SCIALPI, Ernesto Gaetano (Lucio Ridenti)
– Nacque il 7 agosto 1895 a Taranto, dove il padre Luigi, ufficiale superiore, e la madre Raffaella D’Ippolito, entrambi originari di Castellammare di Stabia, si erano trasferiti per ragioni professionali.
La vocazione per il teatro si manifestò irresistibile fin dalla prima giovinezza, complice la pratica della fotografia (Ritratti perduti, 1960, pp. 64 s.) e senza alcun esempio. La sua non era genia di artisti quanto piuttosto votata alle scienze mediche e all’archeologia, ambito in cui si distinse il nonno paterno con opere varie sulla Magna Grecia.
Nel 1910 si trasferì a Milano con l’aiuto del fratello, ufficiale dei carabinieri, raggiunto in seguito dalla popolosa famiglia. Per mantenersi svolse umili impieghi, mentre frequentava la scuola serale dell’acclamata primadonna in ritiro Teresa Boetti Valvassura, al tempo sessantenne.
Si trattava di una rinomata scuola della Milano borghese, rivolta all’insegnamento di dizione e recitazione anche a quanti non erano figli d’arte, e specialmente alle giovani della haute. Ne uscirono attori e attrici di carriera, quali Febo Mari e Paola Borboni, e costituiva un ottimo trampolino di visibilità per gli aspiranti professionisti.
Nel biennio regolare di studi (1912-14) ebbe come compagno Domenico ‘Memo’ Benassi, con il quale si distinse tra gli altri allievi e con cui iniziò la carriera professionale nel 1915, scritturati entrambi come ‘generici’ nella nuova compagnia di Ermete Novelli (cfr. La Duse minore, Roma 1966, pp. 97-99). Fu un anno di apprendistato che avviò il giovane, non ancora maggiorenne, a una rapida ascesa. Nell’arco di soli due anni passò da ‘generico per parti importanti’ (1915, compagnia Bondi-Orlandini) a ‘secondo brillante’ e ‘amoroso’ (1916, compagnia Ferrero-Palmarini-Celli-Pieri), fino a ‘primo attore giovane’ e ‘brillante giovane’ per la compagnia Galli-Guasti-Bracci, dove lavorò continuativamente per tre trienni (1916-24). Con ‘la Dina’ Galli, complice un repertorio ‘leggero’ quasi interamente francese, l’artista scolpì la sua figura scenica, segnatamente magra e longilinea, e il suo stile, già dandy, secondo una comicità sobria ma pungente, in linea con l’allusivo nom de plume, Lucio Ridenti, che si attestò parallelamente all’attività di palcoscenico e con il quale fu conosciuto e celebrato.
Concluse la sua carriera comica a neanche trent’anni come ‘primo attore comico’, prima con Alda Borelli nel 1924, poi con Tatiana Pavlova (insieme a Renato Cialente ed Ernesto Sabatini) nel 1925, finché un’improvvisa menomazione all’udito lo costrinse al ritiro dalle scene nel 1926.
In questi anni Ridenti esordì anche nel cinema partecipando con ruoli defilati a quattro pellicole mute: Amore che tutto vince (1918, di Mario Ceccatelli), Il figlio (1921, di Agostino Borgato), e i due film diretti e interpretati dalla celebrità Emilio Ghione, Senza pietà (1921) e L’ultima livrea (1922). Non fu però il cinema il suo ambiente elettivo, sebbene l’abbia attraversato in seguito con altre modalità e linguaggi (cfr. F. Prono, in Il laboratorio di Lucio Ridenti, 2017, pp. 230-253).
Nel frattempo iniziò a frequentare assiduamente Torino, dove si trasferì nel 1926 in ragione dell’attività pubblicistica. Il giornalismo non fu una mera necessità in seguito all’abbandono del palcoscenico, quanto piuttosto una continuazione della pratica del teatro con altri mezzi. La scrittura letteraria risaliva infatti al 1922 con prime uscite su La Lettura, periodico popolare allora diretto dall’illustre cronista di teatro Renato Simoni.
Ridenti vi pubblicò a puntate i capitoli (poi raccolti in Palcoscenico, con prefazione dello stesso Simoni, Todi s.d. [ma 1923]): retroscena, aneddoti e fatti della vita dei comici esposti nella sua tipica prosa gustosa, macchiettistica, dotata di uno humour brioso ed elegante.
