ESILIO (lat. exilium, exsilium, da ex "da" e solum "suolo")
E l'allontanamento del cittadino dal territorio della patria, con carattere di stabilità ancorché temporanea, eseguito mediante costrizione diretta o indiretta e come pena limitativa della libertà personale. Si è compreso nel concetto di esilio l'abbandono volontario della patria, conseguenza della necessità, anche solo opinata, di sottrarsi a persecuzioni o violenze politiche o civili; l'esilio assume allora la denominazione di "volontario" e non è l'equivalente di una pena.
La voce exsilium indicò originariamente, presso i Romani, il volontario allontanamento dalla città con relativa rinuncia alla comunione giuridica già goduta di fronte ai concittadini. In volontario esilio si ritirava anche il reo che prevedesse per il suo reato una possibile condanna nel capo: la sentenza in tal caso lo riconosceva iustum; rientrando nella città abbandonata poteva però essere ucciso. Più tardi l'esilio prese addirittura il luogo della pena di morte; ebbe allora la forma di una interdictio aquae et ignis. Ogni cittadino ebbe per essa divieto di fornire al condannato alimenti e alloggio. La città fu contesa anche al cadavere di lui. Sotto Augusto da quella pena venne poi a distinguersi la deportatio ovvero relegatio, fatta sovente in un'isola, che, togliendo all'esule romano la protezione del ius civile (media capitis deminutio), assegnava al condannato un determinato soggiorno dentro la giurisdizione dei dominî di Roma. Anche la deportatio fu spesso detta exsilium e, ristabilita la pena di morte, fu considerata come la maggior pena dopo di questa, specialmente se perpetua; poteva anche essere inflitta a tempo.
Nel Medioevo l'istituto romano dell'esilio, raffigurato come una deportazione o come un confino, s'incontrò con l'istituto germanico del bannum (v. bando), specialmente nella forma più rigorosa che importava un' assoluta privazione della pace (Friedlosigkeit). Ciascuno poteva impunemente offendere e anche uccidere il bandito che fosse rientrato nei territorî a esso contesi. Chi era colpito da esilio in perpetuo era in fondo un diffidatus ad mortem. E perciò l'esilio spesso si cumulò con la confisca. Si staccava così dal bando che aveva semplicemente scopo di polizia come una misura preventiva di atti criminosi o come un mezzo di coazione all'ubbidienza delle leggi. Finché si ebbe un regnum, anche nell'Italia medievale vi fu la possibilità di una deportazione. Quando il regno si frazionò nei comuni l'esilio riprese la figura di un'espulsione dalla città (eiectio a civitate, expulsio de civitate, forestatio) o di un divieto del territorio della città o del distretto (missio ad praecepta extra civitatis districtum). Dove il territorio era ampio fu pur sempre possibile di avere accanto all'ordine di non abitare in un dato luogo quello di abitare in un luogo lontano da quello conteso (datio finium, confino). L'esilio fu specialmente ravvisato nella prima ipotesi. Col costituirsi dei nuovi stati poté più facilmente risolversi in un'espulsione da tutto il territorio dello stato. Ma si potevano costringere gli altri stati ad accogliere codesti elementi pericolosi per gli stessi rapporti internazionali? Mentre la figura del confino destava minori apprensioni, i giuristi filosofi del sec. XVIII furono generalmente ostili all'esilio. E quando cominciò l'opera di codificazione si ebbe diffìcoltà a fargli posto nella scala delle sanzioni penali.
Bibl.: L. M. Hartmann, De exilio apud Romanos ab initio bellorum civilium usque ad Severi Alexandri principatum, Berlino 1887; Zdekauer, Aquae et ignis interdictio a Siena, in Bollettino storico senese, Siena 1903.
