Esecuzione indiretta. Le nuove misure coercitive ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c.
La generalizzazione delle misure coercitive, che si è avuta con l’introduzione nel codice di procedura civile dell’art. 614 bis, è finalizzata ad assicurare l’adempimento delle obbligazioni civili non suscettibili di esecuzione forzata diretta. Essa, perciò, va vista come un opportuno adeguamento del nostro ordinamento ad altri ordinamenti dell’Unione europea, come la Francia, la Germania o l’Inghilterra. Tuttavia, per come formulata, la norma ha fatto anche sorgere una serie di questioni interpretative, in questo contributo adeguatamente approfondite, che sono emerse anche dalle prime applicazioni giurisprudenziali che la stessa ha avuto.
L’art. 614 bis c.p.c. è stato salutato come il più importante intervento dell’ultima legge di riforma del processo civile, la 18.6.2009, n. 69. Si è sottolineato che finalmente vengono adempiuti i voti della cultura processualcivilistica che da decenni invoca l’introduzione di misure coercitive per assicurare l’adempimento delle obbligazioni civili, soprattutto se non suscettibili di esecuzione per surrogazione. Così da adeguare il nostro ordinamento a quanto già previsto sia pure con modalità funzionali e strutturali tra loro molto diverse in numerosi altri ordinamenti dell’Unione europea, a cominciare da Francia, Germania e Inghilterra1.La scelta si è ispirata al modello francese delle astreintes: la sanzione per il provvedimento di condanna ineseguito è esclusivamente pecuniaria. Malgrado il legislatore si sia dimenticato di precisarlo, la relativa somma di denaro sarà devoluta al creditore. Una scelta da approvare. La diversa soluzione degli ordinamenti anglogermanici (penalità sia pecuniarie2, che di restrizione della libertà, graduabili a seconda della gravità dell’inesecuzione, concepita come violazione dell’autorità della sentenza – Verletzung des Königs secondo l’icastica formula medioevale tedesca) rappresenta un relitto dei tempi feudali3 che ha dato luogo a delicati problemi applicativi per tener conto dell’evoluzione storica: in Germania, con interpretazioni fortemente restrittive della disciplina delle cd. Strafordnungen previste dai §§ 888 e 890 ZPO, arrivandosi ad abrogare il dovere del giudice, ivi sancito, di irrogare la penalità in caso di inesecuzione della condanna a un fare o non fare, sostituendolo con un potere discrezionale; negli Stati Uniti, con interventi legislativi in materia di injunctions nei conflitti di lavoro, indirizzati a por fine a prassi giurisprudenziali contrastanti con i valori di una moderna democrazia industriale; in Inghilterra con sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo a protezione del diritto costituzionale alla libertà di informazione (si ricordi la minaccia del contempt of court nei confronti di giornalisti che intendevano continuare a rendere noti al pubblico i risvolti del famoso scandalo del Thalidomide)4.
Approvata la scelta, nascono i problemi. Buone le intenzioni, cattivi i risultati, vien da esclamare, di fronte alle numerose questioni interpretative presentate dal testo, difficilmente risolvibili con un buon margine di sicurezza5.
