Esecuzione della pena e impegni sovranazionali
Lungi dal concretizzare la risposta all’ultimatum della Corte europea dei diritti dell’uomo, il d.l. 1.7.2013, n. 78, conv. con mod. dalla l. 9.8.2013, n. 94, evidenzia forti resistenze culturali in materia penitenziaria, introducendo misure idonee a lenire solo in parte il sovraffollamento carcerario. Sul piano delle “misure preventive” poco è stato fatto. Nulla, addirittura, sul versante dei “rimedi” a tutela dei diritti delle persone in vinculis. La parziale abiura della l. 5.12.2005, n. 251 riflette tutte le contraddizioni di una classe politica poco preparata ad affrontare il grande tema della devianza e della punizione.
Dopo un tortuoso iter parlamentare, il d.l. 1.7.2013, n. 78 è stato convertito, con modificazioni, dalla l. 9.8.2013, n. 94. Il provvedimento d’urgenza, preso atto dell’inadeguatezza delle precedenti normative “svuota carceri”1, del ritardo nell’implementazione del cd. “piano carceri”2 e degli obblighi derivanti dalla sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo nella vicenda Torreggiani e altri c. Italia3, ha inciso su talune criticità del vigente assetto normativo, con particolare riferimento al microsistema cautelare e all’ordinamento penitenziario. A quest’ultimo proposito, di sicura rilevanza è la parziale sconfessione delle politiche penitenziarie compendiate nella l. 5.12.2005, n. 2514, caratterizzate da decisi inasprimenti sanzionatori nei confronti dei condannati recidivi reiterati. Radicalmente modificato dal Senato, che aveva respinto molti degli emendamenti governativi, il d.l. ha sostanzialmente recuperato la sua iniziale fisionomia a seguito dell’esame da parte della Camera dei deputati, anche se il risultato definitivo evidenzia scarso coraggio verso scelte di politica penitenziaria assolutamente indifferibili, anche con riguardo alle “ombre” che la sentenza Torreggiani getta sull’assetto normativo interno e sulle finanze pubbliche5.
Le interpolazioni al vigente assetto normativo (cautelare ed esecutivo) non risultano di agevole lettura a causa di un’aspra navette parlamentare, i cui esiti costituiranno oggetto della seguente analisi.
2.1 Le modificazioni al sistema cautelare
Con riferimento al versante cautelare, il d.l. n. 78 aveva inciso esclusivamente sul testo dell’art. 284 c.p.p., attraverso l’inserimento di un co. 1-bis, ai sensi del quale «[i]l giudice stabilisce il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato». Tale disposizione è stata “rinforzata” a seguito della lettura operata in Senato, ove il testo è stato integrato al fine di conferire priorità alle esigenze di tutela della persona offesa dal reato. Assolutamente priva di effetti deflativi sul sovraffollamento carcerario, l’interpolazione costituisce, piuttosto, il “preludio” al più recente d.l. 14.8.2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla l. 15.10.2013, n. 119, che ha dettato misure incisive a prevenzione e contrasto della violenza di genere e di quella domestica.
Nondimeno, nel corso dell’esame parlamentare il d.l. ha subito ulteriori modificazioni. Durante l’esame in prima lettura, il Senato ha, infatti, modificato l’art. 280, co. 2, c.p.p., il quale, nella novellata formulazione, legittima l’applicazione della custodia cautelare in carcere solo per i «delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni». Nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, tale opzione è stata confermata, ma è stato previsto, in deroga al nuovo limite, che la custodia cautelare in carcere possa essere disposta anche per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 l. 2.5.1974, n. 1956. Al dichiarato fine di assicurare il necessario coordinamento “interno”, la Camera ha altresì aggiunto in fine all’art. 274, co. 1, lett. c), c.p.p., il periodo «ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni». Al di là del risultato sintatticamente discutibile7, va anche rilevato che l’auspicato coordinamento è stato solo parziale, con riferimento all’art. 391, co. 5, c.p.p.
