Abstract
Il presente lavoro ha ad oggetto la struttura e la funzione del procedimento di esecuzione forzata tributaria disciplinato sotto il Capo II del Titolo II del d.P.R. 29.9.1973, n. 602, riguardante le regole per dare attuazione al credito tributario (ma utilizzate anche per riscuotere altri crediti erariali quali i crediti previdenziali), mediante procedure espropriative speciali, affidate ex lege ad Equitalia S.p.A. ed agli agenti della riscossione da questa ultima controllati.
Con l’espressione “esecuzione forzata tributaria” si fa riferimento alla fase di attuazione del credito tributario, concernente una serie di procedure speciali sostitutive all’adempimento del contribuente, analoghe alle altre forme di esecuzione forzata di tipo espropriativo presenti nel nostro ordinamento e, nelle ricostruzioni classiche del fenomeno del tributo, si colloca nella riscossione tributaria della quale costituisce una parte eventuale e conclusiva.
Nel recente passato detta procedura esecutiva veniva definita, comunemente, con il termine “esecuzione esattoriale” ovvero di “esecuzione mediante ruolo” anche per distinguerla dall’altra esecuzione speciale tributaria fondata sull’ingiunzione (tuttora operante specie nel settore dei tributi locali), disciplinata dal R.d. 14.4.1910, n. 639 (v. La Medica, D., Espropriazione forzata esattoriale, in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma 1989, 1).
L’esecuzione forzata tributaria trova, infatti, le sue origini nelle procedure speciali presenti negli Stati preunitari, generalmente eseguite dagli esattori, recepite, all’atto dell’unificazione del Regno, nella Legge Sella (l. n. 192/1871), rispetto alla quale l’attuale disciplina, contenuta nel Titolo II del d.P.R. 29.9.1973, n. 602, presenta tuttora alcune similitudini (per un approfondimento circa l’evoluzione storica si vedano Uckmar, V., Evoluzione della disciplina della riscossione tributaria, in Tosi, L., a cura di, La nuova disciplina della riscossione dei tributi, Milano, 1996, 28; Odoardi, F., Il processo esecutivo tributario, Roma, 2012, 21 ss.).
Le modifiche normative intervenute nel corso degli anni suggeriscono, tuttavia, di abbandonare le definizioni di esecuzione esattoriale o di esecuzione mediante ruolo: infatti, non sarebbe propriamente corretto riferirsi ad essa con il termine di esecuzione esattoriale, poiché la figura dell’esattore è scomparsa a partire dal 1988 ed è stata dapprima sostituita dai concessionari del servizio della riscossione e, a partire dal 2005, da Equitalia e dagli agenti della riscossione da questa ultima controllati. Né pare ormai corretto utilizzare il termine di esecuzione in base al ruolo, visto che la medesima procedura esecutiva di cui al citato d.P.R. n. 602/1973 può essere iniziata per dare attuazione ad altri titoli esecutivi, quali gli avvisi di accertamento “esecutivi” o la stessa ingiunzione fiscale (si veda a tale ultimo proposito, ad esempio, l’art. 7, co. 2, lett. gg quater), d.l. 13.5.2011, n. 70).
La dottrina maggioritaria ritiene che l’esecuzione forzata tributaria, a differenza di quella ordinaria, abbia natura amministrativa, rappresentando la prosecuzione del procedimento di riscossione dei tributi e, dunque, una forma particolare di autotutela esecutiva (Glendi, C., Natura giuridica dell’esecuzione forzata tributaria, in Dir. prat. trib., 1992, I, 2240; Basilavecchia, M., Riscossione delle imposte, in Enc. dir., Milano, 1989, XL, 1179. Degna di rilievo è la tesi di coloro che attribuiscono natura amministrativa a tutte le procedure espropriative perché non aventi i caratteri della cognizione: cfr. la tesi di Allorio, E., Diritto processuale tributario, Milano, 1969, 235; Tesauro, F., Istituzioni di diritto tributario, pt. gen., Torino, 2009, 294). Questa teoria, che presenta sfaccettature diverse tra i suoi sostenitori, in linea generale si fonda sulla natura certamente amministrativa dei titoli esecutivi tributari e sulla astratta idoneità dell’autotutela esecutiva (detto in altri termini del “potere” o della “funzione” della pubblica amministrazione) di determinare gli effetti tipici di una espropriazione.