2.1 Il contrasto tra rubrica e testo dell’art. 614 bis c.p.c.
La prima di esse, immediatamente rilevata dai commentatori, riguarda il contrasto tra la rubrica e il dettato dell’art. 614 bis. Mentre la rubrica recita «attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare», il testo parla di fissazione della misura coercitiva per il provvedimenti di condanna in genere. La maggioranza della dottrina6 ha ritenuto che non sia possibile in questo caso far leva sul canone della prevalenza del testo sulla rubrica per concludere che le misure coercitive possono venir fissate per qualunque provvedimento di condanna, malgrado in sede di lavori preparatori fosse emersa una tendenza alla universalizzazione delle misure, anche con riferimento alle condanne suscettibili di esecuzione forzata per espropriazione. Avevo a suo tempo condiviso la tesi restrittiva, che limita l’applicazione della norma secondo le indicazioni della rubrica7. Ritenevo sia che l’intentio legis andasse semplicemente nel senso di voler estendere uno strumento che ha già conosciuto applicazioni nel nostro ordinamento per casi particolari di obbligazioni di fare infungibili e non fare8, sia che la collocazione della norma, all’interno del capo dedicato all’esecuzione specifica degli obblighi di fare e non fare deponesse a favore della medesima conclusione. Ritengo ora di dover modificare la precedente opinione. Non già nel senso che la nuova misura coercitiva sia applicabile a qualsiasi provvedimento di condanna. Bensì nel senso che essa sia applicabile ai provvedimenti di condanna che abbiano ad oggetto un fare o un non fare, sia esso suscettibile o no di esecuzione per surrogazione9. Do così prevalenza al testo rispetto alla rubrica, ma interpretato alla luce della sua collocazione sistematica. Ritengo questa conclusione opportuna sotto svariati profili10. In primo luogo l’applicazione della misura risulta semplificata tutte le volte che sia incerta la classificazione di un’obbligazione di fare (se fungibile o infungibile). In secondo luogo lo stesso accade se la prestazione sia una prestazione complessa che comprende sia aspetti fungibili che aspetti infungibili. In terzo luogo l’applicazione della misura risulta consentita quando la violazione di un obbligo originario di non fare (per sua natura sempre infungibile11) ha dato luogo ad un obbligo derivato di disfare, consentendo così un trattamento equivalente di tutti gli obblighi originari di non fare, tanto se ha dato luogo all’obbligo derivato in parola, quanto se no. A parte questi evidenti vantaggi della soluzione interpretativa qui proposta, vale anche la pena di prendere in considerazione l’importanza dell’esecuzione spontanea del provvedimento di condanna a fare o disfare ‘incoraggiata’ dalla misura coercitiva, di fronte alle particolari complicazioni che connotano molto spesso l’esecuzione per surrogazione ad opera degli organi esecutivi. Aggiungo che, con qualche audacia, ritengo si possa applicare la misura, come avviene in Francia, nel caso di inesecuzione di obblighi di consegna di una cosa mobile determinata, almeno per il caso di insuccesso dell’esecuzione in forma specifica. È vero che tradizionalmente l’obbligazione di consegna è classificata tra le obbligazioni di dare. Ma è anche vero che essa si manifesta in un’attività materiale dell’obbligato, in un fare latamente inteso. Ma soprattutto è vero che se l’obbligato ha occultato la cosa da consegnare così da frustrare l’esecuzione diretta, l’obbligazione manifesta in concreto la sua infungibilità, nel senso che essa si rivela come adempibile esclusivamente dall’obbligato stesso.
2.2 Il concetto di condanna come Leistungsurteil inconsapevolmente adottato dall’art. 614 bis e i relativi problemi, nei rapporti con la determinatezza storica del concetto di infungibilità
