ESIODO (Ησίοδος, Hesiõdus; la forma eolica Αἰσίοδος, dataci da Erodiano, è forse il vero nome del poeta; l'etimologia è molto oscura)
È il poeta più antico della Grecia continentale.
Vita. - Le fonti della biografia del poeta sono l'Agone di Omero ed Esiodo (di cui l'attuale redazione appartiene all'età adrianea, ma il fondo è molto antico), un articolo di Suida, la Vita di Tzetze, oltre alle solite notizie occasionali degli scrittori (in modti particolare, Plutarco e Pausania). Ma, esclusa una sola notizia di Aristotele riguardante la tomba del poeta, il resto è desunto dalle opere stesse attribuitegli, specie dal poema Le opere, o è pura invenzione.
Il padre di E. era di Cuma eolica (Opere, 636), di dove per mare si recò in Beozia, ad Ascra, vicino all'Elicona, "non fuggendo la ricchezza né la prosperità né l'opulenza, ma la funesta povertà". Il nome Δῖος, attribuito al padre da varie fonti, deriva da un grossolano errore d'interpretazione del v. 299 delle Opere, nel quale Perse, il fratello di E., è detto δίον γένος (E. è, dunque, d'origine nobile). Ascra era un "misero borgo", come lo descrive il poeta (Opere, 640) "penoso l'inverno, insopportabile l'estate, ameno non mai". Molto probabilmente E. nacque ad Ascra; ma questo si ricava indirettamente, se ha valore assoluto la notizia del v. 650, dove il poeta dice di aver traversato una sola volta il mare per andare in Eubea. Gli antichi dicono E. in grande maggioranza "Ascreo": basta ricordare Ascraeus senex e Ascraeum... carmen di Virgilio (Ecl., VI, 70 e Georg., II, 170); ma alcuni lo chiamano, con quasi eguale ragione, Cumeo: così Eforo di Cuma, che il patriottismo locale induceva a credere Cumeo anche Omero, e Suida.
Il padre di E., a Cuma, pare che esercitasse il commercio navale (Opere, 534). Ad Ascra ebbe certo delle terre, che alla sua morte lasciò ad E. e all'altro figlio Perse. L'eredità fu causa d'una lite: i "re" di Tespie (cioè i signori che esercitavano il ius non scritto), corrotti (E. li chiama sdegnosamente, nelle Opere, "divoratori di doni"), diedero ragione a Perse. La lite col fratello dové essere l'avvenimento principale della vita di Esiodo, che si deve immaginare molto scarsa di avvenimenti: ne troviamo il riflesso nelle Opere. Quando E. scrive, Perse, già quasi in rovina perché non ha saputo conservare i beni male acquistati, ha minacciato E. di muovergli un nuovo processo: il poeta, rimproverando il fratello per la sua ingiustizia e stoltezza, lo invita a risolvere con le buone la contesa (vv. 35-36). Ma noi non conosciamo i termini della questione.
Che il poeta fosse un rapsodo, un ἀοιδός di mestiere, si ricava dai vv. 654 sgg. delle Opere. In essi, E. racconta d'essere andato una volta in Eubea, a Calcide, dove si celebravano i giouchi funebri in onore di Anfidamante, e d'aver vinto in quell'occasione, nella gara poetica, un tripode che egli consacrò alle muse dell'Elicona. Gli stessi elementi che sono in questo passo ricompaiono nello Agone, ma in esso E. è fatto gareggiare con Omero (la rivalità postuma, simbolica, tra il poeta della pace e il poeta della guerra qui diventa contemporanea), e abbondano i particolari curiosi e romanzeschi. L'Agone è un'elaborazione fantastica del passo esiodeo; dell'autenticità di quest'ultimo non è più lecito dubitare, sebbene Plutarco la negasse. Col passo delle Opere ben s'accorda il proemio della Teogonia, nel quale E. celebra sé stesso poeta, consacrato dalle Muse dell'Elicona. L'Agone deriva dal passo, non viceversa, come parve a critici antichi e moderni.
Valore leggendario hanno le notizie sulla morte del poeta: andato nella Locride Ozolia, sarebbe stato ucciso per vendetta e sepolto in un luogo noto solo agli abitanti di Naupatto. Ma Aristotele, nella Costituzione di Orcomeno (fr. 565, Rose) ci informa che in questa città era la tomba del poeta, e che v'era stata trasportata da Ascra dopo la distruzione del borgo per opera dei Tespiesi. C'era, dunque, rivalità fra Naupatto e Orcomeno: è probabile che a far sorgere le pretese di Naupatto contribuisse il desiderio di riconnettere l'epos Ναυπάκτια a E.; caratteristico è pure che una versione, certo locrese, della leggenda, fa di Stesicoro il figlio di E.
Gli antichi non sapevano nulla del tempo in cui visse E.: essi lo fecero contemporaneo di Omero, o anteriore, o posteriore. Noi non possiamo far altro che stabilire qualche termine ante quem. Il primo che citi E. è Senofane: lo imitano certo Semonide di Amorgo, Archiloco, Alceo, Saffo. Indubbiamente E. è posteriore all'Iliade e all'Odissea: non è affatto provato, come vorrebbe il Bethe, che i raccoglitori della nostra Iliade e della nostra Odissea (si noti che il Bethe li fa scendere fino al sec. VI) conoscessero già E.
