BUONDELMONTI, Esaù
Appartenente ad antica e influente famiglia del contado fiorentino inurbatasi dopo la distruzione dell'avito castello di Montebuoni avvenuta per ordine delle autorità comunali nel 1135, quintogenito di Manente di Gherardo e di Lapa Acciaiuoli, il B. nacque in Firenze non sappiamo esattamente in quale anno, ma in ogni caso tra il 1345 ed il 1350.
Di parte tradizionalmente guelfa, la consorteria dei Buondelmonti giocò, sin dalla metà del sec. XII, un ruolo di primo piano sulla scena politica fiorentina, e fu la diretta antagonista delle potenti consorterie degli Amidei e degli Uberti, di parte ghibellina. L'appartenenza alla medesima fazione politica ed una crescente convergenza di interessi privati portarono a un progressivo avvicinamento dei Buondelmonti ad un'altra potente famiglia fiorentina, gli Acciaiuoli, avvicinamento che fu consacrato dalle nozze del padre del B., Manente, con Lapa Acciaiuoli.
Nel 1356 i genitori del B. si trasferirono nel Regno di Napoli, bene accolti dai sovrani angioini, che si valsero largamente di Manente nella loro opera di pacificazione del paese. Abili uomini d'affari, imparentati con uno dei più ricchi e potenti signori del Regno (un fratello di Lapa, Niccolò Acciaiuoli, barone di Calamata e conte di Melfi, ricopriva allora la carica di gran siniscalco del Regno), influenti a Corte - il padre del B. fu successivamente governatore della Basilicata e dell'Abruzzo, e infine gran ciambellano -, i Buondelmonti non tardarono molto ad essere accolti nella cerchia dell'alta aristocrazia napoletana.
Suggestioni eroiche subite nell'ambiente aulico e cavalleresco della corte partenopea, ma soprattutto l'esempio affascinante di congiunti più anziani di lui dediti al mestiere delle armi, esercitarono un influsso determinante nella prima formazione spirituale e nella successiva, avventurosa carriera del Buondelmonti. Di importanza decisiva fu per il giovane la stima da lui nutrita nei confronti dei due suoi cugini, Angelo e Neri Acciaiuoli; ma specialmente per quest'ultimo. Per Neri, infatti, il B. ebbe una vera e propria venerazione. Tuttavia, il trasferimento del B. in Grecia, nell'Epiro, fu determinato in primo luogo dal matrimonio della sua sorella maggiore, Maddalena, con il conte Leonardo I di Cefalonia, un discendente della nobile famiglia dei Tocco, originaria da Benevento. Vedremo anzi il B. legarsi più tardi in affettuosa amicizia col nipote Carlo I Tocco, nato da questo matrimonio.
Quando Neri Acciaiuoli partì per il Peloponneso, deciso ad ampliare i domini ivi concessigli dalla principessa titolare di Acaia, Maria di Bourbon (1371), il B. volle accompagnarlo, e, al suo seguito, maturò le prime esperienze militari. Nella guerriglia che, da Corinto consegnatagli in pegno dal fratello Angelo, Neri Acciaiuoli condusse contro la Compagnia catalana, i Turchi, e le bande irregolari, il B. si fece ripetutamente notare per la sua bravura di soldato e di comandante: come quando i Catalani riuscirono a penetrare nella stessa Corinto, assediando l'Acciaiuoli nella sua roccaforte. Sempre al seguito del suo cugino e modello Neri Acciaiuoli, il B. intervenne anche al congresso che il papa Gregorio XI aveva convocato a Tebe per il 1º ott. 1373, allo scopo di costituire una lega antiturca. A Tebe il B. ebbe modo di incontrarsi col cognato Leonardo I Tocco (dal 1362 anche duca di Leucade), che lo invitò a stabilirsi presso la sua corte, a Cefalonia. Leonardo I, il quale stava assistendo con allarme crescente al progressivo deterioramento della situazione politica interna dell'Epiro - regione confinante con i suoi domini -, era infatti del parere che il giovane guerriero fiorentino gli sarebbe stato di valido aiuto nell'eventualità di una crisi che avesse coinvolto anche la sua contea. Ciononostante il B. ancora nel 1374, come luogotenente del cugino, prese parte alla spedizione compiuta da Neri Acciaiuoli nel tentativo di sottrarre ai Catalani la fortezza chiave di Mégara, e si mise nuovamente in luce nel corso degli accaniti scontri combattuti sotto la fortezza, che si difese ostinatamente. Come risulta dal suo epistolario, ad ogni modo, il B. trascorse gli anni successivi in Italia, ove rimase sino al 1381.