Ad un esame concreto dell’attuale normativa, si dovrebbe però propendere per la natura giurisdizionale della esecuzione forzata tributaria (da qui anche l’espressione “processo esecutivo tributario”), poiché l’effetto satisfattivo che si ottiene nell’esecuzione de qua, senza la volontà del debitore o di un terzo pignorato, passa sempre per un provvedimento giurisdizionale avente solitamente una natura meramente autorizzativa, ma che, in casi più complessi, può conseguire ad un processo di cognizione piena.
Esempio decisivo, ai fini della natura, è rappresentato dal pignoramento presso terzi di cui agli artt. 72 e 72 bis del d.P.R. n. 602/1973: questo sarebbe l’unico caso di atto esecutivo speciale che può determinare l’attuazione del credito tributario in assenza di un provvedimento giurisdizionale; a ben vedere, si tratta, però, di un atto solo apparentemente espropriativo, poiché, in assenza di una collaborazione del terzo pignorato, l’agente della riscossione deve intraprendere la procedura espropriativa ordinaria ai sensi dell’art. 543 c.p.c. (lo prevedono espressamente i secondi commi dei citati artt. 72 e 72 bis). Ciò conferma, in un quadro di insieme certamente più complesso, che l’autotutela esecutiva determina, in questa esecuzione speciale, un effetto coercitivo che, solo mediante la collaborazione del debitore o del terzo pignorato, può comportare la completa attuazione del credito tributario. Quando nell’esecuzione tributaria si ottiene l’effetto sostitutivo desiderato e tipico di cui all’art. 2910 c.c. (peraltro in concorso con gli altri creditori ai sensi dell’art. 2741 c.c.) tale effetto dipenderà sempre da un provvedimento giurisdizionale a dimostrazione del fatto che gli atti espropriativi tributari sono estranei all’autotutela esecutiva (Costantino, G., Le espropriazioni forzate speciali, Milano, 1984, 89; Russo, P., Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione tributaria, Milano, 1967, 464; Odoardi, F. Il processo esecutivo tributario, cit., 109 e ss.).
Degne di nota sono, poi, le teorie intermedie che attribuiscono natura giurisdizionale a particolari procedure (Bongiorno, G., L’autotutela esecutiva, Milano, 1984, 60-61 secondo cui l’espropriazione immobiliare avrebbe sempre natura giurisdizionale, mentre quella mobiliare avrebbe natura ibrida) oppure ritengono giurisdizionali solo particolari atti (Falsitta, G., Manuale di diritto tributario, pt. gen., Padova, 2008, 451 ritiene che la fase satisfattiva dell’esecuzione esattoriale abbia carattere giurisdizionale, mentre la fase espropriativa avrebbe natura amministrativa; si veda anche Falsitta, G.–Dolfin, N., Tributi (riscossione), in Enc. dir., Milano, Aggiornamento, 2002, 1130; conforme è Emanuele, E., L’esecuzione esattoriale, Milano, 1981, 45).
Dalla natura processuale o meno dell’esecuzione forzata tributaria si deducono importanti conseguenze: la soluzione affermativa comporta l’applicazione dei principi processuali anche alla esecuzione forzata tributaria con la conseguenza che sarebbero illegittime disparità di trattamento tra le parti od eventuali forme di tutela troppo differite rispetto alla nascita della situazione giuridica che merita protezione, o, addirittura, eventuali vuoti di tutela (anche cautelare). Non a caso, la ricostruzione dell’esecuzione forzata tributaria quale particolare procedimento amministrativo ha consentito alla Consulta di ritenere infondate le istanze di illegittimità costituzionale sollevate da diversi giudici di merito (cfr. la nota C. cost., 7.7.1962, n. 87, in www.giurcost.org che, per giunta, ha “rispolverato” una visione del potere pubblico risalente ad impostazioni teoriche dei primi anni del novecento, v. Mantellini, G., Lo Stato e il codice civile, III, Firenze, 1882, 176, a quell’epoca già ampiamente superate dalla dottrina amministrativista).