Questa collaborazione gli garantì di lì a breve la firma nella Gazzetta del popolo, dove Ridenti usciva settimanalmente con una rubrica di costume teatrale e di cui nel 1939 divenne titolare. Collaborò anche ad altri quotidiani e periodici del tempo con interventi di cultura e cronaca drammatica, tra cui Noi e il Mondo, Il Gazzettino, Radiocorriere, Epoca.
A eccezione della narrativa – La sua verginità (Sanremo 1922, novelle) e Un uomo come te (Roma 1932, racconti) – e della produzione strettamente drammatica – la commedia in due tempi, Il malinconico sì (compagnia Alda Borelli, interprete lo stesso Ridenti, 1924), quella in tre atti scritta a quattro mani con Dino Falconi, 100 donne nude (Milano, teatro Olimpia, compagnia Falconi-Borboni, 19 marzo 1927, apparsa nello stesso anno sul Dramma), l’atto unico Così comincia la commedia (Roma, compagnia La Stabile, 22 dicembre 1928), e le due riduzioni per la compagnia Pavlova al Valle di Roma: Resurrezione da Lev Tolstoj e Delitto e castigo da Fëdor Dostoevskij (pubblicate nel Dramma, 1954) – Ridenti dette alle stampe, dai secondi anni Venti alla metà dei Trenta, varie raccolte di costume teatrale, spesso l’una continuazione dell’altra. La sua scrittura sul teatro e del teatro dette voce a un ambiente noto ai più nell’evidenza dello spettacolo, ma sconosciuto nella ferialià ‘segreta’ della vita di compagnia: nostalgica testimonianza di un mondo teatrale, ormai sul viale del tramonto, carico di un’umanità densa ma inscindibile dai suoi riti, superstizioni, routine.
Di fatto Ridenti si trasferì a Torino per seguire la lavorazione del Dramma, la rivista avviata nel 1925 dallo scrittore di successo Pitigrilli (Dino Segre), e gemella del quindicinale Le grandi firme, sempre da lui diretto. La carriera giornalistica di Ridenti si consolidò grazie a questa collaborazione che gli valse la direzione del mensile dopo soli nove fascicoli. Da allora Il Dramma diventò la sua creatura, un vero e proprio laboratorio in cui sperimentare formule e proposte, tenute insieme, anche quando disarticolate e assortite, dall’eclettismo del suo direttore.
La penna di Ridenti tuttavia investì anche altri campi, come le arti visive – specialmente la pittura, con contributi in cataloghi di personali (Mario Donizetti, Fernando Eandi, Pier Antonio Gariazzo, e via enumerando) – e soprattutto la moda, che lo portò a emergere in veste di arbiter elegantiarum e di fotografo (cfr. Bernardi, 1944). Fotografia e moda furono per Ridenti due ambiti strettamente collegati. A partire dagli anni Trenta, pubblicò reportage, articoli e primi contributi teorici per periodici quali L’illustrazione italiana, Almanacco della donna italiana, Rivista illustrata del popolo d’Italia, Natura, Lei e l’autorevole Bellezza, che contribuì a fondare con Gio Ponti nel 1941. Complice la prima moglie Donata (Ines Carozza, 1903-1951, modista, ex attrice e sua modella, sposata probabilmente dopo il 1926 e da cui non ebbe figli), realizzò istantanee e still life innovativi e d’avanguardia per i tempi (cfr. Una giornata moderna, 2009) più una ricca galleria di ritratti di attori e attrici tra cinema e teatro. Di moda continuò a occuparsi variamente fino agli anni Sessanta quando pubblicò Il Petronio (selezione dalla rubrica Lui ci tiene per Marie Claire), e La cavalcata delle stagioni, compendio riccamente illustrato su moda e costume nel primo Novecento.