Una lettura indiretta del testo della norma sembra suggerire che qualsiasi provvedimento contenente l’accertamento di una obbligazione civile può venir qualificato come un provvedimento di condanna all’adempimento quando la domanda dell’attore sia in tal senso orientata. Ciò risulta dalla clausola di esordio, che parla di provvedimento di condanna assumendo la possibilità che esso non sia eseguibile né per surrogazione né per via di esecuzione indiretta, nel caso in cui il giudice ritenga di non applicare la richiesta misura coercitiva pecuniaria perché «manifestamente iniqua», ambiguo requisito sul quale ci intratterremo più avanti. Si potrebbe avere insomma, contrariamente a quanto esigono la teoria generale del diritto12, ma anche il senso comune attento alle connotazioni semantiche, una «condanna» priva di qualsiasi sanzione. Questo errore definitorio ora, per la prima volta, fatto proprio dal legislatore, ma di sicuro inconsapevolmente, cosicché non se ne può ricavare alcuna conseguenza giuridica13, ha un precedente. La ZPO tedesca del 1879 al secondo comma del § 888 prevede l’inapplicabilità delle misure coercitive sul patrimonio o sulla persona «nel caso di condanna a contrarre matrimonio, a porre in essere la vita coniugale o a prestare opera in base a un contratto di servizio ». Il concetto di condanna viene qui mantenuto nel momento stesso in cui lo si nega, sancendo l’esclusione della sanzione, un tempo anche per quegli obblighi prevista. Si capisce allora come mai, influenzato dalla dottrina tedesca che parlava indifferentemente di Leistungsurteil e di Verurteilungsurteil nei primi tempi di applicazione del codice14, Chiovenda poteva scrivere «si può essere condannati a tutto ciò che si è tenuti a prestare»15, salvo poi riconoscere altrove l’ovvio e cioè che «quando un bene, per sua natura e per mancanza dei mezzi di surrogazione consentiti dalla legge non può conseguirsi se non con l’esecuzione in via di coazione, e i mezzi di coazione non sono consentiti dalla legge, quel bene non è praticamente [corsivo mio] conseguibile nel processo»16. Anche in teoria, oserei aggiungere, con quel che ne consegue sul piano dell’interesse ad agire, che esisterà in solo accertamento17, salvo l’esercizio dell’azione di condanna per un eventuale risarcimento dei danni, ove ne esistano i presupposti. Val la pena a questo proposito di sottolineare che l’obbiettivo di obbligazioni infungibili di fare o di non fare insuscettibili di esecuzione indiretta e addirittura, in qualche caso isolato, di risarcimento del danno è il risultato di un processo storico. Che ha a che fare con la progressiva liberazione dai vincoli feudali e l’affermazione dei principi di libertà. Il concetto di obbligazione di fare infungibile è insomma un concetto storicamente determinato. Oggi esistono obbligazioni di tal tipo per le quali, ancora in tempi non troppo lontani, era prevista l’esecuzione in forma specifica. Ricordo due esempi relativi alla condizione di inferiorità giuridica della donna, il primo perpetuatosi in pieno XIX secolo. In Francia, molti decenni dopo la rivoluzione, civilisti illustri non dubitavano dell’esistenza di un diritto assoluto del marito sulla persona della moglie, per cui era indubitabile la eseguibilità manu militari, in caso di sua inottemperanza all’ordine giudiziale di tornare al domicilio coniugale. Con qualche risvolto folcloristico. Da eseguire, con discrezione, secondo la giurisprudenza: «L’ufficiale giudiziario, accompagnato da due agenti senza uniforme, si presenterà con una carrozza chiusa alla dimora della moglie, possibilmente di notte, e la porterà con sé per consegnarla al marito». In Germania per tutto il basso medioevo si aveva addirittura la coercizione diretta dell’obbligo di contrarre matrimonio, a seguito della promessa. La renitente «wird in die Kirche geschleppt, hand in hand gegeben und der diaconus sagt ex mandato Serenissimi das ja». Ancora: sempre in Germania, malgrado il secondo comma del § 888 ZPO prevedesse in linea generale l’inapplicabilità della Zwangstrafe ivi prevista al primo comma alle «condanne» a prestare opera in base ad un contratto di servizio, le varie Gesindeordnungen territoriali, continuavano a prevedere, per il caso di fuga, l’accompagnamento coatto sul luogo di lavoro dei domestici e di molte altre categorie di lavoratori manuali e la prigione per il caso di reiterazione della fuga. Disposizioni abrogate solo il 12 dicembre 1918 a seguito dei moti rivoluzionari successivi alla sconfitta nella prima guerra mondiale. A tacere dell’esecuzione specifica, oggi impensabile, di questi ultimi obblighi, li ho ricordati, perché, a mio giudizio, non si può oggi per essi neanche pensare ad una condanna all’adempimento assistita da qualunque mezzo di esecuzione indiretta. Quanto poi ai primi due oggi, non è pensabile né una qualche forma di Leistungsurteil, né un’azione derivata di risarcimento del danno, in caso di accertamento del relativo obbligo, che potrà avvenire esclusivamente al altri fini, come la restituzione dei doni o la declaratoria di separazione con addebito.
