Erotismo
La dimensione erotica come originaria relazione all'altro
L'e. è la prima modalità con cui il bambino si relaziona al mondo che intorno gli sta per nascere, così come è la prima modalità di relazione che il nevrotico ritira quando intorno a lui un mondo si destruttura e perde il suo significato. Di qui l'importanza di S. Freud e insieme l'infedeltà alla sua profonda intuizione. Dopo aver scoperto, infatti, che l'e. non è un'infrastruttura biologica, ma è la modalità generale con cui un soggetto aderisce a un ambiente, fissa le sue prime esperienze, acquisisce forme di condotta, segnala le tracce e le direzioni di fondo che poi la sua vita andrà via via assumendo, Freud lo riconduce nell'ambito dell'istintualità e della pulsionalità, definibili in base alla causalità propria di un "apparato psichico" analogo a quello organico, dove non traspaiono sensi e significati, ma solo cause ed effetti (Metapsychologie: Triebe und Triebschicksale, 1915; trad. it. in Opere, 8° vol., 1976, pp. 13-35).
La dimensione erotica, infatti, ha il potere di trasformare le idee in cose, la vita di relazione in rapporto sessuale, la contrazione dell'esistenza in sintomo organico. Ma per comprendere l'e. nel suo significato più autentico, per dissolvere la sua opacità, a cui si arresta per es. la visione organicistica del nostro corpo, ci vuole tutta la forza del simbolico, capace di scorgere nella vita corporea, che sembra defluire senza la mia complicità e senza una mia possibilità d'intervento, l'abbozzo del mio modo di essere al mondo, il mio primo patto con esso. La carne infatti, in cui l'e. si radica, esprime l'esistenza come la parola il pensiero, essendo la nostra un'esistenza incarnata. Il corpo è la trama in cui i fili dell'esistenza e quelli della carne si raccolgono per esprimere quel senso che poi la mia vita rivela.
Il significato esistenziale del pudore, del desiderio, della seduzione, dell'amore non avrebbe linguaggio, così come nudità, penetrazione, orgasmo non avrebbero significato umano se in essi la dimensione erotica non si incaricasse di esprimere la dialettica dell'Io e del Tu, della signoria e della servitù, della dipendenza e dell'autonomia. Trattare la dimensione erotica come una dialettica non significa ricondurre la carne a significati che la trascendono, ma riportare i significati che la nostra cultura ha collocato nella trascendenza a quella dimensione primaria che è la tensione di un corpo verso un altro corpo, che è possibile solo grazie alla complicità della carne che l'e. vivifica e sottrae alla sua opacità.
Se non ci lasciamo irretire dall'ipotesi psicoanalitica che, come abbiamo visto, riduce il desiderio all'ordine degli istinti e delle pulsioni, constatiamo che l'e. è quell'attenzione all'altro che mi fa scoprire come essere sessuato. Non dunque una pulsione che, cresciuta dentro di me, si sprigiona fuori, ma un dono che ricevo dall'altro a cui la natura trascendente del desiderio si intenziona.
L'esperienza a cui ingenuamente va incontro per la prima volta una giovane donna, per brutale che sia, non le impedisce di scoprire la propria sessualità come una preoccupazione fino a quel momento a lei estranea o come una possibilità sua propria. L'autoerotismo, a cui prima si era affidata, le avrà fatto scoprire una soddisfazione, ma non la sessualità, perché questa è desiderio, e il desiderio non desidera innanzi tutto il proprio soddisfacimento, ma l'altro che mi trascende. Solo desiderando l'altro o rivelandomi incapace di desiderarlo, mi scopro come essere sessuato.
La passione erotica come patimento dell'altro
Se il desiderio erotico non è una mia pulsione meccanica, ma un dono dell'altro, si capisce perché il desiderio turbi. Il turbamento dice la novità assoluta dell'evento che, sopraggiungendo, sconvolge l'ordine che fino a quel momento aveva la mia esistenza, il mio abituale modo di essere-nel-mondo. Seducendo, 'adducendo a sé' la mia esistenza, l'altro mi fa paura, perché è come se mi derubasse di un ordine che pazientemente avevo costruito. Per questo lo patisco.