La realizzazione del Dramma costituì in ogni caso la sua impresa maggiore. In quarantadue anni di direzione – interrotta brevemente tra il 1944 e il 1945 per raggiungere i compagni resistenti nel Biellese – Ridenti contribuì a farne una rivista-monstre, la più longeva del panorama nazionale e straniero: un deposito vastissimo di testi italiani (speciale attenzione per Eduardo De Filippo) e internazionali (pubblicò con anticipo gli americani: Eugene O’Neill, Tennessee Williams, mentore Anton Giulio Bragaglia; l’esistenzialista Jean-Paul Sartre e Federico García Lorca), integrato dai 35 volumi delle collane collaterali Teatro e Capolavori (Torino 1943-1953), e uno strumento di divulgazione, approfondimento e dibattito critico, nazionale e transalpino, che contribuì alla «conoscenza sprovincializzatrice ed extrautarchica degli italiani» (Terron, 1973). Testata leader nel settore fino agli anni Quaranta, Il Dramma si contraddistinse grazie a Ridenti come rivista votata a laicità e pluralità, costruita dall’interno del mondo teatrale, dove l’intrattenimento (con le prime rubriche di colore Termocauterio e Chi non è di scena, fuori!) veniva bilanciato dallo spessore critico (vi scrissero l’amato Simoni – di cui Ridenti curò l’opera critica e drammatica nei 6 volumi della collezione, 1949-1960 –, Bruno Schacherl, Gino Damerini, Mario Apollonio, Vito Pandolfi). Il suo gusto da fine umanista offrì ai numerosi lettori una tipografia sofisticata e una pregevole, assortita iconografia grazie al contributo di grafici, disegnatori e pittori di razza a lui personalmente legati (Umberto Onorato, Paolo Garretto, Emanuele Luzzati, Aligi Sassu, Gregorio Sciltian).
Durante un soggiorno a Bardonecchia, nel luglio del 1967, Ridenti venne colpito, in seguito a un ictus, da una grave forma di paresi. La sua infermità fu coperta da fidati collaboratori quali Enrico Bassano che portarono avanti la redazione della rivista fino all’ufficializzazione della malattia nel maggio del 1968.
Nello stesso anno uscì l’unico saggio di ricostruzione storica di Ridenti, vera e propria opera testamentaria scritta in punta di penna, Teatro italiano fra due guerre 1915-1940 (Genova 1968), che seguiva un profilo non ufficiale della ‘divina’ Eleonora Duse (La Duse minore, Roma 1966). Tra i premi e i riconoscimenti di cui fu insignito spiccano la medaglia d’oro della Presidenza del Consiglio dei ministri per i benemeriti del teatro (1956), e il premio Renato Simoni per la fedeltà al teatro (1958, 1ª edizione), il cui milione di lire fu versato da Ridenti alla Casa di riposo Lyda Borelli di Bologna.
Assistito dalla seconda moglie Rachele Cacciatori (1910-2001) – con cui si era unito in matrimonio a Taranto il 10 settembre 1957 e da cui non ebbe figli –, dopo una lunga e progressiva malattia degenerativa e il rifiuto delle cure, morì, nella sua abitazione di Torino, il 15 gennaio 1973.
Opere. Biglietto di favore, Milano 1927; 100 donne nude, in Il Dramma, III (1927), 17, pp. 2-37 (con D. Falconi); Esperienze sulla pelle altrui. Note, massime, aforismi, paradossi, Foligno 1928; Il terribile venerdì, Milano 1928; 500 aneddoti, Milano 1929; La vita gaia di Dina Galli, Milano 1929; Vere e bene inventate, Torino s.d. [ma 1930]; Il traguardo della celebrità, Milano 1931; Dal microfono al tuo cuore. Radiotrasmissione in trentasei capitoli, Milano s.d. [ma 1932]; Eleganze d’ogni stagione, Torino 1934; Essere sane per essere belle, Torino s.d. [ma 1934?]; Cappello, Torino 1944; Piccolo ricordo, Torino 1948; F. Dostoevskij, Delitto e castigo, riduzione e adattamento scenico, in Il Dramma, XXX (1954), 203-204, pp. 18-44; Il Petronio: nuovo saper vivere. Guida dell’eleganza maschile, Milano 1959; Ritratti perduti, Milano 1960; Cavalcata delle stagioni, Milano 1962. Ha curato inoltre: Cinema festival. Quaderno di propaganda cinematografica per la 5ª Mostra internazionale di Venezia, Torino 1937; collana Teatro, I-XXXV, Torino 1943-1953; collana I capolavori, I-VI, Torino 1945-1951; L’attore, Torino 1947 e le edizioni di R. Simoni, Le commedie, Torino 1949; Trent’anni di cronaca drammatica, I-V, Torino 1952-1960.
