GRASSI, Ernesto
Nacque a Milano il 2 maggio 1902 da Giovanni Battista e da Caterina Luce. Compì gli studi nella città natale, dove fu allievo di P. Martinetti ed entrò in contatto con la tradizione idealistica italiana. Negli anni dell'università ebbe modo di lavorare anche con il filosofo francese M. Blondel a Aix-en-Provence, ma non trovò qui uno sbocco ai suoi interessi teoretici, che, nel 1928, dopo la laurea in filosofia conseguita a Milano, lo portarono invece in Germania.
Qui entrò brevemente in contatto con filosofi quali M. Scheler, K. Jaspers e N. Hartmann; fu a Marburgo, nello stesso anno, che il G. fece la conoscenza, decisiva per la propria formazione intellettuale, di M. Heidegger. Ne seguì un seminario e ottenne il permesso di lavorare con lui; l'anno successivo si trasferì a Friburgo, al seguito del maestro che era stato chiamato nel frattempo presso quella Università, e vi conobbe tra gli altri E. Husserl.
Il G., che era rimasto in contatto con l'ambiente idealistico italiano - fu B. Croce a fargli pubblicare il primo libro presso Laterza nel 1932 (Il problema della metafisica platonica) -, cominciò il suo inserimento nelle università tedesche. A un primo incarico nel 1935 a Friburgo, seguirono insegnamenti presso le Università di Berlino (1938), Zurigo (1945) e Monaco (nel 1948), dove rimase fino al ritiro dall'attività accademica. Nel 1938 fondò a Berlino l'istituto Studia humanitatis e nel 1940 la rivista Jahrbuch für geistige Überlieferung, che fu chiusa dopo poco dal regime nazista. Dal 1955 diresse la Deutsche Enzyklopädie (Rowohlt). Nonostante la sua carriera accademica si fosse svolta prevalentemente in Germania (inizialmente aveva tenuto insegnamenti anche a Roma e Padova), il G. mantenne fitti contatti con la vita intellettuale italiana, pubblicando, o avendo tradotto, molti dei suoi libri in Italia e collaborando con istituzioni culturali quali l'Istituto di studi filosofici fondato a Roma da E. Castelli, che diresse dopo la morte di quest'ultimo, il Centro internazionale di studi umanistici e filosofici, da lui stesso creato a Roma, e l'Istituto di studi filosofici e umanistici di Monaco.
Il percorso filosofico del G. è segnato da alcuni motivi di fondo identificabili da una parte nella critica al concetto moderno di razionalità e dall'altra nel recupero e nella rielaborazione della prospettiva dell'umanesimo. La razionalità moderna, concepita alla maniera di Cartesio ed esemplificata dalla scienza moderna, ha tra le sue caratteristiche fondanti l'estromissione dal sapere oggettivo del mondo delle peculiarità e delle parzialità tipiche del punto di vista umano: i colori e i sapori, così come tutte le qualità secondarie, ma oltre a ciò l'intero campo di espressione degli individui di tipo inventivo e immaginativo, oltre che la sfera del senso comune. Il G. reagisce a questa nozione di razionalità difendendo invece ciò che è proprio del punto di vista umano. Egli, tuttavia, sin dagli esordi del suo lavoro, si rifiutò di esprimere un verdetto negativo sull'intero percorso del pensiero moderno e si propose invece di reinterpretare la modernità in una luce diversa, ponendovi al centro non il percorso inaugurato da Cartesio ma quello che, a partire dall'umanesimo italiano, arriva con G. Vico a esprimere una prospettiva egualmente moderna ma radicalmente anticartesiana.
Naturalmente l'idealismo italiano aveva già tentato una simile ricostruzione della modernità. Il G. ritenne, in un primo momento, che essa fosse compatibile con la critica che Heidegger andava nel frattempo svolgendo del pensiero moderno. In questa fase egli accettava ancora la definizione filosofica che B. Spaventa e G. Gentile (sulla scia di J. Burckhardt) avevano dato dell'umanesimo come movimento di rifiuto dei valori trascendenti e come riscossa dei valori immanenti dell'essere umano (cfr. Il pensiero di Machiavelli e l'origine del concetto di Stato, in Rassegna nazionale, XLVI [1924], p. 37). I suoi lavori di questo periodo (tra cui Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, in Giorn. critico della filosofia italiana, XI [1930], pp. 288-314; Dell'apparire e dell'essere, Firenze 1933 [seguito da Linee della filosofia tedesca contemporanea]; Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, in Giorn. critico della filosofia italiana, XVIII [1937], pp. 319-334) furono tra i primi a introdurre in Italia il pensiero di Heidegger e dell'esistenzialismo, nella chiave di una possibile convergenza del pensiero del filosofo tedesco con l'attualismo gentiliano.