Provare una passione è patire la presenza dell'altro che sconvolge la mia. L'evento mi sor-prende perché mi 'afferra al di sopra' di quella che fino a quel momento era la mia esperienza; è troppo nuova perché io possa accettarla e riconoscerla come mia, perché il desiderio che l'altro risveglia in me non è la pulsione che mi era familiare nell'autoerotismo, ma è la nuova esperienza che faccio del mio corpo nel momento in cui scopro l'altro come corpo.
L'altro è sempre identificato dal suo corpo, il bambino sa che i visi del papà, della mamma, dei fratelli non sono intercambiabili, ma per lui il corpo non ha ancora quello spessore carnale che solo il desiderio erotico rivela. Il turbamento dell'adolescente è il turbamento dell'ordine della sua esistenza che, percorsa dal desiderio, si trova costretta a investire di altri sensi e di altri significati quegli organi che fino ad allora aveva conosciuto come semplicemente deputati all'alimentazione, alla minzione e alla defecazione; per questo la realtà sessuale appare sporca, sudicia, vergognosa, inquietante.
Le zone che fin dalla nascita garantivano il ricambio del corpo con il mondo sono ora investite da un senso che allarga a tal punto il significato di questo ricambio, che l'esistenza ne resta sconvolta e costretta a rivedere le sue direzioni nel mondo, alla luce di quella realtà misteriosa e inquietante che ha risvegliato, proprio negli organi che le esigenze della crescita avevano resi più familiari, i sensi più sordi e segreti del nostro essere.
La presenza corporea, da sempre abituata ad anticipare il proprio oggetto, quando è percorsa dal desiderio erotico non sa più cosa cerca e tanto meno ciò che l'attende. L'indeterminazione del desiderio, la sua incapacità di sapere con precisione ciò che lo soddisfa, il suo muoversi all'interno di un ambito vago e confuso, fa sì che l'incontro con l'oggetto desiderato sia sempre accompagnato da una sorta di stupore. Infatti, anche se il desiderio desidera un corpo, lo desidera sempre sullo sfondo di una presenza torbida, intima, seducente o affascinante, senza di cui lo stesso corpo cessa di essere oggetto di desiderio.
Nella possibilità del crearsi o del non crearsi di questa presenza, che un gesto maldestro è sufficiente a distruggere, si nasconde lo stupore, la tensione, il turbamento. L'acqua è torbida perché una presenza impercettibile che fa tutt'uno con essa le toglie la sua naturale trasparenza; allo stesso modo il desiderio erotico è torbido perché, a differenza della simpatia, dell'amicizia e persino di un certo genere d'amore, non trascende la corporeità dell'esistenza, ma si arresta al suo spessore carnale. Per il desiderio, infatti, l'altro diventa corpo e nient'altro che corpo, la dimensione carnale della sua presenza non è 'trasparente', ma offre quell'opacità, quel peso, quella superficie, quella passività che si concede non a una mia azione determinata, ma a una mia confusa e indistinta passione.
Scrive J.-P. Sartre che nella passione, in questa vertigine che consiste nel sentirsi passivamente al mondo, "La coscienza [...] si abbandona al corpo, vuole essere il corpo e solo il corpo, per appropriarsi del corpo d'altri" (L'être et le néant, 1943; trad. it. 1965, p. 475-76). È un'appropriazione che si realizza spogliando "il corpo dei suoi movimenti come di vestiti, [in modo da] farlo esistere come pura carne; è un tentativo di incarnazione del corpo dell'altro" (p. 476). In questa sequenza sartriana che dalla coscienza, attraverso il corpo, conduce alla carne, assistiamo, mascherata dalla suggestione delle immagini, al permanere della 'lacerazione cartesiana' che, dopo aver diviso l'uomo in anima e corpo, pensa di poterlo ricomporre con la semplice riduzione del corpo a mero strumento di un'intenzionalità che lo trascende. Ora l'esperienza erotica mi rivela non come una coscienza che può usare il suo corpo per esprimere qualcosa, ma come un corpo che, in preda al desiderio erotico, tende a un altro corpo.
