esclamazione
Figura retorica consistente nell'espressione concitata di un sentimento, generalmente di dolore, di timore, di gioia, di stupore, d'indignazione, di desiderio, secondo la definizione di Quintiliano (IX II 26). Essa può assumere talvolta la forma interrogativa: nella Poetria nova di Goffredo di Vinsauf gli esempi di e. sono appunto delle interrogazioni retoriche (vv. 1105-1107). Ciò avviene nello stesso D., il quale per es. esprime il dolore per la lontananza della donna e il desiderio di vederla con ov'è 'l disio de li occhi miei? (Rime LXXXV 14); oppure il dispiacere e l'orrore per l'opera della morte con dimmi, che hai tu fatto, / cieco avaro disfatto? (CVI 75-76). Talora l'e. esprime in particolare un improperio o un'imprecazione (v.).
Assai rara nella prosa latina e volgare di D., l'e. compare ovviamente dove il trattato scientifico dà adito alla riflessione morale, come in VE I VII, in cui il ricordo della torre di Babele e il tema della corruzione umana suggeriscono una serie di esclamazioni: Dispudet, heu, nunc humani generis ignominiam renovare! (§ 1); o semper nostra natura prona peccatis, o ab initio et nunquam desinens nequitatrix! (§ 2); o sine mensura clementia coelestis imperii! (§ 5), e cfr. il medesimo modulo nella conclusione dell'invettiva di Pier Damiano contro la corruzione presente (O pazïenza che tanto sostieni!, Pd XXI 135). S'incontrano esclamazioni nelle più concitate fra le Epistole, dove il poeta biasima l'eresia e l'empietà (Piget, heu!, ecc., XI 4), e dove respinge sdegnosamente le proposte dei Fiorentini (Absit a viro phylosophiae domestico... Absit a viro praedicante iustitiam..., XII 6-7).
Frequente è l'e. nella lirica, dove predomina il tono accorato, come in Rime XLIX 9-10 (Deo, quanto fie poca addimoranza, / secondo il mio parvente!; l'e. si fonde qui con l'apostrofe), e dovunque ritornino le formule tipiche della poesia amorosa: Lasso!, all'inizio di un sonetto (Vn XXXIX 4 1), Merzede! (Rime LXXX 10). Ma anche il tema mistico e contemplativo si risolve spesso nell'e.: cfr. Vn XXIII 28 83 Beato, anima bella, chi te vede!.
Nella Commedia è ben più larga la gamma delle esclamazioni, che corrisponde alla varietà delle situazioni. Accanto a tipiche esclamazioni di gioia come Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! (Pd XXVII 7), si registrano le espressioni di lieto stupore che il poeta attribuisce alle anime (cfr. Qual maraviglia!, If XV 24), o che egli stesso pronuncia al ricordo del piacere provato (Giudice Nin genti; quanto mi piacque, ecc., Pg VIII 52). Una tipica espressione di dolore è segnata nell'aspetto dei superbi (Più non posso, Pg X 139), cui si può aggiungere la più comune di If XXVII 84 (ahi miser lasso!). In If XXVIII 132, invece, l'e. di dolore di Bertramo, che riflette sulla sua pena eccezionale, si sviluppa in un'ipotiposi (v.), e in Pg VI 76 (Ahi serva Italia) la dolorosa considerazione si risolve in un'apostrofe. Il disappunto e l'impazienza di Libicocco sono espressi in un'e. di sapore comico (troppo avem sofferto, If XXII70).
Più frequenti sono le esclamazioni di stupore, con le quali il poeta commenta le indicibili esperienze del suo viaggio: Ahimè, che piaghe vidi ne' lor membri, / ricenti e vecchie, da le fiamme incese! (If XVI 10-11); Ahi come facean lor levar le berze / a le prime percosse! (XVIII 37); Oh in etterno faticoso manto! (XXIII 67); o d'altro canto lamenta la limitatezza delle proprie capacità espressive: Ahi quanto a dir qual era è cosa dura...! (I 4), oh quanto è corto il dire e come fioco/ al mio concetto! (Pd XXXIII 121-122). Analogamente l'e. concorre talora a sottolineare la dignità di un'immagine, come a proposito della mitica figura di Giasone (Quanto aspetto reale ancor ritene!, If XVIII 85), o l'orrore di una vista (Ahi quant'elli era ne l'aspetto fero! / e quanto mi parea ne l'atto acerbo, / con l'ali aperte e sovra i piè leggero!, XXI 31-33). Spesso la minaccia, l'invettiva o la riflessione morale si condensano nella forma esclamativa, in cui si esprime l'indignazione del poeta, come in Pg XXII 46-48 (Quanti risurgeran coi crini scemi / per ignoranza...!), in Pd XI 1 ss. (O insensata cura de' mortali...!), in XXVII 59-60 (O buon principio, / a che vil fine convien che tu caschi!); talora in concomitanza con l'apostrofe: Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre...! (If XIX 115 ss.). Anche l'affetto può indirettamente esprimersi attraverso un'e. in cui prevalga l'apostrofe: O Mantoano; io son Sordello / de la tua terra! (Pg VI 74-75).
L'e. contribuisce talora, accanto all'apostrofe, a dare una particolare enfasi all'esempio (v.), come nella serie di esempi di superbia punita in Pg XII 37 ss. (O Nïobè, con che occhi dolenti...! / O Saùl, come in su la propria spada / quivi parevi morto...! / O folle Aragne, ecc.). In questi casi, però, l'e. riflette propriamente lo stupore del poeta di fronte all'evidenza delle immagini artisticamente scolpite.