2.2 Le modifiche al procedimento di esecuzione
Le modificazioni di maggior rilievo, peraltro, riguardano il procedimento di esecuzione e la disciplina di ordinamento penitenziario. Quanto al primo aspetto, il d.l. ha profondamente innovato l’art. 656 c.p.p. In particolare, sono stati introdotti tre nuovi commi (4-bis, 4-ter e 4-quater), in forza dei quali il p.m., sempre che il condannato non si trovi già in stato di custodia cautelare ovvero sia in espiazione di pena per uno dei delitti indicati nell’art. 4 bis l. 26.7.1975, n. 354 (d’ora in avanti: ord. penit.), deve “pre-computare” la liberazione anticipata maturata sull’eventuale pre-sofferto. In altri termini, gli effetti del beneficio penitenziario sono astrattamente “anticipati” al momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione: qualora, infatti, debbano essere computati dei periodi di custodia cautelare ovvero delle pene espiate sine titulo ai sensi dell’articolo 657 c.p.p., il p.m. deve trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza, affinché provveda senza ritardo all’eventuale applicazione della liberazione anticipata, con ordinanza adottata ai sensi dell’art. 69 bis ord. penit.8. All’esito di tale procedimento, il p.m. emetterà i provvedimenti rispettivamente contemplati dall’art. 656, co. 1, 5 e 10, sul quale il d.l. ha operato un opportuno raccordo con il nuovo co. 4-bis. L’intervento normativo appare efficace9: anteriormente ad esso, invero, la pena sarebbe stata eseguita, spettando al condannato, ormai in vinculis, l’attivazione del procedimento finalizzato, in prima battuta, alla concessione della liberazione anticipata e, in caso di esito positivo, di quello per l’applicazione di misure alternative alla detenzione. Nei confronti del condannato in custodia cautelare, invece, continua a non operare l’effetto sospensivo contemplato dall’art. 656, co. 5, c.p.p.: nondimeno, il nuovo co. 4-ter impone al p.m., nelle summenzionate ipotesi, di trasmettere «senza ritardo» gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata, in modo tale da anticipare l’eventuale concessione di una misura alternativa o di un beneficio penitenziario.
La novella ha, inoltre, razionalizzato il testo dell’art. 656, co. 5, c.p.p., prevedendo espressamente l’operatività della sospensione dell’ordine di esecuzione anche per le pene non superiori a quattro anni di reclusione, nelle ipotesi di condannati ammissibili alla detenzione domiciliare cd. “umanitaria” (art. 47 ter, co. 1, ord. penit.). Indubbiamente condivisibile, soprattutto in considerazione delle condizioni in cui tali persone versano, può peraltro essere non sempre agevole per il p.m. (analogamente a quanto accade in riferimento alla sospensione più favorevole prevista per le tossicodipendenze) conoscere le condizioni di tali condannati nel ristretto spazio temporale corrente tra l’irrevocabilità e l’esecuzione della sentenza di condanna10.
Le modifiche maggiormente incisive riguardano, tuttavia, la disciplina delle preclusioni alla sospensione dell’ordine di esecuzione, per effetto delle quali scompaiono dal catalogo di cui all’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p. le ipotesi di furto pluriaggravato (artt. 624 e 625 c.p.) e i delitti aggravati dalla condizione di clandestinità11.
Ben poca cosa. Rispetto al testo originario, infatti, il passaggio parlamentare denota un inspiegabile ripensamento, dal momento che il d.l. aveva “depurato” l’art. 656, co. 9, ord. penit. anche dalle ipotesi di incendio boschivo e da quelle di furto in abitazione e furto con strappo. Inoltre, accanto alle ricordate ostatività, cui continuano ad affiancarsi le ipotesi declinate nell’art. 4 bis ord. penit., il legislatore d’urgenza ha aggiunto le fattispecie di maltrattamenti contro familiari e conviventi aggravato dalla commissione del fatto in danno o in presenza di minore degli anni diciotto (art. 572, co. 2, c.p., nel testo novellato dal d.l. 14.8.2013, n. 93) e di atti persecutori (stalking) commessi a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza, di una persona con disabilità, ovvero con armi o da persona travisata (art. 612 bis, co. 3, c.p.) relativamente alle quali sarà operativa la preclusione processuale.
Ma la novità di maggior rilievo riguarda, come si è detto, il ripudio delle scelte penitenziarie contenute nella l. n. 251/2005, con particolare riguardo alla disciplina riservata ai condannati recidivi reiterati. In tale prospettiva, la Camera dei deputati ha confermato la soppressione dell’art. 656, co. 9, lett. c), c.p.p., laddove inibiva a detti condannati la sospendibilità tout court dell’ordine di esecuzione, anche nelle ipotesi in cui la pena fosse stata inferiore ai tre anni, precludendo, in ottica retributiva, la fruibilità ab initio delle misure alternative alla detenzione.
