GRASSI, Ernesto
Nacque a Napoli, il 24 sett. 1900, da Luigi e da Orestina Gallo.
Il padre, commerciante di preziosi, a seguito della crisi economica tra le due guerre fu costretto a impiegarsi in banca, mentre la famiglia della madre annoverava tra i suoi ascendenti noti intellettuali, come M. Pagano.
Il G., secondo di dieci fratelli, non potendo continuare gli studi oltre la licenza liceale, fu assunto nel 1922 dalla Banca commerciale italiana, presso cui lavorò per oltre un decennio. Ma il suo interesse per il giornalismo, concretizzatosi già nel 1926 in una collaborazione a Lo Stato, lo convinse a lasciare la carriera bancaria e a entrare, nel 1933, nella redazione de Il Mattino, prima come pubblicista e poi come giornalista professionista; passò quindi al Corriere di Napoli (1939-42), di cui fu redattore capo. Nel dopoguerra, il suo nome resta legato soprattutto all'attività al Roma (1950-54), in veste di critico teatrale e cinematografico ma anche di condirettore, e a La Tribuna d'Italia, che diresse dal 1954 al 1956.
Il G., inoltre, anche con lo pseudonimo di Riccardo Vega, diede il suo contributo a molte altre testate dell'area politica del centro-destra, in gran parte legate al nome di A. Lauro, tra cui: Gazzetta del popolo, Il Giornale d'Italia, Il Mattino illustrato, La Patria, Il Risorgimento. Infine, a partire dal 1954, fu consigliere dell'Associazione della stampa e vicepresidente del consiglio direttivo del Circolo della stampa di Napoli.
A fianco della professione giornalistica, il G. coltivò una sincera vocazione letteraria, che si espresse inizialmente in un volume di poesie, Rosso di sera (Napoli 1929) - in cui è evidente il richiamo al lirismo paesaggistico di S. Di Giacomo filtrato attraverso la sensibilità crepuscolare - e in una raccolta di elzeviri e racconti ispirati al mondo partenopeo (Viaggio a Napoli, Pompei 1937).
Legato all'ambiente culturale della sua città, il G. entrò in contatto con i maggiori rappresentanti della scena napoletana (da Totò a R. Viviani, dai De Filippo a N. Taranto, da V. De Sica a Tina Pica), di cui fu cronista fedele sia sulle pagine del Roma, sia su quelle de Il Dramma, cui collaborò assiduamente (1949-61). Seguì con particolare attenzione anche l'attività di L. Pirandello e la drammaturgia straniera, con specifica predilezione per gli autori francesi e inglesi, propendendo, nel suo lavoro critico, verso un'interpretazione sociologica dei fenomeni teatrali. Inoltre, il G. contribuì in prima persona a "esportare" in ambito nazionale il teatro napoletano, sia come direttore dello Stabile di Napoli (1955-60) e della Compagnia del teatro d'arte della RAI, sia come docente, dal 1950 al 1955, presso la cattedra di storia del teatro del corso di scenografia dell'Accademia di belle arti della città partenopea.
Il maggiore apporto al teatro, comunque, il G. lo diede come autore; il suo testo più famoso, Ventiquattr'ore di un uomo qualunque, in dialetto napoletano, fu rappresentato per la prima volta dalla Compagnia del teatro umoristico dei fratelli De Filippo (Napoli, teatro Sannazaro, 16 nov. 1933; poi in versione italiana, Milano, teatro Olimpia, Compagnia del teatro italiano di P. De Filippo, 15 apr. 1954; quindi pubblicato in Il Dramma XXXI [1955], 225, pp. 7-30).
Il lavoro, in tre atti, ebbe come primi interpreti E. De Filippo (Alberto Cimmino), P. De Filippo (Cinque), Lisa Cardón (Titina), Tina Pica (Signora Cimmino), E. Loris (Pietro Carloni). È la storia di Alberto Cimmino, tranquillo impiegato napoletano che, dopo venti anni di vita regolata e metodica, decide di abbandonarsi a un'intensa ma effimera trasgressione, dopo aver incontrato Lisa, sua antica fiamma, ora diventata una modesta attrice che vive di espedienti. Le frustrazioni nel proprio ambiente di lavoro, in cui i riconoscimenti vanno a Cinque, un più giovane collega sfaticato e raccomandato, e il riemergere della repressa passione per le scene spingono il protagonista a seguire per ventiquattro ore la mediocre compagnia teatrale in cui lavora Lisa, dopo aver speso tutto il proprio stipendio per saldare i debiti di lei. Ma, incapace di sostenere il nuovo ruolo, infine torna a casa, rivelando tutto alla moglie, più preoccupata dei soldi perduti che per la scappatella sentimentale del marito. Dopo un acceso sfogo, in cui dà voce alle frustrazioni di tutta una vita, il povero Cimmino rientrerà silenziosamente nel suo anonimato.