Quando, agli inizi del 1381, Leonardo I morì improvvisamente a Cefalonia lasciando tre figlie e due figli ancora minorenni, Maddalena Buondelmonti, che era stata riconosciuta reggente di Cefalonia e di Leucade, volle presso di sé il fratello nominandolo tutore dei figli e proprio consigliere personale. Nel maggio di quel medesimo anno il B. giunse a Cefalonia, affiatandosi immediatamente con uno dei suoi nipoti, Carlo I Tocco, che si rivelò di carattere assai simile al suo.
Il primo avversario che dovette affrontare fu la nuova Compagnia navarrese, che tentava di espandersi nel Peloponneso: se non poté impedire l'occupazione dei possedimenti degli Acciaiuoli in Acaia, il B. riuscì tuttavia a ottenere sicurezza per Cefalonia e Leucade, la signoria della sorella. Quindi rivolse la sua attenzione soprattutto all'Epiro, che era quasi integralmente soggetto alla famiglia serba dei Preljubović. Qui, appunto, Tommaso Preljubović, signore di Giannina sin dal 1367, era malvisto sia dalla moglie Maria Angelina sia dai suoi sudditi, per il carattere tirannico e per la sua pessima condotta. Nel 1385, finalmente, i maltrattati sudditi si sollevarono contro il tiranno e lo uccisero. Approfittando di questi disordini, il B., d'accordo col nipote Carlo I, si impadronì del paese, e sposò la vedova di Tommaso Preljubović, Maria Angelina. Del resto, il paese si sottomise volentieri al B. e ai Tocco, pur di non essere invaso dagli Albanesi.
Anche se non è da escludere che il B., nel corso di precedenti visite alla corte del Preljubović, abbia stretto relazioni più intime con la moglie di questo, Maria Angelina, si devono considerare favole sia la notizia della congiura ordita dagli amanti contro il Preljubović, sia la notizia dell'avvelenamento del signorotto serbo ad opera del B. su istigazione di Maria Angelina, perché la tradizione relativa è resa sospetta da numerosi anacronismi e da topoi accertati.Il B., ormai reggente a Giannina come marito di Maria Angelina, e signore dell'Epiro, tentò più volte di estendere i suoi domini verso Nord, a spese dei signori feudali albanesi, ma senza successo. D'altra parte, il B. si vide esposto all'ostilità, di suo cognato, il signore albanese di Angelocastro, Gino Spata, il quale, come marito di una sorella di Tommaso Preljubović, era cognato di Maria Angelina, e, comunque, di carattere aggressivo, era riuscito persino a sottrarre agli Angiò di Napoli Lepanto, sicché regnava su di un territorio che, comprendendo la dote territoriale della moglie, era rappresentato solo parzialmente nel suo titolo di "Signore di Arta e di Lepanto". Per anni l'inimicizia fra il B. e lo Spata si tradusse in semplici azioni di guerriglia tra le rispettive truppe d'assalto, perché Gino Spata non osò mai attaccare la stessa Giannina. Nel 1395 Gino Spata vide la possibilità di sistemare pacificamente le cose. In quell'anno Maria Angelina morì, senza lasciare figli al marito (ella doveva aver avuto dal Preljubović una figlia, della quale non sappiamo però praticamente nulla). Con l'intenzione di trasferire un giorno per vie pacifiche alla sua famiglia il territorio allora governato dal B., Gino Spata offrì in moglie al vedovo la propria figlia primogenita, Irene. Nella speranza di guadagnarsi con questa unione un prezioso alleato contro gli altri signori feudali albanesi e contro i suoi restanti avversari, il B. accettò l'offerta, e sposò Irene nel 1396. Il matrimonio, e le possibili conseguenze per la successione che esso comportava, provocarono il risentimento della figlia secondogenita dello Spata (di essa non ci è stato tramandato il nome), la quale era sposata, dal 1382, col feudatario albanese GinoZenevesi, signore di Argirocastro, Makasi e Strovilo. Il timore che il B. potesse divenire, alla morte di Gino Spata, il signore di Arta e di Lepanto, come pure la gelosia della secondogenita dello Spata nei confronti di Irene, più felice nel suo matrimonio (il B. surclassava chiaramente, per la sua cultura superiore e per la sua eleganza, il rustico Gino Zenevesi; la moglie dello Zenevesi, inoltre, riteneva di esser trattata con sufficienza dalla sorella e dal cognato), crearono un clima costante di tensione, che finì