Fonti e Bibl.: Il Fondo Lucio Ridenti è conservato presso il Centro studi del Teatro stabile di Torino: il materiale è parzialmente catalogato e consta della biblioteca ridentiana (compresi gli arredi di design del suo studio e il ritratto di Gregorio Sciltian, 1955); della collezione completa del Dramma (consultabile on-line e scaricabile dalla piattaforma digitale dell’Archivio del Teatro stabile di Torino: http://www.archivio.teatrostabiletorino. it); dell’epistolario (di attori e attrici) lasciato in eredità a Ridenti da Renato Simoni; dell’archivio superstite della rivista (dagli anni Quaranta al 1973), organizzato in buste, faldoni, scatole e cartelle nominali o tematiche. Si vedano in particolare le buste intitolate a Ridenti che raccolgono il Profilo autobiografico, dattiloscritto, s.d. [post 1962]; documenti anagrafici; la rassegna stampa degli articoli relativi ai premi e ai riconoscimenti; gli articoli in mortem; le fotografie private. Sulla storia e i materiali del Fondo, si rimanda al puntuale e dettagliato Crivellaro (in Il laboratorio di Lucio Ridenti. Cultura teatrale e mondo dell’arte in Italia attraverso “Il Dramma”, Atti del Convegno... 2016, a cura di F. Mazzocchi - S. Mei - A. Petrini, Torino 2017, pp. 3-18). Sulla bibliografia ridentiana una prima ma essenziale ricognizione, a partire dalle tracce documentarie del fondo Lucio Ridenti e dallo spoglio del Dramma, è confluita in Il laboratorio di Lucio Ridenti..., cit.
Su biografia e ‘personalità’, oltre alla voce redazionale dell’Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1961, col. 968, si vedano almeno: F. P. [Fortunato Postiglione], Taccuino dell’editore, in Il Dramma, n.s., XXXI (1955), 227-228, pp. 13 s.; L. Ridenti, Addio a Eugenio Bertuetti, ibid., n.s., XL (1964), 330-331, pp. 86-88; E. Bassano, Lucio Ridenti, in Corriere mercantile, 16 gennaio 1973; R. Jacobbi, Il monocolo e la storia. In memoria di Lucio Ridenti, ibid., s. 3, XLIX (1973), 1-2, pp. 57-59; C.M. Pensa, Lucio Ridenti l’ultimo gentiluomo romantico, in Famiglia mese, febbraio 1973; C. Terron, Ricordo di Lucio Ridenti, in La Notte, 21 marzo 1973; G. Calendoli, Lucio, o la memoria del teatro italiano, in Hystrio, n.s., III (1990), 3, pp. 42 s.
Diversi i contributi rivolti al Dramma che ripercorrono anche il curriculum di Ridenti, sia attraverso panoramiche e studi di caso: P.E. Poesio, Sole, nuvole e tempeste ne “Il Dramma” di Lucio Ridenti, in Bollettino del Fondo librario, n. 2, “Il Dramma”. I testi, Firenze 1986, pp. 7-15; P. Crivellaro, La vocazione teatrale di Emanuele Luzzati: illustrazioni per “Il Dramma” di Lucio Ridenti (1950-1955), in Emanuele Luzzati e il gioco del teatro (catal.), a cura di S. Leto, Asti 2005; sia all’interno di panoramiche storiche relative alla temperie culturale tra le due guerre o alla letteratura teatrale: P. Alonge Trivero, L’attività teatrale a Torino fra le due guerre, Torino 1970; G.R. Morteo, Il teatro: specchi e miti di una città, in Torino tra le due guerre (catal.), Torino 1978, pp. 244-269, 395-409; F. Angelini, Politiche culturali e critica teatrale: note sulle riviste italiane degli anni ’50, in Quaderni di Teatro, II (1979), 5, pp. 40-48; G. Antonucci, Storia della critica teatrale, Roma 1990; A. d’Orsi, La cultura a Torino fra le due guerre, Torino 2000.
Sull’attività di fotografo tout court, si veda il primo e a oggi isolato contributo di M. Bernardi, Immagini di Ridenti, Milano 1944. Oggetto invece di una vera e propria riconsiderazione, i cui esiti però sono ancora in fase di elaborazione, è l’attività di Ridenti nella fotografia di moda, per cui si veda il poderoso atlante, corredato di schede e apparati, Una giornata moderna. Moda e stili nell’Italia fascista, a cura di M. Lupano - A. Vaccari, Bologna 2009.