esempio (essemplo; essempro)
D. usa generalmente la forma ‛ essemplo ' in tutte le sue opere (solo nei due luoghi del Purgatorio e in due luoghi del Paradiso il Petrocchi ha instaurato la forma ‛ essempro ', in quanto si verifica netta alternanza delle due forme all'interno della vulgata antica), con diversi significati, anche particolari.
Più volte il sostantivo è usato nel senso generale di " fatto, episodio, comportamento che si indichi come particolarmente significativo o come modello da tener presente ed eventualmente da imitare o da evitare ". Così in Cv III VIII 21 e dico che qual donna sente per manco la sua biltade biasimare, guardi in questo perfettissimo essemplo; analogamente in III IX 5, IV XXVII 20, Pd I 71 Trasumanar significar ‛ per verba ' / non si poria; però l'essemplo [di Glauco, primo addotto] basti / a cui esperïenza grazia serba (in cui, commenta il Buti, " Ben dice ‛ esemplo ': imperò che esemplo è colore retorico, come dice Tullio "); XVII 140 l'animo di quel ch'ode, non posa / né ferma fede per essempro ch'aia / la sua radice incognita e ascosa con riferimento agli ‛ esempi ' di peccatori puniti che gli sono stati mostrati nell'Inferno e nel Purgatorio. È per altro evidente che qui l'e. ha il valore proprio dell'exemplum della tradizione retorica medievale, inteso cioè come racconto o citazione di fatti ricavati dalle fonti più diverse, prodotti a maggior chiarimento dei fatti esposti nel discorso principale o a convalida di questi: così l'episodio di Glauco è portato a illustrazione, per via analogica, del concetto di trasumanazione, altrimenti incomprensibile; gli ‛ esempi ' ai quali si allude nelle parole di Cacciaguida sono presentati come episodi storici che hanno il valore di documento esemplare delle virtù e dei vizi che D. ha conosciuto nel suo viaggio, ecc.
Due volte nel Convivio è indicato come e. il sole: una volta, ripetendo l'immagine da s. Tommaso e da Alberto Magno (cfr. la nota di Busnelli-Vandelli), in III VII 3 e di ciò sensibile essemplo avere potemo dal sole, cioè della diversa perfezione delle cose secondo che più e meno ricevano in sé la divina bontade; un'altra volta in III XII 7, per indicarlo come solo possibile e. di Dio: Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che 'l sole.
Talvolta è data una valutazione dell'e. o una specificazione: così in Cv III Amor che ne la mente 70 e in XV 14 essemplo d'umiltate (d'umiltà nel secondo luogo); con valutazione positiva in Cv IV XIX 5 con bello e convenevole essemplo, negativa in Pd XVIII 126 tutti svïati dietro al malo essemplo, e in Pg XIX 144, dove però la valutazione negativa è espressa solo indirettamente: pur che la nostra casa / non faccia lei per essempro malvagia. Frequente e varia è anche la fraseologia per indicare la proposizione di un esempio: ‛ dare e. ' (Rime LXXXIX 7, Cv I II 14, IV XXIV 15), ‛ porre e. ' (Cv IV VII 5), ‛ rendere e. ' (III VII 14, IV XIX 3, XX 2). In Pd XIV 105 quella croce lampeggiava Cristo, / sì ch'io non so trovare essempro degno, la locuzione ‛ non trovar e. ' esprime invece il giudizio di perfezione assoluta sull'oggetto del discorso - nel caso, Cristo -, al quale non è possibile trovare un esempio.
Particolarmente nel senso di " immagine cui si attribuisca il valore di modello da seguire o di documento o testimonianza " il sostantivo è usato in Vn XIX 11 50 per essemplo di lei bieltà si prova (analogo valore di " modello ideale " e. ha in Petrarca Rime CLIX 2 " In qual parte del ciel, in qual idea / era l'essempio onde natura tolse / quel bel viso leggiadro...? "; cfr. inoltre un costrutto analogo in una canzone di dubbia attribuzione a Cino da Pistoia, Deo, po' m'hai degnato 53 " per esemplo di me fuggon le genti / Amor ", e in D. stesso, nel luogo citato del Convivio: E guardisi che non li dea di sé essemplo ne l'opera, che sia contrario a le parole de la correzione, IV XXIV 5); in Vn XV 8 ne la seconda [parte] manifesto lo stato del cuore per essemplo del viso; in Rime LXXXIII 111 ché [leggiadria] 'n donar vita è tosta / ... e vertù per essemplo a chi lei piglia; e ancora in Cv III VI 5 e 6, IV XXX 3.