con l'esplodere nel 1399 in lotta aperta. Alla testa delle sue truppe il B. marciò su Argirocastro, ma Gino Zenevesi, molto più abile e capace nell'arte della guerra, contromanovrò in seguito con un'abile imboscata nella valle settentrionale della Drina. Lo Zenevesi riuscì, anche se dopo accanita lotta, a far prigioniero il B. e ad occupare Giannina. I parenti del B. fecero il possibile perché il loro congiunto fosse al più presto rimesso in libertà. Si cercò di ottenere un intervento di Venezia, insediatasi a Corfù nel 1396, e si poté persino indurre il governo fiorentino a presentare per le vie ufficiali a Gino Spata, suocero dei due contendenti, un'istanza per la risoluzione della vertenza. Anche la sorella maggiore del B., Maddalena, e l'antico compagno d'armi e suo nipote prediletto, Carlo I Tocco, si adoperarono presso il bailo veneziano di Corfù, facendo opera di persuasione, ed ottennero effettivamente che Gino Zenevesi mettesse in libertà il suo prigioniero di guerra e cognato, contro il pagamento di 10.000 ducati d'oro, somma allora considerevole. Dalla prigionia di Argirocastro, attraverso Corfù, Leucade, e Arta (dove fu cordialmente ricevuto dal suocero Gino Spata), il B. se ne tornò a Giannina, fatta sgomberare dallo Zenevesi, ritirandosi nella sua residenza, presso sua moglie Irene.
Poiché neppure Irene gli aveva dato eredi, il B. decise di lasciare erede della signoria di Giannina il nipote Carlo I Tocco, che era allora in procinto di estendere autonomamente il suo dominio. Non è nota la data esatta della morte del B.; ma poiché è attestato che nel 1403 Carlo I gli successe nel governo di Giannina, si deve ritenere certo che il B. morì in quell'anno, non ancora sessantenne.
Come per molti personaggi della sua epoca, anche la figura del B. non appare ben chiara a causa della contraddittorietà delle notizie fornite dalle fonti. La sua relazione con Maria Angelina, l'avvelenamento del Preljubović, e l'accecamento del figlio di questo, assetato di vendetta, ad opera di Carlo I (ma dell'esistenza di un figlio del Preljubović e di Maria Angelina non vi è alcuna menzione nelle fonti), sono oggi considerate leggende o, come minimo, notizie estremamente dubbie, perché le fonti che vi accennano risultano mendaci anche su altri punti. Due amanti spagnoli attribuiti alla "insaziabile Maria Angelina", ad esempio, si sono rivelati, ad una più attenta analisi, null'altro che delle costruzioni anagrammatiche tratte dal nome del Buondelmonti. Nella vita del B. scarso rilievo ebbero i suoi fratelli. La più giovane delle sue sorelle, Giovanna, divenne contessa di Catanzaro e marchesa di Cotrone grazie al suo matrimonio con Antonello Ruffo di Calabria. Nulla sappiamo dell'altra sorella più grande del B., Ghilla. Personalmente e politicamente a lui più vicina fu la sorella maggiore, Maddalena.
A causa dell'incertezza in cui sono avvolte le vicende della sua vita per la contraddittorietà delle notizie fornite dalle fonti, è difficile dare un giudizio sulla personalità del Buondelmonti. Egli rappresenta senza dubbio quel tipo di avventuriero - non raro nell'Italia tardomedioevale - nel quale coesistevano, accanto a ottime qualità, elementi del tutto negativi. Fu moderato, tuttavia, così nelle virtù come nei vizi. Sin dall'adolescenza amò il maneggio delle armi, e fu piuttosto fantastico nei suoi progetti politici, a differenza del fratello Francesco, il quale aveva ereditato dal padre Manente - in misura certo assai maggiore che il B. - indubbie doti di finanziere e di uomo politico. Il B. dovette senza dubbio ereditare, per parte di madre, dagli Acciaiuoli il carattere bellicoso; agli Acciaiuoli, del resto, il B. fu sempre legato, tanto che curò almeno una parte dei loro beni in Grecia. Sentì molto i legami di sangue con i figli della sorella Maddalena. È certo, comunque, che aspirò al potere politico mosso non solo da aspirazioni economiche, ma anche da ambizioni sociali.
Bibl.: G. Piranesi, Un fiorentino in Levante, Firenze 1917; C. Ugurgieri della Berardenga, Avventurieri alla conquista di feudi e di corone (1356-1459), Firenze 1963, che fornisce un indice critico delle fonti e della letteratura relativa al Buondelmonti.