2.3 Sentenze di condanna e ipoteca giudiziale
Mi aspetta al varco un’obiezione. La sentenza che accerta un obbligo sostanziale infungibile, qualificata come condanna nella formula adottata dal dispositivo anche se insuscettibile di esecuzione indiretta consentirà sempre l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale18. La risposta non può che essere metodologica, alla luce di quanto rilevato finora. Non è lecito collocare al punto di partenza dell’indagine un assunto che dovrebbe costituire l’esito di un processo dimostrativo. Non è lecito, quindi, affermare apoditticamente che l’«essenza» del concetto di condanna sta nell’accertamento della pretesa ad una prestazione, di qualunque tipo essa sia, anche se non è previsto alcun tipo di sanzione per il caso di mancata esecuzione spontanea. Così da poter, ad esempio, arrivare ad affermare, discutendo dell’inibitoria in materia di concorrenza sleale ex art. 2599 c.c. che il legislatore si sarebbe «dimenticato» di disciplinare le modalità attraverso cui «garantire l’attuazione» di questa forma di tutela di condanna19. Dal punto di vista di una posizione che non voglia cadere nell’errore logico della quaternio terminorum proprio della Begriffsjurisprudenz20, il procedimento argomentativo deve essere inverso, inducendo gli effetti giuridici da un esame del contesto normativo e poi concettualizzandoli in un Ordnungsbegriff. Così operando, ci rendiamo subito conto che quest’inibitoria, senza sanzione prima del 2009, era nient’altro che una sorta di sentenza di accertamento in futuro, nel senso che dall’ordine impartito nel dispositivo risulta semplicemente che, in caso di reiterazione del comportamento inibito, il giudice successivo non aveva che da accertarne l’accadimento, senza poterne mettere in discussione il disvalore giuridico, con tutte le relative conseguenze, ad esempio risarcitorie.Orbene, se la sentenza relativa ad obblighi infungibili non è assitita da mezzi di coazione, essa non potrà mai essere una sentenza di condanna nel senso del legislatore, quale che sia il linguaggio usato e non potrà costituire titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale21: sarà una sentenza di accertamento, come aveva già compreso Calamandrei22. Né può indurre ad opposta soluzione il testo del nuovo art. 614 bis, inconsapevolmente caduto nella trappola della Leistungsurteil.
2.4 L’iniquità della misura
Poiché nelle norme processuali il tempo indicativo rappresenta un potere dovere dell’organo giurisdizionale, se ci fermassimo dove il nuovo art. 614 bis dice «il giudice … fissa, su richiesta di parte» la misura coercitiva, dovremmo pensare che il legislatore si è allontanato dai precedenti, italiani e stranieri, che al giudice attribuiscono un potere discrezionale di concessione della misura stessa. Ma non è così. Il giudice deve sì concedere la misura, ma se e solo se «ciò non sia manifestamente iniquo». Certo, la formula è alquanto infelice23. Forse che il giudice deve fissare la somma di denaro dovuta dall’obbligato, se l’iniquità esiste, ma non è manifesta? E poi, cosa significa «iniquo»? Forse non equo nel bilanciare l’interesse del creditore all’adempimento e il sacrificio richiesto al debitore? O forse malvagio? Ma non merita addentrarsi in questi indovinelli semantici. Possiamo ragionevolmente aspettarci che, prima ancora le domande di parte, e poi comunque l’elaborazione giurisprudenziale, nel fissare i parametri dell’iniquità, non si discosteranno dalle esperienza di altri paesi, dove le misure coercitive indirizzate all’adempimento dei provvedimenti che condannano ad un fare o a un non fare sono affidate alla discrezionalità giurisdizionale. Discrezionalità rigorosa, vista la casistica non troppo ricca a disposizione24.