Anche nell’esecuzione forzata tributaria vige il principio nulla executio sine titulo. Un orientamento giurisprudenziale ha, tuttavia, ingenerato la convinzione dell’esistenza di una deroga in caso di coobbligati solidali dipendenti (si parla, a tal riguardo, di efficacia “ultra partes del ruolo”; si vedano, in senso critico, tra i tanti Autori, Glendi, C., Solidarietà dipendente e pretesa estensibilità ai coobbligati dell’efficacia esecutiva del titolo riguardante il debitore principale d’imposta, in Dir. prat. trib., 1974, II, 777 ss., nota a commento di Cass., S.U., 26.3.1973, n. 824; Lupi, R., Coobbligazione solidale dipendente ed esecuzione esattoriale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, II, 200, nota a commento di Cass., 15.10.1986, n. 6040).
Al contrario, in considerazione dei principi generali dell’ordinamento tributario (cfr. art. 7, co. 3, l. 27.7.2000, n. 212), che richiedono un titolo esecutivo motivato, il principio generale della nulla executio sine titulo risulta, nell’esecuzione de qua, addirittura rafforzato, al punto che si dovrebbe sindacare in merito all’operatività delle eccezioni comuni risultanti in materia civilistica (cfr. Fransoni, G., L’esecuzione coattiva a carico dei debitori diversi dall’obbligato principale, in Glendi, C.–Uckmar, V., a cura di, La concentrazione della riscossione nell’accertamento, Padova, 2011, 99 ss.).
In ambito tributario, il nostro ordinamento contempla, in generale, due distinti atti che assurgono alla funzione di titolo esecutivo su cui si può fondare una esecuzione forzata tributaria ai sensi del d.P.R. n. 602/1973 e, precisamente, gli atti cc.dd. impoesattivi o “accertamenti esecutivi” operanti nell’ambito dei tributi reddituali, Irap ed Iva (disciplinati dall’art. 29 del d.l. 31.5.2010, n. 78 e dal successivo art. 30 per gli avvisi di addebito in materia contributiva) e l’iscrizione a ruolo (regolata dal d.P.R. 602/1973 e dal d.lgs. 13.4.1999, n. 112).
Ai sensi dell’art. 7, co. 2, lett. gg quater), del d.l. n. 70/2011 è possibile utilizzare la procedura esecutiva di cui al d.P.R. n. 602/1973 anche per le entrate degli enti locali riscosse a mezzo di ingiunzione fiscale di cui al r.d. n. 639/1910 (si veda in particolare La Medica, D., Ingiunzione fiscale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992).
Anche nell’esecuzione tributaria sono previste le tre forme di espropriazione contemplate dal c.p.c. (mobiliare, presso terzi ed immobiliare) che possono avere inizio decorsi sessanta giorni dalla notifica dell’atto di precetto, contenuto nei medesimi titoli esecutivi, per quel che concerne gli accertamenti esecutivi e l’ingiunzione, rappresentato, invece, dalla cartella di pagamento per quanto riguarda l’iscrizione a ruolo. Inoltre, ai sensi dell’art. 50, co. 2, d.P.R. n. 602/1973, norma richiamata anche in materia di accertamenti esecutivi, il precetto ha un’efficacia limitata ad un anno dalla sua notificazione e, decorso tale termine, è necessario notificare una ulteriore intimazione in rinnovazione della precedente. In tale ultima ipotesi l’espropriazione può avere inizio non prima che siano decorsi cinque giorni dalla notificazione.