La spessore carnale che va assumendo l'esistenza quando è catturata dal desiderio erotico non è lo scopo di una subdola intenzionalità che, come scrive Sartre, vuol "appropriarsi della carne dell'altro", ma è la semplice espressione del desiderio. Io non mi servo del mio corpo per mimare un mio desiderio, ma semplicemente io sono un corpo e di conseguenza mi esprimo nel desiderio. Qui la situazione erotica non rivela una mia intenzionalità precisa anche se nascosta, ma un indistinto senso di cattura. Per questo il desiderio è passione e la passione introduce all'abbandono.
Erotismo e autoerotismo
Il discorso di Sartre sull'incontro sessuale va bene se mai per l'autoerotismo, dove io non mi abbandono, non coincido con il mio corpo, ma agisco su di lui per risolverlo in carne. Come nel dolore, infatti, così nell'autoerotismo si assiste a un rattrappirsi dell'esistenza che si ritira dal mondo per raccogliersi nel mio corpo che diventa il surrogato del mondo, abitato non più da cose e da persone, ma da pulsioni e fantasie. Privata del mondo reale dove vivono gli altri corpi cui potersi riferire, la pulsione diventa, come il male fisico, un corpo estraneo a cui io posso rapportarmi dando in pasto il mio corpo per liberarmene.
Se poi non è una liberazione, ma la soddisfazione di un'esistenza che, compiacendosi dell'autosufficienza del suo corpo, accetta d'arrestarsi, di tenersi lontano dal mondo, per dimorare nell'ascolto delle vibrazioni della propria carne, allora, come nell'esperienza del dolore, anche qui ci troviamo di fronte a uno dei casi limite in cui l'esistenza subisce uno scacco, perché il piacere è ottenuto con il sacrificio della pienezza dell'esperienza, di un arresto di fronte al mondo, di una fuga deliberata. La tristezza che conclude ogni episodio autoerotico dice che l'ipercoscienza del proprio corpo, rintracciabile in ogni comportamento manierato, non la si guadagna se non con la perdita preliminare della propria originaria apertura al mondo.
A differenza dell'autoerotismo, l'e. che approda alla relazione sessuale non fa conoscere un piacere, ma il piacere, che riempie a tal punto l'esistenza da giustificare una lunga attesa di seduzione e di conquista. Per breve che sia, quest'istante non è un punto nel tempo, ma è una sorgente, una creazione del tempo. L'esistenza, che prima si contraeva nella soddisfazione della propria pulsione, ora integra la pulsione all'atto che la costituisce come co-esistenza, come incontro, dove protagonisti non sono gli istinti, le forze, le pulsioni, ma i gesti.
Il gesto erotico
Il gesto del desiderio è la carezza che non è il semplice contatto di due epidermidi, ma la parola carnale della dimensione erotica, ciò a cui il desiderio affida la propria intenzione come il pensiero al linguaggio. Accarezzando l'altro con la mano, con lo sguardo realizzo un contatto che non è giustapposizione di due realtà che dimorano chiuse in sé stesse. La mano che avanza verso il corpo dell'altro non incontra un oggetto che non modifica la situazione, come quando accarezza il velluto di una poltrona o la testa di un cane, perché nella carezza sessuale la mano che prende si scopre a sua volta presa.
Nasce da qui l'imprevedibilità di ogni gesto erotico, la sua ineliminabile ambivalenza, perché l'intenzione che io affido alla mia mano, nel momento in cui è ripresa dalla mano dell'altro, sfugge a tal punto al mio controllo che ogni carezza diventa un enigma sia per chi la dà, sia per chi la riceve. Il senso che abita la mano è sempre compromesso dal senso che scaturisce dall'altro, un senso che cambia continuamente man mano che l'incontro si stabilisce e si dissolve.
Di qui l'assoluta novità di ogni incontro erotico, dove il senso continuamente oltrepassa l'intenzione originaria. È un oltrepassamento determinato dal fatto che non io, ma l'altro mi rivela il mio corpo, facendomelo sentire e vivere nelle profondità più sconosciute e inesplorate della carne. L'esperienza autoerotica non oltrepassa mai la superficie del proprio corpo e non conosce lo sconvolgimento che subisce l'esistenza quando è sfiorata dalla carezza dell'altro, da quella muta complicità che, nella carne, consente all'uno e all'altro di oltrepassare le frontiere della solitudine.