2.5 L’inapplicabilità della misura coercitiva per le controversie di lavoro
L’ultimo periodo del primo comma dell’art. 614 bis esclude l’applicabilità della misura coercitiva nelle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409. Tanto per cominciare va sottolineato che la norma non fa cenno delle controversie di lavoro autonomo25, dove le obbligazioni di fare del lavoratore devono affidarsi al giudizio discrezionale del giudice. Anche se mi aspetto che la pressione sulla libertà di determinazione del lavoratore autonomo, sia manuale che intellettuale, in relazione a controversie per le quali è largamente sufficiente l’eventuale risarcimento del danno procurato dall’inadempimento al committente orienterà la giurisprudenza (se mai ne verrà investita) a ritenere iniqua la misura, abbiamo qui un primo dubbio di legittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza. Il secondo dubbio è più grave. L’utilità ovvia della misura coercitiva nei confronti delle obbligazioni di fare del datore di lavoro aveva originato il dibattito sull’istituto negli anni 80 del secolo scorso. Essa veniva propugnata come un importante aspetto della legislazione di sostegno della parte debole del rapporto e aveva dato luogo ad audaci operazioni interpretative26 volte ad applicare alcune norme penali, direi a causa della mancanza di misure coercitive civili, limitate nello statuto dei lavoratori alla tutela dei rappresentanti sindacali aziendali illegittimamente licenziati. Poiché le obbligazioni di fare del datore di lavoro non sono generalmente connotate «da alcun elemento di coinvolgimento personale o intellettuale»27 risulta evidente l’assolutamente irragionevole disparità di trattamento con le altre obbligazioni dello stesso tipo28. Quanto alle obbligazioni del lavoratore occorre distinguere: le obbligazioni di non fare (ad esempio, l’obbligo di non concorrenza) avrebbero potuto venir sottoposte alla misura senza problemi. Quanto invece alla obbligazione della prestazione di lavoro la consapevolezza che essa non può venir sottoposta a compulsione è intuitiva dal punto di vista dei valori di libertà; tanto è vero che la relativa proibizione risale, come abbiamo visto addirittura alla ZPO del 1877.
2.6 Il provvedimento ex art. 614 bis come condanna in futuro
«Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza» (e anche per ogni ritardo, il legislatore se ne è dimenticato, ma possiamo ascriverlo a un ampio concetto di inosservanza). Si è di fronte a una condanna in futuro, senza necessità di un nuovo giudizio per la formazione del titolo esecutivo. Una grossa semplificazione, anche rispetto alla proposta, contenuta nel progetto di nuovo codice di rito redatto sotto la direzione di Andrea Proto Pisani, di accertamento successivo nelle forme del procedimento sommario. La scelta non dovrebbe destare soverchie perplessità, poiché il diritto di difesa del debitore è assicurato dall’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., se intende contestare la verificazione dell’inadempimento, o qualche errore di quantificazione della misura operata nel precetto dal creditore. Vi è solo da rilevare che il creditore dovrà analiticamente precisare nel precetto, a pena di nullità ex art. 156 c.p.c.29, con una sorta di autocertificazione, gli episodi che hanno dato origine all’obbligo di pagare le somme a suo tempo indicate dal giudice e che l’onere della prova in caso di opposizione graverà su di lui, salvo l’applicazione del principio negativa non sunt probanda.
Oltre a quelli fin qui esaminati, già i primi commentatori hanno individuato una serie di problemi interpretativi, che ci limitiamo a ricordare, esprimendo una rapida opinione. Si discute se la misura coercitiva sia applicabile a tutti i provvedimenti condannatori o esclusivamente alle sentenze di condanna; se essa sia irrogabile anche con il lodo arbitrale rituale; oppure con il relativo decreto giudiziale di omologa; oppure ancora con il verbale di conciliazione giudiziale; quale sia il momento ultimo per la presentazione dell’istanza e se essa sia presentabile per la prima volta in appello (e, aggiungerei, nel giudizio di rinvio); se la concessione o il rifiuto della misura siano sindacabili in sede di impugnazione; se la relativa somma sia da restituire al convenuto che vince in detta sede. Credo che, entro i suoi limiti, la misura coercitiva sia applicabile a tutti i provvedimenti di condanna. Non esiste, a mio giudizio, alcuna connessione tra il concetto di condanna civile e l’idoneità del relativo provvedimento alla cosa giudicata. È sufficiente la previsione di una sanzione per il caso di mancata esecuzione spontanea. D’altra parte la giurisprudenza è già orientata in questo senso. I primi provvedimenti (v., ad esempio quello citato alla nt. 10) applicano la misura coercitiva a ipotesi di provvedimenti d’urgenza ex art. 700.c.p.c. Quanto all’irrogabilità della misura nel lodo