Il legislatore tributario, similmente a quello processualcivilista, fissa alcuni principi generali in materia di esecuzione per poi disciplinare più nello specifico le singole espropriazioni. Gli artt. 51-56 del d.P.R. n. 602/1973 dettano alcune regole valide per tutte le procedure espropriative (a ben vedere sono applicabili essenzialmente alle espropriazioni mobiliari o immobiliari). Tali regole sono così sintetizzabili: a) la procedura speciale tributaria può essere avviata anche nei confronti di un debitore che sta subendo una procedura ordinaria iniziata da un creditore privato e, in tali ipotesi, l’agente della riscossione si può surrogare al creditore procedente instaurando l’esecuzione speciale in luogo di quella ordinaria che dunque si estingue (art. 51, d.P.R. n. 602/1973, cfr. Odoardi, F., L’esecuzione forzata tributaria è ancora così “terribile”?: un caso di surroga dell’agente della riscossione sembrerebbe confermarlo, in Rass. trib., 2011, 1574); b) la vendita dei beni espropriati avviene sempre mediante incanto e, a differenza della procedura ordinaria, non deve essere autorizzata dal giudice (art. 52, d.P.R. n. 602/1973); c) il pignoramento perde efficacia se, decorsi duecento giorni dalla sua esecuzione, non sia stato effettuato il primo incanto (art. 53, d.P.R. n. 602/1973, come da ultimo modificato dall’art. 52, co. 1, lett. c), d.l. 21.6.2013, n. 69 , convertito dalla l. 9.8.2013, n. 98; peraltro, sono previsti termini di efficacia diversi nei casi previsti dagli artt. 62, co. 1 bis e art. 80, co. 2 bis, norme rispettivamente introdotte dall’art. 52, co. 1, lett. d), n. 2 e dall’art. 52, co. 1, lett. l), n. 3), d.l. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 98/2013); d) i creditori privati possono intervenire nella procedura speciale, con istanza redatta ai sensi dell’art. 499 c.p.c., indirizzata all’agente della riscossione (art. 54, d.P.R. n. 602/1973); e) l’agente della riscossione non può mai chiedere l’assegnazione dei beni pignorati (art. 55, d.P.R. n. 602/1973), né può essere custode (art. 64, d.P.R. n. 602/1973); f) il primo contatto con il giudice dell’esecuzione si ha entro dieci giorni dalla vendita, termine entro il quale l’agente della riscossione deve depositare in cancelleria gli atti ed il prezzo, per essere autorizzato dal giudice a trattenere l’ammontare corrispondente al credito per cui si procede (art. 56, d.P.R. n. 602/1973).
La Sezione II, Capo II del Titolo II del d.P.R. 602/1973 è dedicata alle “disposizioni particolari in materia di espropriazione mobiliare”. Pertanto, la disciplina dell’espropriazione mobiliare si ricava dagli artt. 513 ss. c.p.c. in quanto compatibili e non derogati dalle disposizioni generali del d.P.R. 602/1973 (artt. 49-56), nonché dalle disposizioni particolari dettate per questa procedura (artt. 62-71). Sono previsti due incanti, il secondo alla metà del prezzo rispetto al primo e, se la vendita non avviene, l’agente della riscossione può procedere ad una trattativa privata ad un prezzo ulteriormente ridotto della metà, ovvero procedere ad un terzo incanto ad offerta libera.
Il procedimento di espropriazione immobiliare, disciplinato alla successiva Sezione IV, differisce da quello ordinario, specie perché non è necessaria alcuna autorizzazione alla vendita da parte del giudice. Notevoli modifiche sono state introdotte dal d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013, il quale, tra l’altro, ha previsto che, su istanza di parte, il giudice dell’esecuzione possa nominare un esperto ai fini della valutazione del bene e della conseguente determinazione del prezzo di vendita (art. 80, co. 2, lett. b) del d.P.R. n. 602/1973, modificato dall’art. 52, co.1, lett. l) del d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013, quanto ivi disposto, introduce due nuove “figure” assenti nella procedura tributaria, ossia l’esperto ed un suo ausiliario che può svolgere le funzioni analoghe a quelle attribuite al custode giudiziario nelle procedure ordinarie); in assenza di tale istanza, il prezzo è determinato su base catastale (attualmente pari a tre volte il valore catastale). Lo stesso decreto ha poi posto alcuni stringenti limiti di procedibilità, disponendo l’assoluta impignorabilità della abitazione principale (se è l’unico bene del debitore) e, per crediti inferiori ad €. 