2.3. Le modifiche all’ordinamento penitenziario
Particolarmente articolate risultano le modifiche apportate alla l. n. 354/1975. La disciplina del lavoro esterno è stata potenziata dall’affiancamento di attività di volontariato, a sua volta incrementata nel corso della navette parlamentare. Il d.l. ha, infatti, aggiunto un nuovo co. 4-ter all’art. 21 ord. penit., al fine di consentire «di norma» a detenuti ed internati12 la partecipazione a titolo volontario e gratuito all’esecuzione di progetti di pubblica utilità presso lo Stato e gli enti locali o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. Novità di rilievo, a seguito di apposita modificazione apportata dal Senato in sede di conversione, è la possibilità di assegnare i detenuti e gli internati ad attività di sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi. La norma prevede che nell’assegnazione si debba tener conto anche delle specifiche professionalità e attitudini lavorative dei detenuti e, per quanto non disposto, si applica l’art. 54 d.lgs. 28.8.2000, n. 274, relativo al lavoro di pubblica utilità in relazione ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace.
Ma è in relazione al microsistema dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione che la novella presenta i tratti di maggiore interesse. Innanzi tutto, con riferimento ai condannati minorenni, il Senato ha aumentato la durata di ogni permesso premio da venti a trenta giorni, elevando contestualmente da sessanta a cento giorni la durata complessiva dei permessi per ogni anno di espiazione. Poi, relativamente ai condannati maggiorenni, il Senato ha innalzato da tre a quattro anni il limite di pena per i condannati all’arresto o alla reclusione, entro il quale la concessione dei permessi premio è ammessa senza aver previamente scontato una frazione predeterminata della pena inflitta.
Anticipando, ma solo per il momento, considerazioni che costituiranno oggetto di maggiore approfondimento, va premesso che la soppressione dell’art. 30 quater ord. penit., operata dal testo del d.l., non è stata confermata in sede di conversione. Il provvedimento d’urgenza, invero, aveva abrogato tutte le disposizioni (art. 656, co. 9, lett. c, c.p.p.; artt. 30 quater, 47 ter, co. 1.1 e 1-bis, 50 bis, 58 quater, co. 7-bis, ord. penit.) che, a vario titolo, introducevano preclusioni ovvero stabilivano soglie espiative “maggiorate” a carico dei condannati recidivi reiterati. A seguito di una dialettica, anche aspra, tra i due rami del Parlamento, solo alcune delle innovazioni sono state metabolizzate dalla legge di conversione, mentre le altre non sono state recepite.
Con riferimento alle misure alternative alla detenzione, il d.l. ha inciso sulla disciplina della detenzione domiciliare “umanitaria” per i recidivi reiterati, abrogando il co. 1.1 dell’art. 47 ter ord. penitenziario, introdotto dalla l. n. 251/2005, che ne limitava la fruibilità in relazione alle sole pene non superiori a tre anni di reclusione. Nella medesima ottica si è mosso il d.l. nell’abrogazione di parte del secondo periodo del co. 1-bis dell’art. 47 ter ord. penit. Anche in questa circostanza, il legislatore del 2005 aveva inibito la concessione della detenzione domiciliare cd. “generica” o “(infra)biennale” ai condannati recidivi reiterati. L’irragionevolezza di tale previsione, peraltro, emergeva nitidamente già alla luce della l. n. 199/2010 che, al contrario, risulta applicabile anche nei confronti di detti soggetti, i quali, addirittura, potrebbero essere affidati al servizio sociale, senza incorrere in taluna preclusione fondata sullo status di recidivo.