arbitrale rituale sono dubbioso. Malgrado la riforma del 2006 abbia molto avvicinato la giustizia privata a quella pubblica, occorre riflettere sulla natura di sanzione compulsoria della misura stessa e sul fatto che, contro i voti di parte della dottrina, non è stato abrogato l’art. 818 c.p.c., che inibisce agli arbitri la concessione di provvedimenti cautelari. Né, d’altra parte, si può ritenere concedibile dal giudice la misura, in sede di omologazione del lodo, visto che, ai sensi dell’art. 825 c.p.c. il tribunale si limita ad accertarne la regolarità formale e, quindi, non può entrare nel merito, allo scopo, ad esempio, di accertare l’equità della misura. Sono convinto poi che il giudice non possa irrogarla in sede di conciliazione giudiziale. Occorre rispettare la lettera della legge che parla di provvedimento, laddove la conciliazione, se pur procurata grazie ai buoni uffici del giudice, ha comunque natura negoziale. Semmai, si potrebbe pensare che anche alla conciliazione giudiziale sia applicabile per via analogica l’art. 11, co. 3, ultima parte, del d.lgs. n. 28/2110, ai cui sensi l’accordo amichevole raggiunto dalle parti all’esito della procedura di mediazione «può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti, ovvero per il ritardo nel loro adempimento». Quanto alla disciplina dell’istanza, ad essa non può di certo applicarsi la disciplina della domanda in materia di preclusioni, malgrado il contrario avviso di taluno. Si tratta di una semplice istanza processuale. La misura coercitiva avrebbe anche potuto venir affidata al potere ufficioso del giudice, come avviene in Francia per l’astreinte e da noi per la condanna alle spese. L’ultimo momento utile per la proposizione dell’istanza sarà dato dalla precisazione delle conclusioni. Resisto così alla tentazione di ritenere la misura concedibile anche se richiesta in comparsa conclusionale, vista la possibilità per l’altra parte di esercitare il diritto di difesa con la memoria di replica. Potrà poi venir chiesta per la prima volta in appello e, se del caso, nel giudizio di rinvio. Nessun dubbio, infine, che rifiuto o concessione della misura siano controllabili in sede di impugnazione e che, nel caso di rovesciamento della vittoria in appello, l’appellante vittorioso abbia diritto alla restituzione delle somme eventualmente pagate. Questo perché la misura non è indirizzata a sanzionare una pretesa violazione dell’autorità della sentenza di primo grado, come avviene negli ordinamenti tedesco- anglosassoni, ma soltanto a stimolare la sua esecuzione spontanea.
1 Per un ampio panorama comparativo cfr. Vullo, L’esecuzione indiretta fra Italia, Francia e Unione europea, in Riv. dir. proc., 2004, 727 ss.
2 Con i relativi importi da devolvere allo Stato, come previsto nel nostro paese per la misura coercitiva speciale di cui all’art. 140, co. 7, c. cons. (in questo caso con destinazione vincolata per iniziative a vantaggio dei consumatori). Questo aspetto è da valutare positivamente, anche perché si evitano in tal modo i possibili arricchimenti ingiustificati del creditore.
3 In generale, sulla connessione tra residui feudali-assolutisti e peculiarità dello sviluppo sociale e politico-giuridico della Germania alla fine del XIX secolo cfr. Lukacs, La distruzione della ragione, trad. it., Torino, 1960, 46 ss.
4 Per approfondimenti su queste tematiche cfr, se vuoi, Chiarloni, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, rispettivamente, 97 ss; 241 ss.; 240 s.
5Nello stesso senso cfr. Merlin, Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per l’attuazione degli obblighi infungibili nella l. 69/2009, in Riv. dir. proc., 2009, 1159, con severi e condivisibili rilievi.
6 Merlin, Prime note, cit., 1548; Bove, La misura coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 783; Chizzini, Sub art. 614 bis, in Balena-Caponi- Chizzini-Menchini, La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, Torino, 2009, 164; Gambineri, Attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare, in Foro it., 2009, V, 320 ss.
7 Cfr. il mio Aggiornamento alla l. 18 giugno 2009, in Le recenti riforme del processo civile, Bologna, 2009, 18.
8 Si ricordi l’art. 2600 c.c. in materia di concorrenza sleale; gli artt. 18, co. 2, e 28, co. 4 e 5, l. n. 300/270 in materia di tutela del lavoratore; l’art. 140, co. 7, d.lgs. n. 206/2005 in materia di tutela del consumatore; l’art. 156, co. 6, e 342 bis ss. c.c. in materia di rapporti familiari; gli artt. 124 e 131 d.lgs. n. 30/2005 in materia di brevetti e invenzioni industriali. Va ribadito che l’art. 614 bis non troverà applicazione in queste ipotesi, non solo in virtù del principio di specialità, ma soprattutto perché, come giustamente rileva Chizzini, Sub art. 614 bis, cit., 165, «ha già provveduto il legislatrore a selezionare l’interesse da tutelare, come pure il contenuto specifico della tutela da assegnare al creditore».
