PARODI, Ernesto Giacomo
Filologo, glottologo e dantista, nato a Genova il 21 novembre 1862, morto a Firenze il 31 gennaio 1923. Fu uno dei più insigni maestri che abbia avuto la scuola italiana. Laureatosi in lettere (1886) nella sua città natale, esordì con Saggi di etimologie genovesi (1885) e con Osservazioni sul lessico genovese antico (1886), che lo portarono più tardi a una compiuta descrizione e, nel quadro della dialettologia italiana, a una precisa valutazione del suo idioma nativo dal sec. XVI ai giorni nostri (1902). Si perfezionò a Firenze (1886-88) alla scuola di A. Bartoli, di P. Raina e di G. Vitelli. Avviandosi verso la comparazione letteraria, studiò i rifacimenti e le traduzioni dell'Eneide (1887) e le Storie di Cesare nella letteratura italiana dei primi secoli (1889): primo orientamento verso quella storia dello spirito italiano che vide atteggiarsi, nel suo periodo formativo, sotto l'influsso delle memorie e delle glorie di Roma (L'eredità romana e l'alba della nostra poesia, 1913). A Lipsia (1888) seguì i corsi di K. Brugmann, allargando i suoi orizzonti linguistici nel campo classico e indoeuropeo (Le sorti di e ed o nel latino davanti a nasale in sillaba chiusa, 1891; Noterelle di filologia latina, 1893; Intorno alla formazione dell'aoristo sigmatico e del futuro greco, 1898; ecc.). Le sue preferenze si volsero però al mondo neolatino. Per le tradizioni stesse della scuola fiorentina, dove il P. era tornato come maestro (1892), e perché in lui l'interesse letterario prevaleva su quello linguistico, egli volse le sue cure al fiorentino arcaico, agli antichi dialetti toscani, al processo di unificazione linguistica italiana, documentando la sua mirabile preparazione di glottologo e di filologo in accurate edizioni di testi (Il Tristano Riccardiano, Bologna 1895; Il Fiore e il Detto d'Amore, Firenze 1921; il Convivio, in collaborazione con F. Pellegrini, in Opere di Dante, Firenze 1921) e nello studio sulla rima e i vocaboli in rima nella Divina Commedia (1904). Pronto a rivivere con originalità le dottrine dei suoi maestri e gli impulsi dei suoi ispiratori, fossero l'Ascoli o il Rajna, il De Sanctis o il Croce, il P. glottologo si pose in senso idealistico di fronte al problema delle leggi fonetiche, mentre il filologo, procedendo nella valutazione estetica, si rivelò un critico aperto a tutti i valori umani della poesia.
Direttore del Bullettino della Società Dantesca Italiana (1906-23), egli affrontò tutti i problemi fondamentali della critica dantesca: dal senso storico del vocabolario di Dante alla data di composizione del poema in relazione col pensiero politico che lo informa, dal chiuso significato allegorico alla costruzione e all'ordinamento dei regni oltremondani. Con pienezza di visione storica, reagendo a tutte le improvvisazioni e ai vani dilettantismi (Il dare e l'avere fra i pedanti e i geniali, Napoli 1923), si conquistò il godimento estetico dell'opera d'arte (Poesia e storia nella Divina Commedia, Napoli 1920; Poeti antichi e moderni, Firenze 1923). Anima vibrante d'entusiasmo, con ferma fede nei destini di una nazione grande e gloriosa, il P. fu ardente nazionalista (Nazionalismo, Firenze 1911) e tenace assertore dei diritti della vittoria nel torbido periodo del dopoguerra, esaltando in sé, come cittadino militante, la figura del letterato e del maestro italiano.
Bibl.: P. Rajna, E. G. P., in Il Marzocco, 11 febbraio 1923; In memoria di E. G. P., articoli varî in L'idea nazionale, 3 aprile 1923; V. Cian, in Giorn. stor. della letter. ital., XLI (1923), p. 237; V. Rossi, in Nuova Antologia, 16 febbraio 1923, p. 345; B. Terracini, in Rivista di filologia classica, 1923; A. Schiaffini, in Dante e la Liguria, Milano 1925, pp. 235 segg., 368 segg.; C. Battisti, E. G. P. e la valutazione della legge fonetica, Gorizia 1925.