Il successo arriso a questo primo lavoro permise al G. di portare sulle scene La casa delle ortensie (Milano, teatro Olimpia, 14 nov. 1934), rappresentata in dialetto napoletano da R. Viviani; e successivamente, seppure a scadenze irregolari, altri testi teatrali, che rivelano una discreta versatilità: nel 1950, con la compagnia di P. De Filippo, l'atto unico Commissario di notturna (Napoli, teatro Mercadante; poi in Il Dramma, XXX [1954], 202, pp. 46-57), in cui il G. mise a frutto la sua lunga esperienza di cronista; quindi, sempre con l'interpretazione di P. De Filippo, A me la libertà! (Napoli, 19 apr. 1951).
Di Commissario di notturna è protagonista Spasiano, appunto un commissario, che nel corso di una notte si vede sfilare davanti i casi più svariati di una umanità dolente e priva di ogni speranza di riscatto, fino a giungere alla consapevolezza della inutilità del suo ruolo sociale. A me la libertà! è una commedia in tre atti in cui, attraverso la sostenuta eloquenza dell'avvocato Fortunato Cappa, personaggio che coniuga pirandellianamente umorismo e drammaticità, viene affrontata, con una vena di bruciante ironia, la tematica divorzista.
Diverso il carattere di Appuntamento in paradiso, di cui la compagnia di N. Taranto eseguì la prima al politeama Genovese, il 6 marzo 1959 (poi in Il Dramma, XXXV [1959], 275-276, pp. 55-77).
La relazione platonica tra Filippo, ufficiale di carriera in fama di donnaiolo, e Giulietta, nobile decaduta che ha sposato un aristocratico siciliano per risollevare le sorti della famiglia, viene seguita lungo un arco di quasi mezzo secolo, ricorrendo a tecniche tipiche del teatro di ricerca, come il prologo metateatrale e la rappresentazione per quadri staccati.
Tra le altre opere del G., non tutte andate in scena né edite, vanno ricordate ancora Le foglie morte e Voilà (entrambe rappresentate a Napoli, dalla Compagnia del teatro da camera, il 13 giugno 1954), e poi L'anello di smeraldi, Passato remoto, Con Pulcinella amante infelice, Leonora addio!, Roberto il diavolo.
Il percorso creativo del G., sviluppatosi nell'arco di un trentennio, parte da una inequivocabile matrice partenopea, ravvisabile nella vena comica delle prime opere, dietro cui però già si intuisce un'atmosfera di tragica disperazione - che risente della lezione di Pirandello - la quale via via si esplicita fino a raggiungere, negli ultimi anni, i toni decisamente apocalittici "della denunzia fine a se stessa e della flagellazione moralistica, secondo i canoni contenutistici di quell'espressionismo che definirei di destra" (P. Ricci, rec. a I sonnambuli, in Il Dramma, XXXVII [1961], 295, p. 6).
In questo senso I sonnambuli (ibid., pp. 9-28), ultimo lavoro del G., è quello in cui egli maggiormente cerca di allontanarsi dalla tradizione partenopea, per inserirsi invece nel filone europeo del teatro esistenzialista. La prima del dramma, in tre atti, avvenne al teatro Stabile di Napoli, il 3 marzo 1961, con la regia di G. Colli, le scene di M. Scandella e una compagnia di eccezione.
Vi figuravano, tra gli altri, Paola Borboni (Giovanna Ferrone), Lia Angeleri (Emma), G. Mauri (Larry), C. Giuffré (Pietro Maranco). Il quadro umano e morale ricorda, per la spietatezza della visione, gli interni borghesi della narrativa di A. Moravia: Giovanna Ferrone è una donna di mezza età, ancora affascinante, che amministra senza scrupoli la banca di cui è proprietaria. La figlia Stella sta per sposarsi con Pietro Maranco, un marinaio il quale nel frattempo intrattiene una relazione con Emma, la moglie annoiata e insoddisfatta di Larry, l'altro figlio della protagonista, intellettuale affetto da impotenza e epilessia ma ancora animato da un autentico spirito umanitario. Quando l'ultimo incontro tra Pietro ed Emma, avvenuto in un postribolo, viene rivelato da Giorgio, un vecchio e cinico avvocato ex amante della Ferrone, e da Albert, il domestico di famiglia sempre pronto a soddisfare servilmente tutte le richieste dei suoi padroni, i tentativi della protagonista per proteggere i suoi figli dalla verità si rivelano inutili e Larry, in un accesso di follia, strangola Emma, anche se nella conclusione pare evidente che non dovrà subire le conseguenze giudiziarie del suo atto grazie al potere della madre.
A partire dal 1937, il G. aveva iniziato una significativa attività in campo cinematografico, come cosceneggiatore di Napoli terra d'amore (una produzione francese il cui titolo originale era Naples au baiser de feu).