In Pg XXXII 67 come pintor che con essempro pinga, e. ha particolarmente il valore di " modello di un pittore ". Probabilmente un valore analogo di " modello " ha anche in Pd XXVIII 55 udir convienmi ancor come l'essemplo / e l'essemplare non vanno d'un modo (v. FORMA), ma l'interpretazione non è pacifica: il Petrocchi sosterrebbe il valore di " copia " per e. e di " modello " per essemplare (v.). Particolarmente con il valore di " documento ", " testimonianza ", il sostantivo sembra usato in Vn XL 1 quella imagine benedetta la quale lesu Cristo lasciò a noi per essemplo de la sua bellissima figura.
Accezioni o riferimenti particolari: Vn II 10 trapassando molte ,cose le quali si potrebbero trarre de l'essemplo onde nascono queste, in cui e. è propriamente il " libro della memoria "; Cv II IV 5 volsero che... queste [Intelligenze] fossero generatrici de l'altre cose ed essempli, in cui e. vuole indicare " esemplari tipici a cui le specie delle cose sono conformi " (Busnelli-Vandelli); Cv III II 17 Tutte le cose produci da lo superno essemplo, che traduce un passo di Boezio (Cons, phil. III IX 6-8), in cui lo superno essemplo è Dio stesso; Cv III VI 6 ella [la sua donna] è così fatta come l'essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente e, per quella, in tutte l'altre, intendendo l'immagine ideale della umana essenzia che Dio ha in mente, dalla quale derivano le idee che ne hanno tutte le altre menti, umane e angeliche; III XV 13 ‛ qual donna ', cioè quale anima, sente sua biltade biasimare per non parere quale parere si conviene, miri in questo essemplo, con riferimento alla Filosofia, o più in generale alla Sapienza, indicata come esemplare al quale rifarsi.
Dell'exemplum aveva trattato ampiamente Quintiliano (Instit. V XI) a proposito della " dimostrazione ", e aveva compreso nella medesima denominazione sia la ‛ similitudo ' che l' ‛ exemplum ' propriamente detto, tenuti invece distinti da Cicerone. L'e., che appartiene al genere della digressione, può dunque consistere in una narrazione (" res gesta "), o nel semplice accenno a un fatto ben noto, o nella " inductio ", e cioè nell'addurre un esempio maggiore o minore di ciò che s'intende provare, per ottenere vantaggio nella dimostrazione, o nella similitudine, o nella " auctoritas ", cioè nella citazione autorevole. Nelle Arti poetiche medievali l'e. appare catalogato fra le figure di pensiero, come uno dei procedimenti dell'amplificazione. Goffredo di Vinsauf, che insiste sulla " auctoritas " (Poetria nova 1255-1257 " cum nomine certi / auctoris rem, quam dixit, vel quam prius egit, / exemplum pono), indica l'e., trattando della disposizione, come un modo opportuno d'iniziare un componimento (cfr. anche Ars versif. I 9), insegnamento che si riflette nella Commedia.
In D. il genere più frequente di e. è naturalmente la similitudine, alla quale il poeta ricorre spesso per dare un'idea delle incredibili cose della sua singolare esperienza. L'e. mitico, come quello biblico, sono messi quasi sullo stesso piano: E qual colui che si vengiò con li orsi / vide 'l carro d'Elia al dipartire (If XXVI 34) rievoca il racconto biblico della sparizione del profeta per chiarire lo stato di pena dei consiglieri frodolenti, come in Pg XXI 9-10 l'improvvisa apparizione di Cristo è citata (come ne scrive Luca, v. 7) per paragonarle l'apparizione dell'ombra di Stazio. Ma l'improvviso mutamento che si opera nell'animo del poeta, che acquista d'un tratto il coraggio di affrontare il fuoco del settimo girone, è esemplificato col ricordo della favola di Piramo (Pg XXVII 37-39). Qui e altrove la similitudine non si sviluppa in un sia pur breve racconto, limitandosi a indicare gli elementi essenziali della favola: cfr. If XXXI 4-6 (così od'io che solea far la lancia / d'Achille e del suo padre esser cagione / prima di trista e poi di buona mancia), XXXII 130-132 (non altrimenti Tidëo si rose / le tempie a Menalippo), e Pd XXXIII 65 (così al vento ne le foglie levi / si perdea la sentenza di Sibilla). Pur tenuto entro questi limiti, l'e. assume talora i caratteri tipici della digressione, come in If XXVII 7-12, dove l'aneddoto di Falaride include un suo particolare significato morale, sottolineato da una parentesi (e ciò fu dritto), sebbene anch'esso si ricolleghi sottilmente al contesto dell'intero episodio infernale.