Maggiore riflessione avrebbe, invece, meritato la modifica dell’art. 47 ter, co. 1-quater, ord. penit., che stabilisce la competenza del tribunale di sorveglianza avente giurisdizione del locus detentionis per le istanze di detenzione domiciliare inoltrate dal condannato detenuto, continuando a riservare al magistrato di sorveglianza, attraverso il rinvio all’art. 47, co. 4, ord. penit., un potere incidentale di intervento, da esercitarsi nelle sole ipotesi di «grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione». Più opportuna sarebbe stata la modifica del farraginoso sistema delineato dall’art. 47, co. 4, ord. penit. (e dalle norme che ad esso operano rinvio: art. 50, co. 6, ord. penit; artt. 91, co. 4, e 94, co. 2, d.P.R. 9.10.1990, n. 309), al fine di eliminare il doppio passaggio magistrato-tribunale di sorveglianza, che dilata i tempi della decisione, senza offrire alcun beneficio ai detenuti, dal momento che l’intervento “cautelare” dell’organo monocratico costituisce non più che un’ipotesi di scuola. Sempre con riguardo alla detenzione domiciliare, il d.l. aveva optato per l’abrogazione dell’art. 47 ter, co. 9, ord. penit. al fine di eliminare preclusioni assolute all’accesso alle alternative alla detenzione, valorizzando, di conseguenza, la discrezionalità della magistratura di sorveglianza sulla condotta e sulla personalità del condannato e sulla sua eventuale capacità di eseguire la condanna in misure alternative alla detenzione. Del resto, la stessa Corte costituzionale aveva già avuto occasione di censurare la legittimità costituzionale della disposizione, laddove essa contemplava un secco automatismo tra la denuncia per evasione e la sospensione della misura13. In sede di conversione, peraltro, il Senato ha inserito una nuova formulazione del comma che prevede che solo alla condanna per evasione consegua la revoca della detenzione domiciliare e che la revoca non abbia luogo qualora il fatto sia di lieve entità.
L’opera “demolitoria” della l. n. 251/2005 è proseguita, invece, attraverso l’abrogazione dell’art. 50 bis ord. penit., il quale, in tema di semilibertà, contemplava un trattamento particolarmente afflittivo per i recidivi reiterati, analogo a quello riservato dall’art. 30 quater ord. penit., operativo per i permessi premio. Tale linea d’indirizzo annoverava altresì un intervento volto a sopprimere l’art. 58 quater, co. 7-bis, ord. penit., il quale prevede che le misure alternative alla detenzione non possano essere concessi più di una volta al condannato recidivo reiterato. Nel corso dell’esame parlamentare, a fronte della votazione del Senato, volta a ripristinare tutte le norme della l. n. 251/2005 abrogate dal d.l., la Camera dei deputati ha difeso l’abrogazione dell’art. 50 bis ord. penit., confermando invece la scelta del Senato di mantenere in vigore le previsioni di cui all’art. 30 quater e al co. 7-bis dell’art. 58 quater ord. penit.
2.4 Le modifiche “di contesto”
La novella è, poi, intervenuta additivamente sull’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, al fine di consentire una più ampia fruizione del lavoro di pubblica utilità per il condannato tossicodipendente o assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope. Al fine di garantire il reinserimento del detenuto attraverso il lavoro, la legge di conversione ha novellato la l. 8.11.1991, n. 381, in materia di cooperative sociali e la n. 193/2000, sull’attività lavorativa dei detenuti. Infine, il provvedimento legislativo ha prorogato, sino al 31 dicembre 2014, le funzioni del Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie.
Il rigetto, da parte della Grande Chambre della C. eur. dir. uomo (27.5.2013) della richiesta presentata dall’Italia di trattazione in sede plenaria della vicenda Torreggiani rende indifferibile la rivisitazione delle leggi rilanciando, di contro, l’applicazione delle misure alternative. Oltre all’azzeramento della l. n. 251/2005, il legislatore dovrà intervenire al fine di rimuovere tutte le preclusioni normative che limitano l’accesso alle misure alternative alla detenzione. Del pari, anche la vigente disciplina delle misure cautelari personali richiede una drastica rivisitazione, sia per l’incidenza statistica sul monte totale della detenzione, sia perché la stessa Corte europea ha avuto modo, proprio nella vicenda Torreggiani, di evidenziarne le criticità. Strettamente correlata a questi aspetti è la disciplina cautelare e penitenziaria riservata agli immigrati clandestini ed ai tossicodipendenti, i quali costituiscono il 50% circa della popolazione detenuta. A tal riguardo è indubbiamente meritevole di considerazione la proposta, avanzata dal Coordinatore dei garanti dei diritti dei detenuti, volta a ridurre le sanzioni edittali, distinguendo tra “droghe leggere” e “pesanti” e rendendo fattispecie autonoma il “fatto di lieve entità”.
Sul versante della rieducazione appare necessario rilanciare i benefici penitenziari e le misure alternative alla detenzione, dilatando l’ambito di operatività della liberazione anticipata, altresì semplificandone il procedimento di concessione. Sul piano organizzativo, infine, è indifferibile il potenziamento degli organici della giurisdizione di sorveglianza e del personale amministrativo non disgiunto da una rivisitazione delle competenze tra giudice “della pena” e giudice “dell’esecuzione”.