120.000,00, anche l’impignorabilità di tutti gli altri beni immobili del debitore (peraltro, il pignoramento immobiliare deve oggi essere necessariamente preceduto dall’iscrizione di ipoteca, secondo la nuova formulazione dell’art. 76, come modificato dal d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013). In sede di conversione in legge è stata, poi, prevista la impignorabilità assoluta (quindi a prescindere dal valore del credito per cui si procede) di uno specifico paniere di “beni essenziali” da individuarsi con successivo regolamento ministeriale. L’asta avviene mediante tre incanti ed il prezzo è ridotto di un terzo per ogni incanto successivo al primo (art. 81, d.P.R. n. 602/1973, come modificato dal d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013). Con molto favore deve essere accolta un’altra novità introdotta dal d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013, in tema di pubblicità della vendita: in passato, infatti, a differenza di quanto previsto dalla procedura ordinaria, la pubblicità della vendita “esattoriale” era solo eventuale e su istanza di parte (infatti, le forme di pubblicità tuttora indicate dall’art. 80, co. 1, d.P.R. n. 602/1973 sono palesemente inidonee allo scopo, mentre vera forma di pubblicità, già prevista in passato, è quella oggi contenuta nell’art. 80, co. 2, lett. a), d.P.R. n. 602/1973 modificato dal d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013); attualmente, invece, è stato introdotto l’obbligo in capo all’agente della riscossione di dare notizia della vendita sul proprio sito internet almeno nei venti giorni antecedenti al primo in canto (art. 80, co. 1 bis, d.P.R. n. 602/1973, comma inserito dall’art. 52, co. 1, lett. l), n. 1), d.l. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 98/2013). Se, successivamente ai tre incanti, il bene rimane invenduto, l’agente della riscossione chiede l’assegnazione del bene allo Stato ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 602/1973 al prezzo base del terzo incanto (tale norma, recentemente modificata, era stata, infatti, dichiarata incostituzionale nella parte in cui prevedeva che, se il terzo incanto avesse avuto esito negativo, l’assegnazione dell’immobile allo Stato sarebbe potuta avvenire per il minor prezzo tra quello del terzo incanto e la somma per la quale si procedeva, anziché, come affermato dalla Corte, al prezzo base del terzo incanto, C. cost. 28.10.2011, n. 281).
Del tutto particolare è il procedimento di espropriazione presso terzi (disciplinato dagli artt. 72 ss., d.P.R. n. 602/1973), consistente in un ordine di pagamento indirizzato al debitor debitoris. Sembra, però, difettare di qualunque efficacia “espropriativa”, poiché la stessa norma prevede che, nel caso in cui il terzo non ottemperi all’ordine dell’agente della riscossione, quest’ultimo deve avviare il procedimento ordinario di cui agli artt. 543 ss. c.p.c.
Ai fini dell’attuazione del credito tributario, pur essendo necessario per il creditore procedere in via espropriativa per ottenere quanto gli è dovuto (art. 2910 c.c.), si avverte la tendenza del legislatore a privilegiare rimedi stragiudiziali, espressione di autotutela esecutiva.
Sono, infatti, gli atti di autotutela esecutiva (quindi quelli non espropriativi) a garantire una maggiore efficienza e la celerità del sistema di riscossione dei tributi: essi si esplicano in una mera intimazione rivolta al debitore alla quale fa seguito la apposizione di una misura coercitiva in caso di mancato pagamento. Il tutto, peraltro, in una situazione di concorrenzialità con un’esecuzione forzata che, indubbiamente, risulta più onerosa anche per lo stesso creditore. Misure quali il fermo amministrativo di beni mobili (art. 86, d.P.R. n. 602/1973, il cui comma secondo, da ultimo modificato dall’art. 52, co. 1, lett. m-bis), d.l. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 98/2013, sancisce la non assoggettabilità a tal misura di quei beni mobili strumentali all’attività di impresa o alla professione), o l’ipoteca (art. 77, d.P.R. n. 602/1973), come pure il divieto di compensazione (ai sensi dell’art. 31, d.l. n. 78/2010; per le altre misure coercitive v. Odoardi, F., Il processo esecutivo tributario, cit., 314 ss.) hanno il solo scopo di indurre il contribuente al pagamento, al fine di non incorrere in ulteriori fatti pregiudizievoli (ad es. la confisca del veicolo, la non compensabilità mediante F24, etc.), pur non essendo, di per sé, per nulla idonei ad ottenere l’estinzione dell’obbligazione tributaria oggetto del titolo esecutivo, in assenza della collaborazione del debitore. Da un esame delle norme speciali appare immediatamente evidente come l’intenzione del legislatore sia quella di privilegiare oltre alla maggiore speditezza anche la maggiore economicità che deriva dall’utilizzo di questi strumenti deflattivi: a) in primo luogo per l’acquisizione di risorse monetarie nel minor tempo possibile; b) in secondo luogo, per evitare che l’espletamento di una procedura espropriativa dispendiosa, sotto molti profili, possa rivelarsi meno fruttuosa. La combinazione di tali obiettivi tende a privilegiare nell’esecuzione forzata tributaria l’interesse ad ottenere un pagamento attraverso la semplice minaccia dell’azione esecutiva, ma senza dover poi necessariamente attivare, in concreto, le dispendiose procedure espropriative.