Tuttavia questa fase fu presto superata da un'importante trasformazione di prospettiva. Il pensiero di Heidegger, infatti, doveva condurre il G. a respingere la caratterizzazione dell'umanesimo come riscoperta dei valori immanenti dell'essere umano e a collocarlo, invece, lungo una diversa linea di pensiero. La lezione di Heidegger, di fatto, metteva in discussione la tesi secondo la quale l'essenza dell'umanesimo consiste nella rivendicazione di valori individuali. La nozione di individuo, infatti, sebbene lo concepisca come inserito in una comunità che richiamava le immagini classiche della città politica, rientrava in una medesima concezione moderna e razionalistica che attribuiva a valori e scelte individuali la fonte del significato delle cose; laddove la lezione heideggeriana portava il G. a rivendicare la prospettiva di ciò che rende possibile valori e significati, cioè dell'orizzonte o dell'"apertura" originaria in cui fanno la loro comparsa il mondo e gli esseri umani (Heidegger e il problema dell'umanesimo, Napoli 1985, p. 100). Tale apertura è secondo il G. quella della parola poetica e metaforica, in cui i concetti sono visti sorgere non come creazioni dell'individuo a partire da scopi dati ma come l'emergere stesso del pensiero dalle necessità naturali. La fonte del significato non sono gli individui e la razionalità strumentale, ma le pratiche comuni in cui parole e gesti assumono significato, si colorano delle passioni più forti e rispondono delle necessità naturali. In questa fase non vi sono ancora scopi né vi sono gli strumenti razionali per esaminarli: il G. è interessato a fissare il momento dell'emergere dal nulla della pura naturalità dell'elemento umano del pensiero. Tale emergere è indipendente dagli individui, ha un carattere sovraindividuale e i singoli possono solo aderirvi. Esso ha invece un carattere storico e per questa via il G. respinge una possibile lettura religiosa di questa ricerca della parola originaria (Vico and humanism, New York 1990, p. 196).
I termini iniziali della polemica antirazionalistica e del recupero della tradizione dell'umanesimo perciò cambiano. Critica della ragione astratta e scientifica e appello ai valori dell'umanesimo non indicano più il recupero di una diversa concezione dell'individuo umano (che storicamente è possibile attribuire all'umanesimo italiano), ma la critica radicale alla nozione di individuo come questa è incarnata nelle tradizionali concezioni umanistiche e la ricerca di un fondamento diverso, non individuale, ma di tipo comunitario e storico; in cui comunità e storia sono concetti che eludono il contributo individuale poiché concepiti, con Heidegger, in termini di apertura e di contesto originario.