9 Ritengo pertanto errata l’opinione, emersa in dottrina (v. per tutti Borrè, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Napoli, 1966, 1366, nt. 188), secondo cui esisterebbe un nesso di alternazione esclusiva tra esecuzione per surrogazione ed esecuzione indiretta, nel senso che dove sia prevista la prima, non possa trovare ingresso la seconda e viceversa. Non è vero che il ‘correlato logico’ della figura dell’esecuzione indiretta starebbe nell’infungibilità della prestazione dovuta. Può esistere solo un nesso storico, nel senso che in alcuni ordinamenti, come quello tedesco, misure esecutive indirette sono sopravvissute dove non è possibile l’esecuzione per surrogazione. Ma in altri ordinamenti, come quello francese, le astreintes possono venir comminate anche con riferimento ad obblighi eseguibili per surrogazione.
10 E anche perché i primi provvedimenti riguardano obblighi che non mi sembrano infungibili, ma, semmai, di complessa attuazione o esecuzione forzata. Cfr, ad esempio, Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 14.6.2011, in www.altalex.it, che commina la misura coercitiva di 50 euro per ogni giorno di ritardo nell’attivazione di linee telefoniche.
11 Lo ha giustamente messo in rilievo a suo tempo Proto Pisani, Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, 1109.
12 V. Kelsen, La dottrina pura del diritto, trad. it., Torino, 1966, 14.
13 Contra, nel senso che, in assenza di istanza di astreinte, la condanna ad una prestazione infungibile diviene oggi comunque possibile, a prescindere dalla sua eseguibilità, Zucconi Galli Fonseca, Le novità della riforma in materia di esecuzione forzata, in www.judicium.it, § 4; ugualmente orientato Bove, Brevi riflessioni sui lavori in corso sul riaperto cantiere della giustizia civile, ivi, § 15.
14Ricordiamo peraltro che il concetto di sentenza di condanna come mera «sentenza di prestazione» non sia rimasta a lungo pacifica nella dottrina tedesca. Ben presto i teorici più avvertiti capiscono la necessità di ritagliare all’interno del concetto legislativo che raggruppa fenomeni eterogenei accorpabili solo dalla vaga nota comune del diritto ad una prestazione in capo al vincitore, un concetto scientifico capace di recuperare il nesso che lega indissolubilmente la nozione della condanna all’applicazione della sanzione sia nel linguaggio della teoria generale, sia nell’esperienza storica dello stesso ordinamento tedesco. Sorgono così una serie di teorie, divise dalla tecnica di presentazione, ma accomunate dalla restrizione della qualifica di sentenza di condanna alle sentenze suscettibili di Zwangsvollstreckung, sostantivo sotto il quale l’ottavo libro della ZPO comprende sia l’esecuzione per surrogazione che l’esecuzione indiretta. V., per tutti, gli autorevoli Goldschmidt, Der Prozess als Rechtslage, Berlin, 1925, 116, nt. 638 a; e già molto prima Hellwig, Wesen und subjective Begrenzung der Rechtskraft, Leipzig, 1901, 6.
15 Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, rist. 1960, I, 167.
16 Istituzioni, cit., I, 249.
17 Osservava già l’Attardi, L’interesse ad agire, Padova, 1955, 106, che non è dato comprendere «quale valore abbia … sul piano giuridico ed anche pratico, la sentenza di condanna, quando si tratti di diritti non realizzabili per via di esecuzione forzata, considerata la sentenza in sé e per sé, cioè senza far riferimento a quel momento della tutela del diritto che è rappresentato dalla possibilità della sua tutela forzata, di fronte ad una sentenza di mero accertamento » (corsivo mio).