Contro un’esecuzione ingiusta e/o illegittima sono proponibili azioni aventi un oggetto analogo a quelle che si potrebbero proporre contro un’esecuzione ordinaria (quindi aventi un contenuto analogo ad un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi), con la precisazione che, nei termini appresso specificati, la maggior parte delle tutele è attribuita alla giurisdizione del giudice tributario.
Il riparto di giurisdizione si ricava dal combinato disposto di cui agli artt. 2 e 19 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546 e dall’art. 57, d.P.R. n. 602/1973 che esclude espressamente la proponibilità delle opposizioni all’esecuzione, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni e l’opposizione agli atti esecutivi aventi ad oggetto la notifica del titolo esecutivo e del precetto.
Pertanto, contro gli atti preparatori dell’esecuzione vi è una tutela piena, ratione materiae, davanti alle Commissioni tributarie (artt. 2 e 19, cit., tutela estesa a partire dal 2006 anche al fermo amministrativo ed alla iscrizione di ipoteca). Contro gli atti dell’espropriazione vi è una tutela, esercitabile generalmente nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi, davanti al Tribunale ordinario.
Eventuali forme di tutela avverso atti dell’espropriazione (quindi quelli a partire dal pignoramento) per far valere motivi riguardanti l’inesistenza del diritto a procedere in via esecutiva (opposizione all’esecuzione che sarebbe vietata dall’art. 57 cit.) o la mancata notifica di atti presupposti (opposizione agli atti esecutivi vietata dall’art. 57 cit.), andrebbero esercitate in Commissione tributaria sulla base di un’interpretazione adeguatrice delle norme citate.
Da un esame testuale delle norme, infatti, si potrebbe ritenere esclusa qualunque forma di tutela nei riguardi di atti successivi all’intimazione di pagamento, per via della formula contenuta nell’art. 2, d.lgs. n. 546/1992 («Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica»), in considerazione anche della mancata indicazione di tali atti nel successivo art. 19, e delle esclusioni di cui all’art. 57, d.P.R. n. 602/1973.
Tuttavia, una lettura delle norme conforme alla Costituzione non può che portare ad ammettere l’impugnazione di tali atti in Commissione tributaria, tanto nelle ipotesi in cui è necessario contestare la mancata previa notifica del titolo esecutivo, quanto in quelle in cui si intende far accertare l’inesistenza del diritto a procedere.
Tale conclusione trova conferma nella dottrina che ritiene utile procedere ad una interpretazione adeguatrice delle norme (v., ad esempio, Randazzo, F., Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. dir. trib., 2003, II, 914 e soprattutto Russo, P.–Fransoni, G., La giurisdizione in materia di fermo di beni mobili registrati, Il fisco, 2004, 1191, nonché La Rosa, S., La tutela del contribuente nella fase di riscossione, Rass. trib., 2011, 1178; Odoardi, F., Il processo esecutivo tributario, cit., 412 ss.).
Pertanto la forzatura interpretativa con particolare riguardo all’art. 2, d.lgs. 546/1992, sarebbe pienamente giustificata dalle finalità adeguatrici cui essa tende.
Recentemente si hanno, peraltro, importanti avalli da parte della giurisprudenza di legittimità che punta ormai a sostituire l’atto impugnabile con l’interesse ad agire: si ritiene, quindi, consentita l’impugnazione di atti che, pur non espressamente inclusi nell’elenco di cui all’art. 19 cit., denotano la sussistenza di un interesse concreto ed attuale a ricorrere e perciò è stato ritenuto impugnabile in Commissione tributaria anche il pignoramento presso terzi (Cass. civ., S.U., 5.7.2011, n. 14667; più in generale tale conclusione trova ulteriori conferme da parte della Suprema Corte la quale ha stabilito che tutti gli atti comunque adottati quali manifestazione ed espressione della potestà impositiva, non necessariamente tradotti in atti autoritativi di cui all’elencazione dell’art. 19, d.lgs. n. 546/1992, devono qualificarsi come impugnabili al momento della conoscenza e della relativa insorgenza dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., laddove idonei ad incidere irreversibilmente sulla posizione del contribuente e dunque suscettibili di sindacato da parte della giurisdizione speciale: Cass., 6.7.2010, n. 15946); poi, sul caso del pignoramento non preceduto dalla notifica del titolo esecutivo vi sono ampie aperture da parte della giurisprudenza di merito (ritengono l’impugnabilità, tra le più recenti, CTP Catania 15.2.2011, n. 176; CTP Treviso 4.3.2009, n. 23. Al contrario sono di diverso avviso CTP Milano 7.6.2010, n. 256; CTP Novara 23.7.2010, n. 89).