In questa luce è possibile leggere il contributo che il G. ha offerto all'elaborazione di una filosofia concepita come retorica. Al centro vi è la sua rilettura della figura di Vico: il G. trova in Vico un motivo di critica della concezione moderna della razionalità che era ampiamente diffuso nella generazione della crisi austriaca e tedesca tra i due secoli, ed è l'idea che la civilizzazione abbia portato le forme espressive a spegnersi: esse sono astratte e astoriche e non mostrano un legame vivo con una comunità e una realtà storica concreta. Il G. riscontra appunto in Vico la diagnosi di questa situazione, che deriva da un distacco della parola dalla concretezza della sensibilità, dell'azione e della passione (Vico and humanism, p. 195). La parola mitica e fantastica testimonia invece di questo rapporto vivo con la realtà; tale parola, infatti, è frutto delle esigenze e necessità naturali che si impongono e che trovano espressione diretta nelle forme linguistiche. In quella fase il linguaggio costituisce un tutt'uno con la realtà: non ne fa un oggetto di rappresentazione distaccata, come suggerisce l'immagine cartesiana della razionalità, ma ne è da una parte espressione e dall'altra strumento per padroneggiarla. La priorità della retorica indica perciò un tipo di attenzione al linguaggio e alla sua storicità, in cui il linguaggio non è considerato come mezzo per esprimere significati o scopi già configurati ma come il luogo dove appare il significato delle attività. Il G. scrive che tanto la tradizione umanistica quanto Vico cominciano la loro indagine filosofica con i costumi e i rituali come la religione, il matrimonio e la sepoltura dei morti, che sono intrinsecamente umani (ibid., p. 191). Questi rituali esprimono infatti in modo diretto il significato di realtà umane come la morte e i legami tra gli esseri umani. In questi casi il significato non è attribuito da un atto arbitrario della volontà, ma appare semplicemente emergere dalle attività: è inscritto in questi rituali. L'esame di queste forme espressive, che il G. estende dalla poesia alla giurisprudenza - che egli concepisce (attraverso la lettura di C. Salutati) come la forma originale della filosofia nella tradizione latina - rivela quindi l'orizzonte di possibilità da cui sorgono le effettive forme storiche concrete di vita.
In questa attenzione per tutte le forme espressive che sono in grado di rivelare in modo immediato le fonti di significato delle cose il G. mostra una grande generosità di lettura, che include la poesia e la giurisprudenza, i riti e le religioni, il cristianesimo e l'ebraismo. Egli scrive che la lingua poetica, metaforica e favolosa fa parte della tradizione giudaica e cristiana (ibid., p. 106). Perciò la lezione di Heidegger, se da una parte allontana il G. dalla concezione tradizionale dell'umanesimo centrata sui valori individuali, dall'altra è tradotta in un'attenzione verso ciò che rivela l'orizzonte originario di senso che è egualmente distante dallo stesso Heidegger, che non fu mai incline a considerare il valore della tradizione latina né tanto meno dell'ebraismo come fonti espressive primarie.
Oltre alle opere menzionate si segnalano: Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia contemporanea, in Riv. di filosofia, XX (1929), pp. 129-151; Vom Vorrang des Logos, München 1939; La filosofia tedesca e la tradizione speculativa italiana, in Giorn. critico della filosofia italiana, XXI (1940), pp. 398-421; Gedanken zum Dichterischen und Politischen, Berlin 1940; Wirklichkeit als Geheimnis und Auftrag, Bern 1946; Das politische Erbe der Renaissance, ibid. 1947; Il fondamento esistenziale dell'umanesimo, in Archivio di filosofia, XIX (1949), pp. 34-54; Kunst und Mythos, Hamburg 1958; DieTheorie des Schönen in der Antike, Köln 1962; Die Macht der Phantasie, Frankfurt a.M. 1979; Die unerhörte Metapher, a cura di E. Hidalgo-Serna, ibid. 1992; Ricordi di Husserl e Heidegger, in Enc. multimediale delle scienze filosofiche, Roma 1992.
Il G. morì a Monaco di Baviera il 22 dic. 1991.
Fonti e Bibl.: Necr. in La Repubblica, 27 dic. 1991; Corriere della sera, 28 dic. 1991; E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Bari 1955, ad indicem; U. Spirito, L'attualismo di G. Gentile e il problematicismo, in La filosofia contemporanea in Italia. Società e filosofia di oggi in Italia, Asti 1958, ad indicem; G. Cantillo, Filosofia italiana ed esistenzialismo tedesco, in Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a cura di P. Rossi - C.A. Viano, Bologna 1991, pp. 39 s.; Studi in memoria di E. G., a cura di E. Hidalgo-Serna - M. Marassi, Napoli 1996; D. Bigalli, Umanesimo e Rinascimento nella cultura italiana del dopoguerra, in Cinquant'anni di storiografia filosofica in Italia, a cura di E. Donaggio - E. Pasini, Torino 2000, pp. 136-138; F. Abba Luzzato, Diz. generale degli autori italiani contemporanei, I, s.v.; Brockhaus Enzyclopädie, IX, s.v.; Dictionnaire des philosophes, a cura di D. Huisman, I, s.v.; Diz. Bompiani dei filosofi contemporanei, sub voce.