La nozione giuridica dell'esilio è venuta assumendo nel tempo un significato più ampio e generale, così da significare non solo la espulsione da tutto il territorio dello stato, ma anche l'allontanamento in alcune località del territorio nazionale stesso. Nel primo caso l'esilio è generale (e vi corrispondono gl'istituti del bando, della relegazione o deportazione in luoghi d'oltre mare); nel secondo, l'esilio è particolare o locale e può assumere varie forme (confino, divieto di soggiorno) e diversa natura (pena ovvero misura di prevenzione). L'esilio generale è stato quasi completamente abbandonato. Considerato come bando, si è obiettata l'inopportunità di sottrarre il cittadino alla giurisdizione nazionale; come deportazione, vivacissime furono le critiche sin da quando, per il primo, il Beccaria insorse contro l'inutilità di tali provvedimenti, talvolta anche atroci, che non impedivano tuttavia dal di fuori l'operosità criminosa del condannato, la divulgazione delle sue idee politiche, la di lui attività nella nuova residenza, in quanto estrinsecazione di attività sociale ordinaria. Anche l'esilio locale, nel senso di interdizione coattiva della residenza in determinate località, con facoltà di risiedere altrove a proprio piacimento, fu oggetto di critiche. Si disse che esso è pena che ha applicazione ineguale, efficacia scarsa, talvolta irrisoria. Ad esso si andò largamente sostituendo il confino, e cioè l'allontanamento dalla propria residenza con l'obbligo di trasferirla in altro luogo determinato. Tuttavia la utilità di sottrarre il colpevole dai luoghi, ove per la natura del delitto commesso ovvero per particolari condizioni ambientali egli può trovare più facile incentivo a nuovamente delinquere, impone un ritorno all'esilio locale, non più applicato come pena, sibbene come misura di sicurezza diretta a prevenire la facilità e l'occasione di nuovi reati per parte di chi già si è dimostrato pericoloso con la consumazione di un delitto.
Le più recenti legislazioni e i nuovi progetti di codificazione penale vanno quindi sostituendo alle pene dell'esilio particolare (nelle loro diverse denominazioni e aspetti) la misura preventiva dell'interdizione di soggiorno in località determinate dal giudice. In Francia il codice penale (1810) prevede ancora la deportazione e la pena infamante del bando; con legge 29 maggio 1885 fu introdotta la interdiction de séjour. I codici austriaco e tedesco comprendevano tra le pene l'espulsione da un luogo o da una parte dello stato. Tra i più recenti, i codici penali albanese, turco e venezolano prevedono la pena del confino; il progetto di codice penale romeno (1928) la misura di sicurezza dell'interdizione di domicilio in determinate località. Il codice penale spagnolo (1929) prevede, tra le pene, la deportazione, il confino e l'esilio locale.
Il codice penale italiano del 1889 soppresse le pene dell'esilio locale e particolare (già riconosciute dai codici sardo e toscano) per i vizî d'ineguaglianza e d'inefficacia che sono loro proprî. Istituì invece il confino, limitandone tuttavia l'applicazione ad un numero ridottissimo di reati di lieve importanza. Il nuovo codice (1930) non contiene più, tra le pene, alcuna forma di esilio: tra le misure di sicurezza personali ha invece incluso il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più provincie. Questa misura di sicurezza ha lo scopo di sottrarre il colpevole di un delitto agli adescamenti e alle agevolezze nelle imprese criminose che egli tragga da particolari condizioni di ambiente o di luogo. Essa si applica a chi sia condannato per delitto contro la personalità dello stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitto commesso per motivi politici od occasionato da particolari condizioni sociali o morali esistenti in un determinato luogo. L'applicazione non è obbligatoria in tutti i casi di condanna per alcuno dei reati suddetti, bensì è subordinata all'accertamento giudiziale della specifica pericolosità. Si differenzia dalla pena del confino, oltre che per la sua natura amministrativa e per gli scopi di prevenzione specifica che son proprî di tutte le misure di sicurezza in contrapposto alle pene, anche perché, se esso importa il divieto di dimorare nei luoghi stabiliti, ammette invece la libertà di andare in qualsiasi altro luogo. Si differenzia altresì dal confino di polizia, che è preveduto dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 6 novembre 1926, n. 1848, perché questa è misura di polizia che trova causa nella pericolosità sociale generica, non presuppone la consumazione di un delitto, accertata giudizialmente, e importa inoltre imposizione di un soggiorno coattivo in luogo determinato dall'autorità.
Bibl.: S. Longhi, Repressione e prevenzione nel diritto penale attuale, Milano 1910; C. Saltelli e E. Romano, Commento teorico pratico del nuovo codice penale, I, parte 2ª, Roma 1931.