TEGNÉR, Esaias
Poeta svedese, nato a Kyrkerud nel Värmland il 13 novembre 1782, morto a Östrabo presso Växjö il 2 novembre 1846. Rappresentò fra i romantici la tendenza umanistica; e per l'alta e chiara spiritualità e per la nobiltà dello stile è considerato in Svezia come "il poeta classico" della nazione. Romantico era, in realtà, anch'egli, come temperamento: sensitivo, ricco di immaginazione e di slanci ideali, ma facile anche all'eccitamento delle passioni. E come un romantico "cavaliere dell'ideale" apparve spesso nella sua vita, in lotta contro il proprio tempo: cantore di Napoleone e eloquente interprete del tradizionale odio svedese contro l'ereditario nemico russo, mentre Carlo Giovanni Bernadotte si alleava con la Prussia contro Napoleone, cantore della "fraternità di sangue di storia e di spirito" che legava la Norvegia alla Svezia, mentre la Svezia con la pace di Kiel ne conseguiva più o meno larvatamente il dominio; cantore della libertà mentre incombeva sul paese la politica della reazione e avversario del liberalismo quando questo, trionfante, pareva minacciar di scardinare le forze della tradizione; esaltatore dei valori nazionali mentre lo spirito cosmopolitico del Settecento persisteva ancora nella maggior parte delle coscienze, e proclamatore di universali valori umani quando le tendenze nazionali, vittoriose, minacciavano di restringere entro una cerchia chiusa gli orizzonti; apostolo di religiosità di fronte alle ideologie intellettuali del razionalismo e, al tempo stesso, nemico di ogni fantasiosa mistica simbolica non meno che di ogni teologico dogmatismo intellettuale. Lottatore appassionato, ma franco e cavalleresco, si trovò, finché visse, in mezzo alla mischia, con una posizione sua propria, personale. Docente di estetica all'università di Lund nel 1802; professore ordinario di filologia greca presso la stessa università nel 1812; vescovo di Växiö nel 1824; membro del Comitato centrale per l'educazione nel 1825; membro - replicate volte - del parlamento fra il 1828 e il 1840; grande oratore che non ebbe uguali nel suo tempo, restò in ogni campo della sua attività (anche nei problemi di pensiero o di vita pratica, nella religione, nella filosofia, nella politica, nella scuola) essenzialmente un poeta.
E ugualmente "parte per sé stesso" fece anche nella poesia. Sebbene fosse, per natura, sensibile allo spirito dei nuovi tempi, non rinnegò mai il gusto per la grazia e per la purità delle forme, che aveva appreso dal Settecento e tenuto a norma delle sue prime composizioni liriche nella giovinezza difficile e triste (Vid tidningen om Bonapartes död, 1799; Öfver livets plågor och tröst, 1801; Ynglingens sötsang eller livet och döden, 1803; Den vise, 1803, ecc.). Pur mostrandosi presto aperto alla nuova concezione idealistica della vita (Kulturen, 1805, Livet, 1805; Ebden, 1805; Långfredagen, 1805, ecc.), non seguì gli altri romantici negli entusiasmi per il misticismo estetico di Schelling; anzi verso il lirismo mistico musicale dei "Fosforisti", assunse un atteggiamento scettico, che si accentuò sempre più fino a divenire verso il 1815 aperta ostilità; e, se si accostò invece al gruppo dei "Gotici" e per oltre un decennio, dal 1812 in poi, pubblicò sulla rivista Iduna quasi ininterrottamente le sue nuove poesie, conservò sempre netta la consapevolezza del suo interno distacco (v. le sue idee estetiche nell'Epilog vid magisterpromotionen, 1820). Per quanto "tendesse alla sua lira corde d'acciaio" e s'esaltasse nel sentimento di forza che ugualmente si sprigiona dalla "virile volontà morale" di Kant, dalla "filosofia dell'azione" di Fichte o dalla poesia eroica della saga antica, il naturale senso di equilibrio implicito nella sua spirituale "humanitas" richiedeva che alla forza si congiungessero chiarezza e armonia. Al di là del romantico inno alla notte egli si sollevò così all'alata poesia dei suoi romantici inni alla luce (Skaldens morgonpsaln, 1813; Sång till solen, 1813; Sången, 1819), nella quale la notte stessa si riempie di tersi splendori di luce stellare (Stjernsången). E nel platonico pathos di tale ispirazione, l'idealistico umanismo di Schiller - più di ogni altra poesia di quel tempo - divenne la grande esperienza formatrice della sua arte. Scorse anch'egli nell'idealità dell'arte