1 V. la l. 26.11.2010, n. 199, come modificata dall’art. 3 d.l. 22.12.2011, n. 211, conv. con mod. dalla l. 17.2.2012, n. 9.
2 Cfr. l’art. 44 bis d.l. 30.12.2008, n. 207, conv. con mod. dalla l. 27.2.2009, n. 14; nonché l’art. 17 d.l. 29.12.2011, n. 216, conv. con mod. dalla l. 24.2.2012, n. 14.
3 V. C. eur. dir. uomo, Sez. II, 8.1.2013, Torreggiani e altri c. Italia, che ha imposto allo Stato italiano di munirsi, entro un anno dalla definitività della pronuncia, di rimedi interni «preventivi» e «compensativi», idonei a risolvere il sovraffollamento carcerario che, in Italia, evidenzia un carattere «strutturale e sistemico». A margine della decisione europea cfr. Fiorio, C., Torreggiani c. Italia: ultimo atto, in Antigone, 2012, fasc. 3, 146; Fiorentin, F., Sullo stato della tutela dei diritti fondamentali all’interno delle carceri italiane, in www.penalecontemporaneo.it, 25.2.2013; Id., Carceri italiane: tutela risarcitoria entro un anno per le vittime del sovraffollamento delle prigioni, in Guida dir., 2013, fasc. 7, 75; Passione, M., Dall’affaire Sulejmanovic all’affaire Torreggiani e altri: dal diritto violato al diritto negato, in Antigone, 2013, fasc. 3, 162; Tamburino, G., La sentenza Torreggiani e altri della Corte di Strasburgo, in Cass. pen., 2013, 11; Viganò, F., Sentenza pilota della Corte EDU sul sovraffolamento delle carceri italiane: il nostro Paese chiamato all’adozione di rimedi strutturali entro il termine di un anno, in www.penalecontemporaneo.it, 9.1.2013; Volino, C.L., La protezione diretta e indiretta dei diritti del detenuto, ivi, 26.3.2013.
4 Cfr. Scalfati, A., a cura di, Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva, Padova, 2006.
5 Sottolinea l’ANM, nel Parere depositato presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati in data 30.7.2013, come il tema non sia «scevro da preoccupanti risvolti di natura economica se si considera che nel caso della sentenza Torreggiani l’Italia è stata condannata al pagamento di una somma di € 10.600 per 56 mesi di detenzione ‘inumana’ di un singolo detenuto. È intuibile quali somme lo Stato dovrebbe sborsare in caso di contemporaneo accoglimento di tutti i ricorsi pendenti a Strasburgo». I dati ufficiali (Council of Europe, Committee of Ministers, Supervision of the execution of judgments and decisions of the European Court of Human Rights, Strasbourg, 2013, 12), inoltre, confermano che nell’anno 2012 lo Stato italiano ha corrisposto 120 milioni di euro a titolo di riparazione per le violazioni convenzionali.
6 Al fine di assoggettare gli atti persecutori alla nuova disciplina, la Camera dei deputati, attraverso l’inserimento di un art. 1 bis nel corpo del d.l., ha elevato da quattro a cinque anni di reclusione la sanzione per il delitto di cui all’art. 612 bis c.p.
7 Il periodo immediatamente precedente opera, infatti, un riferimento a «misure di custodia cautelare», per le quali l’applicazione è consentita «in caso di reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni».
8 Nel senso che la norma «si caratterizz[i] per l’assenza di un potere discrezionale valutativo attribuito al pubblico ministero [, al quale] compete solo di procedere a un’operazione matematica», v. Amato, Gius., Con la liberazione anticipata non scatta la reclusione, in Guida dir., 2013, fasc. 29, 36.
9 Nell’eventualità in cui il p.m. non pre-computi ovvero computi erroneamente, la liberazione anticipata e le pene espiate sine titulo, sarà peraltro necessario l’intervento del giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 666 c.p.p.
10 Cfr. Amato, Gius., Con la liberazione anticipata non scatta la reclusione, cit., 39.
11 V. già C. cost., sent. 8.7.2010, n. 249.
12 Ad eccezione dei detenuti o internati per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. ovvero per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose.
13 Cfr. C. cost., sent. 13.6.1997, n. 173.