18 Non nascondo che in dottrina è stata spesso affermata la natura di misura coercitiva dell’ipoteca, dal che si deduce in apparenza senza alcun bisogno di salti mortali, che anche le sentenze di condanna ad una prestazione infungibile non assistite da astreinte riceverebbero correttamente la qualificazione, in quanto assistite da una forma di sanzione. Credo tuttavia di aver a suo tempo dimostrato, in Misure coercitive, cit., 161 ss. l’erroneità della tesi che ravvisa tale caratteristica nell’ipoteca giudiziale, anche se può capitare un uso distorto della trascrizione della garanzia, allo scopo di convincere l’obbligato ad adempiere, mentre la sua funzione è esclusivamente quella di garantire una prelazione al creditore.
19 Così Poto Pisani, Appunti sulla tutela di condanna, cit., 1978, 1154.
20 Cfr. Heck, Begriffsbildung und Interessenjurisprudenz, Tübingen, 1932, 92 e 166 ss. Vale la pena di ricordare che in questo fondamentale lavoro, a pag. 7, Heck sottolineava che il dibattito nella scienza processualcivilistica tedesca, fino ai suoi tempi, si è sempre svolto in adesione rigorosa ai canoni della Begriffsjurisprudenz, senza neppure risentire gli echi del Methodenstreit, che fin dai primi decenni del secolo scorso aveva diviso i civilisti, e anche i teorici generali. Vediamo qui un motivo di riflessione ancora attuale.
21 Contrario il parere di Proto Pisani, Appunti sulla tutela di condanna, cit., 161 ss, dove scrive che «l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale può rivelarsi di estrema utilità pratica specie ove si sia alla presenza di condanne all’adempimento … di condanne dirette a prevenire più che a reprimere la violazione». Ma sostenere che una condanna inibitoria per la quale sia stata prevista la misura coercitiva per ogni successiva violazione sia titolo per iscrivere l’ipoteca urta contro l’irragionevole conseguenza, nei confronti cd. debitore dell’obbligo continuativo di non fare, di vedere vincolati in eterno dalla garanzia i propri immobili, visto che l’obbligo in discorso non è estinguibile con un adempimento puntuale, ma si adempie giorno dopo giorno osservando il dovere di astensione consacrato nella sentenza.
22 In La condanna, in Studi in onore di F. Cammeo, Padova 1933, 13 dell’estratto.
23 Cfr, nello stesso senso, Carratta, L’esecuzione forzata indiretta delle obbligazioni di fare infungibili o di non fare: i limiti delle misure coercitive dell’art. 614 bis c.p.c., in www.treccani.it, 3.
24 In Germania giudici e studiosi sono concordi nel ritenere, in parziale abrogazione del § 888, che la norma non trova applicazione tutte le volte che l’obbligo di fare richiami qualità di ordine artistico o scientifico. Le misure sono applicate, per lo più allorché esista un rapporto tra l’obbligato e l’oggetto della prestazione tale che, piuttosto di obbligazioni infungibili in senso “classico”, si tratti di obbligazioni per le quali la sostituzione nell’adempimento da parte di un terzo sia troppo difficoltosa o complicata, oppure eludibile da comportamenti fraudolenti del debitore. I casi più frequenti sono quelli del rendimento di un conto, dell’esibizione di documenti, della trasmissione di informazioni ai soci di una società, della comunicazione del luogo ove un figlio si trova al coniuge separato non affidatario, dell’apprestamento di accorgimenti tecnici per evitare immissioni. In Francia troviamo, sotto pena di astreinte l’obbligo di fornitura da parte di un imprenditore monopolista; l’uso del passaggio impedito; l’uso della cosa comune; la violazione di diritti della personalità (al nome, all’immagine, alla riservatezza).
25 Lo rileva Merlin, Prime note, cit., 1557, sottolineando l’assurdità della differenziazone tra le due categorie di lavoratori.
26 Ad opera di Proto Pisani, Appunti sulla tutela di condanna, cit., passim.
27 Merlin, Prime note, cit., 1556.
28 Cfr., al riguardo, le osservazioni di Proto Pisani, che parla di «scelta tipicamente classista» in Ancora una legge di riforma a costo zero del processo civile, Appendice alle Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2009, 4. Bove, La misura coercitiva, cit., 784 ritiene la disposizione «irragionevole».
29 Così Merlin, Prime note, cit., 1551.