Si diffonde invece in una più circostanziata " narratio " il duplice e. di If XXX 1-21, che ricorda la vendetta di Giunone e la tragedia di Ecuba per spiegare la pena dei falsari. I due e. sono messi in evidenza dalla loro posizione iniziale, secondo i dettami retorici, e mirano così anche a dar vigore all'assunto principale, ch'era quello di affermare l'incomparabilità della pena veduta dal poeta con i più gravi episodi mitici di pazzia. Lo stesso avviene in If XXVIII 7-21, che può considerarsi ancora l'inizio di un canto, e che raccoglie, in forma più succinta e non propriamente ‛ narrativa ', due e. storici per dar l'idea, ma un'idea appena, della pena della nona bolgia. Due e. mitici sono ancora accoppiati in If XVII 106-111.
Spesso, come in questi ultimi casi, l'e. viene introdotto da D. per illustrare l'eccezionalità e singolarità della sua esperienza, paragonata con un notevole e pur scarso esempio. Più che una similitudine si ottiene allora una comparazione, assai simile all'" inductio ", privata però del suo carattere propriamente dimostrativo. In Pg XXVIII si susseguono due e. del genere, l'uno (vv. 64-66) inteso a raffigurare l'ineffabile splendore degli occhi di Matelda ricordando quello degli occhi di Venere innamorata, l'altro (vv. 71-75) a misurare iperbolicamente, e un po' ironicamente, il desiderio del poeta di raggiungere l'altra sponda del Lete paragonando il disappunto di Leandro per la larghezza dell'Ellesponto con quello del poeta per i tre metri del fiumicello oltremondano. Ma quest'ultimo e. ne racchiude un altro a mo' di pura digressione, con una sua particolare motivazione morale, che tuttavia non deve considerarsi estranea alla situazione propria dell'intero episodio (Elesponto, là 've passò Serse, / ancora freno a tutti orgogli umani). Un evidente carattere esortativo ha questo genere di e. nel discorso di Folchetto (Pd IX 97-102), il quale si attribuisce un amore più ardente che quelli di Didone, Fillide e Achille. Ma la varietà con cui D. tratta questo schema può vedersi in If XXV 94 ss., in cui una serie di mitiche e incredibili trasformazioni, che egli crede di aver superate nel raccontare la pena dei ladri, è introdotta da una formula diversa dalla più comune comparazione (Taccia Lucano, ecc.).
La vera e propria forma dell'" inductio " compare raramente ed è generalmente sciolta in un'interrogazione retorica (v.): ‛ esempi ' sono in sostanza quelli di Pg XVIII 22-25 (E se io / sovresso Gerïon ti guidai salvo, / che farò ora presso più a Dio?) e di Pd V 97-99 (E se la stella si cambiò e rise, / qual mi fec'io che pur da mia natura / trasmutabile son per tutte guise!), anche se in questi casi l'e. non è tolto dalla tradizione mitologica e storica, ma dalla stessa esperienza del poeta.
L'e. assume talvolta la forma evidente della " commemoratio ", riducendosi alla semplice allusione e variando il modo d'introdurre la similitudine: Nuovo Iasón sarà, di cui si legge / ne' Maccabei (If XIX 85-86); quel foco... / che par surger de la pira / dov'Eteòcle col fratel fu miso (XXVI 54-55); ed esser mi parea là dove fuoro / abbandonati i suoi da Ganimede (Pg IX 22-24); Se t'ammentassi come Meleagro / si consumò al consumar d'un stizzo (XXV 22-23). Né è il caso d'insistere sulle numerose citazioni, le ‛ auctoritates ' che sostengono specie il discorso dottrinale dei trattati, secondo il metodo scientifico medievale. V. anche ASSEMBRARE.