Il film, tratto da un romanzo di A. Bailly, e sceneggiato dal G. in collaborazione con H. Jeanson e il commediografo M. Achard, fu diretto da A. Genina e interpretato da un cast italo-francese, in cui figuravano T. Rossi, Mireille Balin, Viviane Romance, M. Simon. Nella pellicola un giovane di buona famiglia viene irretito da una donna che lo conduce a Napoli, costringendolo a una vita miserabile e piena di espedienti. Un amico lo ritrova e lo convince a tornare a Parigi, dalla fidanzata che ancora lo ama.
Nel 1939 il G., su invito di E. e P. De Filippo, che si erano avvicinati al cinema, partecipò alla sceneggiatura di In campagna è caduta una stella, diretto e interpretato dallo stesso Eduardo, e di Il marchese di Ruvolito, da un soggetto di N. Martoglio, per la regia di R. Matarazzo. Qualche anno più tardi, nel 1949, sceneggiò con altri una terza commedia dai toni dolceamari, Biancaneve e i sette ladri, da un romanzo di A.G. Rossi, con la regia di G. Gentilomo e l'interpretazione di P. De Filippo e Silvana Pampanini. Infine, il G. scrisse per il cinema il soggetto e la sceneggiatura di Passione, film drammatico centrato su una vicenda di delitto e redenzione, che diresse insieme con M. Calandri; tra gli interpreti: Lillian Deis, A. Basurto, Maria Grazia Francia.
Inviato a Venezia nel 1960, per seguirvi il festival cinematografico, fu colpito da un ictus, le cui conseguenze lo costrinsero a ridurre drasticamente la sua attività.
Il G. morì a Napoli il 12 dic. 1963.
Il 24 ott. 1922 aveva sposato Antonietta Festi, dalla quale ebbe cinque figli: Gino, Franco, Maria Pia, Vittorio, Luciana.
Oltre a quanto citato nel testo e a numerose recensioni, del G. si ricordano ancora: Presentaz. a E. Grella, Il parafulmine, Napoli 1947, pp. 5 s. (del testo il G. curò l'edizione radiofonica con la Compagnia di prosa di Radio Napoli); Vecchio e nuovo S. Ferdinando, in Eduardo De Filippo e il teatro S. Ferdinando, ibid. 1954, pp. 24 s.; Due generazioni. Il poeta drammatico di questa generazione deve pur nascere quale espressione dell'epoca, in Il Dramma, XXXI (1955), 221, pp. 32 s.; Introduzione a Via Toledo di notte, in R. Viviani, Trentaquattro commedie scelte…, a cura di L. Ridenti, I, Torino 1957, pp. 35 ss.; La sacra rappresentazione, la sagra, la laude erano teatro?, in Il Dramma, XXXIII (1957), 251-252, pp. 66-68; I giorni più felici della vita, in La sesta primavera napoletana della prosa, Napoli 1958, pp. 27 s.; I giganti della montagna e Lastrico d'inferno, in La settima primavera napoletana della prosa nei giudizi della critica, ibid. 1959, pp. 7-10, 59-61; Prefaz. a L. Barbato, Noi due, ibid. 1959, pp. 3-9; La vita e l'opera di A. Torelli, in A. Torelli, Teatro scelto edito e inedito, Milano 1961, pp. VII-XXIII.
Fonti e Bibl.: L. Antonelli, Ventiquattr'ore di un uomo qualunque, in Il Giornale d'Italia, 28 nov. 1933; R. S[imoni], Ventiquattr'ore di un uomo qualunque, in Corriere della sera, 9 febbr. 1935; F. Frascani, Due atti unici di E. G., in Il Giornale, 14 giugno 1954; L. Antonelli - R. Simoni, Ventiquattr'ore di un uomo qualunque, in Il Dramma, XXXI (1955), 225, p. 5; G. Prosperi, Carattere del personaggio, ibid., 224, p. 58; E. Bassano, Appuntamento in paradiso, ibid., XXXV (1959), 275-276, p. 53; B. Fiorentino, I sonnambuli, ibid., XXXVII (1961), 294, pp. 71 s.; P. Ricci, I sonnambuli, ibid., 295, pp. 5-7; L. Ridenti, Addio a E. G., ibid., XL (1964), 328, pp. 67 s.; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 632, 638, 825, 866, 899, 923 s.; E.F. Palmieri, Del teatro in dialetto. Saggi e cronache, a cura di G.A. Cibotto, Venezia 1976, p. 88; F. Di Franco, E. De Filippo, Milano 1978, p. 68; N. Masiello, Il teatro Sannazaro, Roma 1985, p. 48; M. Giammusso, Vita di Eduardo, Milano 1993, pp. 73, 101 s.; Enc. dello spettacolo, V, col. 1640; Filmlexicon degli autori e delle opere, Autori, II, ad vocem; Autori e drammaturgie. Prima enciclopedia italiana del dopoguerra, a cura di E. Bernard, ad vocem.