Per giunta, ad una attenta lettura dell’art. 19, co. 3, del d.lgs. 546/1992, si potrebbe ritenere non preclusa l’impugnabilità “in qualunque momento” di un atto autonomamente impugnabile (come è, ad esempio, il titolo esecutivo) non notificato. In particolare, l’ultimo alinea della disposizione citata, nella parte in cui stabilisce «la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo», dovrebbe tendere a favorire la giurisdizione tributaria e non certo ad escluderla (a tale riguardo la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che deve, in ogni caso, sussistere un interesse concreto del ricorrente a presentare il ricorso contro detto atto, con la conseguenza, ad esempio, che non sarebbe impugnabile un estratto dei ruoli mai notificato e conosciuto dal contribuente non per il tramite della notifica di un atto lato sensu impositivo; cfr. Cass., 20.3.2013, n. 6906; nonché Cass. civ., 11.5.2012, n. 7344; Cass., S.U., 27.3.2007, n. 7388; Cass., S.U., 22.7.2004, n. 13793).
Contro gli atti prodromici all’esecuzione forzata tributaria non è esclusa la possibilità per il debitore di richiedere l’annullamento dell’atto all’ente impositore in via di autotutela.
Recentemente è stata, poi, introdotta dell’art. 1, co. 537 ss., l. 24.12.2012, n. 228, una particolare forma di tutela amministrativa che, in determinate ipotesi, consente al destinatario di un atto esecutivo, tramite un’istanza da presentare direttamente ad Equitalia entro novanta giorni dal ricevimento dell’atto, di ottenere, previa sospensione immediata dell’esecuzione, l’annullamento dei crediti oggetto dell’esecuzione. Si tratta di un procedimento finalizzato a consentire il “discarico” dei ruoli più datati tuttora di competenza di Equitalia, ma che, prevedendo termini tassativi entro cui l’ente impositore deve provvedere in merito alle istanze ricevute, potrebbe consentire ai contribuenti di ottenere l’annullamento di crediti erariali per la semplice inerzia della pubblica amministrazione.
Artt. 49-86, d.P.R. n. 602/1973; artt. 474-632 c.p.c.; nonché ovviamente gli artt. 2740, 2741 e 2910 ss. c.c.. Più in particolare l’esecuzione forzata tributaria risulta disciplinata dal Capo II del Titolo II del d.P.R. n. 602/1973 e l’art. 49, co. 2, stabilisce che «Il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene in oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esse compatibili». Pertanto l’esecuzione trova una disciplina generale nel codice di procedura civile, in base al rinvio formale operato dalla norma richiamata, norme applicabili in quanto non derogate e compatibili con quelle speciali di cui al medesimo capo II. Parte della disciplina è poi contenuta nel d.lgs. 26.2.1999, n. 46 che ha riscritto completamente il Titolo II del d.P.R. n. 602/1973 e che contiene alcune norme applicabili all’esecuzione forzata tributaria (ad es. artt. 21 ss.); si applicano, inoltre, agli atti dell’esecuzione forzata tributaria le norme previste, in via generale, per gli atti dell’amministrazione finanziaria e dell’agente della riscossione, nonché gli altri principi dell’ordinamento tributario (si veda, a tale riguardo, la l. n. 212/2000, statuto dei diritti del contribuente); quanto alla tutela risultano applicabili le norme in materia di processo tributario di cui al d.lgs. n. 546/1992; si veda, inoltre, il r.d. n. 639/1910 in materia di ingiunzione fiscale, operante in questo settore in base alla previsione di cui all’art. 7, co. 2, lett. gg quater), d.l. n. 70/2011; si vedano gli artt. 29 e 30, d.l. n. 70/2011, in materia di accertamenti esecutivi, rispettivamente in materia tributaria e contributiva; si veda, infine, l’art. 1, co. 537 ss., l. 24.12.2012, n. 228 in materia di sospensione amministrativa dell’esecuzione.
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