Ma il compimento del desiderio è anche la sua sconfitta. Più l'incontro si realizza, più la comunicazione è prossima, perché ormai ogni distanza è abolita e nessun intervallo più si frappone tra le due carni, ciascuno dei due si sente sradicato dall'incontro e rigettato dalla violenza del piacere nel suo corpo, nella sua solitudine. Per questo post coitum omne animal triste. Gettati fuori di sé, espropriati dell'incontro verso cui li aveva condotti la tensione erotica, i due si ritrovano faccia a faccia in una presenza 's-composta', eppure profondamente diversa da quella che aveva preceduto la loro 'composizione'.
L'erotismo e la differenza sessuale
Qui emerge in tutta la sua abissale differenza il modo maschile e femminile di riorganizzare l'esistenza. Quella maschile ripercorre sé stessa nel dominio del proprio corpo che l'incontro lascia immutato, quella femminile invece subisce una trasformazione più profonda perché più psichica e non solo genitale. Questa è una delle ragioni per cui neghiamo che la sessualità sia semplicemente un istinto, essa è un modo di essere-nel-mondo profondamente diverso per il maschile e per il femminile.
Proprio per averla considerata come un istinto che appartiene all'ordine della natura e non a quello della nostra storia, M. Heidegger, nella sua analitica esistenziale, non fa il minimo cenno alla dimensione erotica dell'esistenza. A lui basta che l'esistenza (Dasein) sia-nel-mondo (In-der-Welt-sein); che poi ci sia come uomo o come donna è del tutto irrilevante per la sua comprensione, come se la qualità del corpo non modificasse l'orientamento della presenza e non le conferisse una tonalità e un senso radicalmente differenti.
Se è vero, infatti, che nell'età infantile il bambino e la bambina non sono ancora attenti alle loro differenze sessuali, e non vivono il loro corpo e la loro relazione con il mondo in una maniera specifica e distinta, con la pubertà entrano nella sfera del maschile e del femminile che trasforma profondamente lo stile della loro esistenza. Qui non si tratta semplicemente di una maturazione di organi, ma di un diverso modo di essere-nel-mondo.
La differenza sessuale fa in modo che l'esperienza erotica diventi un'esperienza di carattere sociale. L'essere che la pubertà trasforma, esistendo come uomo o come donna, si esprime secondo l'immagine che il gruppo a cui appartiene si è fatto dell'uomo e della donna. Se è vero, come ci insegna Heidegger, che l'esistere (Dasein) è sempre un co-esistere (Mit-dasein), l'esser maschio o l'esser femmina, in una parola la differenza corporea, incide così profondamente nella modalità dell'esistenza e della co-esistenza da divenire un destino, perché non è soltanto l'organismo a essere sessuato, ma l'intera esistenza, la sua forma, il suo stile.
Rispetto all'uomo, la donna, prima di conoscere il desiderio che la condurrà all'esperienza erotica, si scopre abitata dal ritmo ciclico della natura che, inserendosi nella successione ordinata dei suoi giorni, la modifica e la turba. Pur essendo, come l'uomo, il proprio corpo, la donna sente che questo le sfugge a vantaggio della specie che, installandosi con un ritmo ineluttabile, trasforma profondamente i rapporti della sua esistenza con il mondo. L'equilibrio diventa più precario, perché in sé la donna deve conciliare le proprie esigenze con le esigenze della specie, che si appropria a tal punto del suo corpo da farglielo apparire talvolta come cosa estranea.
Per questo la donna più dell'uomo dipende dal suo corpo e subisce la sessualità prima ancora di poterla vivere. Una sessualità sperimentata come una necessità naturale prima che come la possibilità di un incontro. Per questo il suo e. è più ambivalente, più ansioso, più incerto. Il concepimento e poi la maternità modificano irrimediabilmente il suo corpo e la forma della sua esistenza. Come scrive S. de Beauvoir: "Abitata da un altro che si nutre della sua sostanza, la femmina, durante tutto il tempo della gestazione, è contemporaneamente sé e diversa da sé" (Le deuxième sexe, 1949; trad. it. 1975, pp. 49-50). Il conflitto specie/individuo, che dal concepimento al parto prende spesso un aspetto drammatico, dà al corpo femminile una fragilità inquietante, l'inquietudine dell'individuo che si vede consumato dalla specie, e sempre nell'impossibilità di coincidere perfettamente con sé.
