Storia di due generazioni della democrazia lombarda, Milano 1980 e A. Moroni, Alle origini del Corriere della Sera. Da Eugenio Torelli Viollier a Luigi Albertini (1876-1900), Milano 2005. Sulle vicende dell’Union Générale e il progetto di riorganizzare la stampa cattolica italiana cfr. J. Bouvier, Le krach de l’Union Générale 1878-1885, Paris 1960 e G. Zizola, Dal sospetto alla politica dei media, in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée, CX (1998), 2, pp. 643-680. Per informazioni sulla villa Flaminia cfr. A. Marino, Roma. La partecipazione della Banca d’Italia alla costruzione di una capitale, in L’architettura nelle città italiane del XX secolo. Dagli anni Venti agli anni Ottanta, a cura di V. Franchetti Pardo, Milano 2003, pp. 132-143.