classica una forza capace di conciliare in sé in armonico accordo i contrastanti spiriti della nuova vita (v. Romresan, 1813; Skaldebrev, 1815, ecc.). E - sia che, ispirandosi alla realtà storica del momento, parlasse alla propria nazione come vate che riassume nella sua paiola l'anima dell'intero popolo (v. Svea, 1811, premiata dall'Accademia, poi modificata su suggerimento dell'Accademia in nuova redazione, 1812; Nyåret, 1813; Nore, 1814, per l'annessione della Norvegia; Den vaknande örnen, 1815, per la fuga di Napoleone dall'isola d'Elba; Nyåret, 1816; Karl XII, 1818, ecc.); sia che, al disopra di ogni circostanza contingente, elevasse l'anima alla contemplazione delle verità eterne (v. Det eviga, 1810, Prestvigningen, per la sua consacrazione sacerdotale, 1812; Elof Tegnér, per la morte del fratello, 1815; Epilog till magisterpromotionen, 1820; oltre le numerose odi e i bellissimi "canti alla luce", cit.; ecc.) - forma prediletta di poesia divenne per lui, come per Schiller, la lirica di pensiero, nella quale uno slancio ideale del suo spirito si espresse con elevata eloquenza di stile o con limpida placata purità di forma. Rinnovare sotto nordico cielo il miracolo dell'"antica classica armonia" gli divenne supremo sogno e aperta piofessione di fede (v. Majsång, 1812; Skidbladner, 1813; Flyttfåglarna, 1813, ecc.). E se ne ispirò anche quando si volse a rievocare immagini dell'antica nordica poesia e mitologia (Fragment ur Blotsven, 1812; Asatiden, 1813; Jätten, 1813; Vintern, 1820, ecc.). Così nacque, fra il 1820 e il 1824 - fra la composizione di uno squisito idillio in esametri, Nattvardsbarnen (1820), predica di un vecchio pastore ai bimbi della prima comunione, e l'elaborazione di un poemetto storico-romantico Axel (1822) su motivo leggendario dell'epoca di Carlo XII - l'opera che, al di là dei confini della Svezia, doveva dar risonanza al suo nome in tutta Europa: la Frithiofs saga (ed. 1825).
La materia della saga - la vicenda di Frithiof e di Ingeborg, il loro contrastato amore; le loro nozze - non è propriamente eroico-nordica, ma medievale cavalleresca. Tuttavia già nella redazione dei Kämpa dater di Biörner, che costituì la diretta fonte di T., il racconto appare fortemente colorito di costumi e usanze e sentimenti del Medioevo scandinavo. D'altra parte l'esempio del poema di Oehlenschläger su re Helge, che T. ebbe a modello, la struttura della composizione nella quale la continuità del raeconto è spezzata in un libero succedersi di situazioni episodiche; l'abbondanza di effusioni liriche; l'indugio sensitivo nell'analisi dei sentimenti d'amore; il gusto per il pittoresco nelle descrizioni della natura e nelle visioni della fantasia sono tutti elementi d'intonazione moderna, romantica, che continuamente si vengono a inserire fra i richiami evidenti alla classica epicità dell'Iliade e dell'Odissea. E, in realtà, soltanto nell'aspirazione verso un ideale antico di "humanitas" e di poesia poterono forze così opposte convergere e fondersi insieme. L'interna purità dell'anima apparve come il solo mondo sereno, nel quale le agitazioni del cuore e le tempeste della vita si placano. E una "quieta luce di bellezza" - antica a un tempo e moderna - si posò sopra la poesia, determinandone l'unità di stile. Talune parti del poema mostrano ora i segni del tempo; ma l'insieme è ancora vitale; e in singoli canti, come Balders bål, la creazione è potente e senza residui, perfetta.
Gli anni della composizione della Frithiofs saga segnarono non soltanto nell'opera, ma anche nella vita di T. un momento decisivo. Per quindici anni egli era vissuto di studî e di poesia serenamente accanto alla moglie Anna Myhrman. Giunto alla pienezza di espansione del suo genio, mentre l'equilibrio delle sue forze fisiche si spezzava, fu come se un bisogno nuovo di vita gli fosse germogliato nel cuore. E le passioni si susseguirono alle passioni: prima per Martina Torngren, poi per Euphrosyne Palm: infine una relazione con la ventenne Emile Selldén-Ulfax, durata cinque anni, si conchiuse nel 1836 con una definitiva rottura. Torturato da sofferenze di cui i medici non scoprivano la causa, afflitto dalle molteplici occupazioni pratiche inerenti alle sue funzioni episcopali, T. trascorse così, senza pace, l'ultima parte dell'esistenza.