Se nel considerare l'esistenza umana ci si dimentica dello spessore della carne e della modalità maschile e femminile di sperimentarla, se si relega quest'ordine di problemi alla biologia o alla fisiologia misconoscendone la rilevanza esistenziale, risulta difficile comprendere la differenza tra l'uomo e l'animale, tra la pulsione che fin dal suo primo nascere è trasformata e investita di senso, e la pulsione che è puro meccanicismo per la conservazione della specie.
Fare di questa conservazione la scopo primario della dimensione erotica significa degradare l'uomo ad animale, e con la degradazione perdere quell'aspetto specifico dell'umano che è la ricerca di un senso e la comprensione dei fenomeni alla luce di quel senso. Per una corretta comprensione della dimensione erotica, allora, non si dovrà partire dalla biologia e poi procedere con analisi comparate, ma si dovrà inseguire il desiderio erotico, onde scoprire il senso che ha per l'esistenza, e che cosa l'esistenza cerca attraverso di lui.
Erotismo e trascendenza
Ai confini tra il corporeo e l'incorporeo, l'e. abita la reciprocità dello sguardo, del sorriso, della voce, del gesto, del movimento. Un sorriso che non è contrazione ma offerta, uno sguardo che apre insicuro la strada del desiderio in cui si riflette l'unicità dell'evento, una voce malcerta in cui è presente tutta l'immediatezza sensibile, l'incarnazione della parola, un gesto in cui la grazia che è ritmo della bellezza chiama tenerezza, mentre un movimento che accenna una timida disposizione di danza allude a un'impercettibile gioia nascosta.
Il corpo desiderato articola il desiderio in promessa, dischiudendo quella nudità che è polifonia di linguaggi, incessante passaggio dal linguaggio della visione a quello del tatto, dall'ebbrezza della chiamata all'estasi della partecipazione. Qui la semantica della luce si confonde con quella della grazia, perché è una nudità che nasce senza decisione, come la luce nello sguardo innamorato. È la rinuncia alla vergogna come ultima autodifesa, oblio della misura, perfetto disarmo della consegna di sé.
Qui l'invito alla vita, proprio di ogni chiamata erotica, può contrarsi nella smorfia beffarda della morte, sottesa a ogni sete frammentaria di piacere, senza finalità e senza trascendenza. C'è infatti uno spaccato di trascendenza e di ulteriorità irraggiunta in ogni compiuto atto d'amore, febbre del corpo nel suo cieco e tumultuoso bisogno di reciprocità, sete del viandante nella solitudine ardente del deserto.
Lasciato al solo piacere sessuale, infatti, l'e. perpetua la natura non gli individui, puro autoerotismo della natura, se un raggio di trascendenza non ne ferisce la tenebra, lasciando giungere quella chiamata che risveglia la carne dalla sua opacità e la costringe a cedere quella scintilla divina in cui è custodito il nostro nome, che solo l'altro può chiamare: "Vieni mio diletto, usciamo alla campagna, pernottiamo nei villaggi: di buon mattino andremo nei vigneti, vedremo se gemma la vite, se sbocciano i fiori, se fioriscono i melograni: là ti darò i miei amori" (Cantico dei cantici, 17, 11-13).
Se si smarriscono le tracce della trascendenza, l'esistenza si autonega, ricade su di sé, cosa tra le cose, senza rinvio, senza ulteriorità. Ma chi può aprire la via alla trascendenza se non la dimensione erotica? E come può farlo se non proprio là dove il suo eccesso espressivo cerca un'eccedenza, un'ulteriorità di senso al di là di ogni nostra collaudata misura? Ma soprattutto cosa resta di tangibile nell'e. che vuole la trascendenza e si lascia trafiggere dalle sue folgorazioni? Resta la ricerca di un'ulteriorità di senso da una parte e l'evocazione dei corpi dall'altra, perché in questa tensione possano vibrare, non vincolate, tutte le metafore dell'amore.