E qualche riflesso di questo mutato clima spirituale si avverte naturalmente anche nella sua poesia (v., ad esempio, la tristezza cupa, tetra di Mjältsjukan, 1826). Ma la poesia rappresentava per lui un mondo più alto, libero dalle ombre pesanti della realtà. E anche in questo periodo - sia che ritentasse il poema come in Helgonabacken (con la stupenda romanza Jätten Finn; forse 1825) o l'idillio come in Kronbruden (1840), scena nuziale nello Småland; sia che dalle varie vieende dei nuovi tempi traesse lo spunto per l'ammonimento severo (v. Georg Adelsparres skugga till svenska folket, 1839; Till svenska riddarhuset, 1840, ecc.) o alla meditazione pensosa dei destini della patria (Skaldebrev, alla maestà del re, 1841); fino agli ultimi frammenti dell'incompiuto poema Gerda (1822, 1840, 1842) - la tonalità del suo canto restò sempre la medesima, elevata, chiara, pervasa d'una fede ideale. Solo talvolta la parola gli si fece più semplice, disadorna, in un tono inerme di anima che confessa la sua "più segreta, sofferta verità" - come in alcune poesie d'amore, fra cui Den döde (1834); e nella lirica Afsked, commosso canto di congedo dalla poesia che fu "vita della sua vita " (1842). Ma il suo stile ne trasse soltanto una delicatezza nuova di accenti. Anzi il mondo della poesia, per la consapevolezza del suo contrasto con la realtà, parve diventargli ancora più conciliativamente "umano". Tanto che - comunque egli volgesse il pensiero a un altro poeta, anche rivale - egli ora gli si sentì fraterno. Nel mirabile sång per il centenario dell'Accademia (1836), nel quale egli evocò, con squisita delicatezza di tocco, le figure dei maggiori poeti svedesi dell'età gustaviana, il mondo della poesia appare come un Olimpo in cui "c'è sempre sole". E, al disopra di ogni oscuro e complicato travaglio della quotidiana esistenza, come una figura di poeta nell'anima del quale "c'è sempre sole", egli stesso ha continuato - e continua - a vivere nel cuore del suo popolo.
Opere: Samlade skrifter, voll. 7, Stoccolma 1847-51, Efterämnade skrifter, voll. 3, ivi 1873-74. Fra le ediz. successive v. Samlade skrifter, edizione per le feste del centenario della nascita del poeta, volumi 7, ivi 1882-85. Ma ora v. Samlade skrifter, edizione critica in ordine cronologico, voll. 10, ivi 1918-z5: contiene anche le lettere, talune bellissime: ne sono rimaste escluse essenzialmente soltanto le Filosofiska och estetiska skrifter, ivi 1913.
Bibl.: E. G. Geijer, Minnestal över E. T., in Samlade skrifter, VII; G. Brandes, E. T., in Samlade skrifter, III; N. Erdmann, E. T., Stoccolma 1896; F. Böök, E. T., I (fino al 1814), ivi 1915. Su singoli momenti o problemi della vita, v. E. Wrangel, T. s kärlekssaga, ivi 1916; id., Brinkman och T., ivi 1906; id., Den blåögda, ivi 1908; id., Martira von Schwerin, ivi 1912; S. Lederblad, Utbrottet et T.s sinnesjukdom, in Samlaren, 1928. Sui singoli aspetti della sua opera, v. N. Söderblom, T. och religionen, in Ord och Bild, 1911; M. Lamm, Försoningstanken i T.s Frithjofsaga, in Samlaren, 1916; A. M. Sturtevant, Romant. elements in T.s religions philos., in Scandin. Studies, 1919; L. Fried, T.s Nattvardsbarnen, in Edda, 1925; O. Levertin, Saggi su T., in Samlade skrifter, IX e X; A. Nelsson, T.s filos. och estetiska studier, in ediz. cit.; F. Böök, studi vari in Essager och Kritiker, Stoccolma 1919-20; in Edda, VII (1917); e in Svenska studier i Litteraturvetenskap, ivi 1913. E cfr. le caratteristiche di T., in Schück, in Svensk Litteraturhist., V, e A. Nilsson, in Svensk romantik, ivi 1916.