Opere. - A E., come ad Omero, gli antichi attribuirono un gran numero di opere. Oltre alla Teogonia, alle Opere, allo Scudo, conservatici dai nostri manoscritti, si attribuivano a E. il Catalogo delle donne, le Eoie, le Grandi Opere, le Grandi Eoie, una Ornitormantia, una Melampodia, un'Astronomia, gli Ammaestramenti di Chirone, un poema epico intitolato Egimio da un antico re dorico, ed altro ancora. L'autenticità di molte di queste opere era contestata o negata; ma, a parte una testimonianza di Pausania (IX, 31,4) che rispecchia l'opinione personale di Prassifane, lo scolaro di Teofrasto, alla quale spesso i moderni hanno dato troppa importanza, gli antichi non dubitarono mai dell'autenticità della Teogonia e del Catalogo, oltre che delle Opere (il solo poema autentico secondo Pausania). Gli studî omerici del Wolf indussero naturalmente i moderni a proporsi il problema della composizione delle Opere e della Teogonia; e così, accanto alla questione omerica, sorse, per impulso specialmente del Lehrs e dei suoi scolari, una questione "esiodea". Fu negata ogni unità nella Teogonia e nelle Opere; queste ultime furono definite "non poema, ma conglomerato di poesie"; e fu negata perfino ogni consistenza storica alla figura di E., e si cercò con infelici tentativi etimologici di ridurre il suo nome a un simbolo ("cantore"), ecc.). Poco seguito trovarono le rare proteste degli unitarî; i più prudenti considerarono esiodee soltanto le Opere, ma anch'esse soltanto fino a un certo punto, perché non rinunziavano a vederci componimenti poetici di origine diversa messi insieme dal raccoglitore E. La critica moderna ha fatto giustizia di molti errori e di molte esagerazioni e ha riconosciuto che la "i questione esiodea" è molto diversa da quella omerica, perché le Opere e la Teogonia sono molto più unitarie dei poemi omerici. Oggi nessuno più mette in dubbio:1. l'unità fondamentale della Teogonia; 2. l'unità delle Opere; 3. l'attribuzione dell'uno e dell'altro poema a un solo poeta, a E. S'intende che non tutto è risolto: i due poemi esiodei restano opere singolari, che dànno luogo a problemi difficilissimi, neppur tutti e in tutto solubili. Né la Teogonia, né le Opere ci sono giunte come E. le scrisse: tra l'altro, l'uno e l'altro poema hanno un epilogo non autentico, sostituito a quello esiodeo. La Teogonia ha subito indubbiamente rimaneggiamenti profondi: in essa bisogna distinguere le aggiunte, le amplificazioni, le doppie redazioni, le interpolazioni vere e proprie. Naturalmente non è sempre possibile distinguere con sicurezza: e non è raro il caso che un critico lodi come poesia "esiodea" un passo che a un altro critico sembra interpolazione infelice d'un ignoto verseggiatore. Assai meno rimaneggiate ci sono giunte le Opere: a parte l'aggiunta finale, che non è per nulla esiodea, non vi sono che semplici interpolazioni, e non sono nemmeno molte. Ma anche le Opere offrono difficoltà gravi: il nesso unitario che le stringe è innegabile, ma spesso i passaggi da un argomento all'altro sono cosi rapidi, che è difficile riconoscerli. Ed è una questione molto dibattuta se la Teogonia, dopo Esiodo, abbia avuto un solo rielaboratore, un Greco d'Asia, come sostengono il Wilamowitz e lo Schwartz, seguendo un'ipotesi di Arturo Meyer, o se si debba ammettere, come ritiene l'editore più recente, il Jacoby, e come pare più probabile, la pluralità degl'interpolatori. Comunque, in molte cose la critica moderna è concorde e ha segnato un reale e innegabile progresso: nel riconoscere l'autenticità e l'unità (meno qualche amplificazione) del proemio della Teogonia, dove si vollero vedere due e perfino tre proemî diversi; nel riconoscere l'autenticità del proemio delle Opere che Aristarco, seguendo Prassifane, negava; nel riconoscere l'autenticità dei vv. 654 segg. delle Opere; nel riconoscere, infine, soltanto nei vv. 901-929 della Teogonia la composizione in strofette di tre versi, scoperta dal Gruppe in essi e dal Gruppe stesso e da altri indebitamente estesa a tutta l'opera, quando si credette di ricostruire la Teogonia "originaria" dividendola con ogni arbitrio in triadi e pentadi ed espungendo tutto quello che rimaneva fuori delle strofe.
La Teogonia. - La Teogonia (Θεογονία) è un poema in 1022 versi, con l'apparenza di un'opera incompiuta: gli ultimi due versi invocano le Muse perché cantino le donne illustri, dovrebbero cioè servir di transizione al Catalogo delle donne. Evidentemente un rapsodo volle congiungere la Teogonia col Catalogo, come si tentò d'unire la fine dell'Iliade col principio d'un'Amazonide; e sono certo un'aggiunta rapsodica anche i versi 964-1020, contenenti un'eroogonia. Nessun critico può far arrivare la Teogonia autentica oltre il verso 963; e forse ha ragione il Jacoby di farla terminare col verso 929: l'epilogo esiodeo si è certo perduto.
La Teogonia è apparentemente una serie di cataloghi interrotta da vari episodî. Dopo aver cantato brevemente l'origine dell'universo, il poeta enumera le generazioni degli dei corrispondenti a tre periodi della storia del mondo: di Urano, di Crono, di Zeus. Le enumerazioni sono interrotte da sei episodî: nascita di Afrodite (versi 188-206), episodio di Stige (versi 383-403), inno a Ecate (versi 411-452), nascita di Zeus (versi 459-506), mito di Prometeo (versi 521-616), Titanomachia (versi 617-885). In realtà la Teogonia ha un'assai stretta unità: essa non vuol essere soltanto un elenco di generazioni divine, ma una storia degli dei dall'origine del mondo all'impero di Zeus. Così gli "episodi" sono soltanto fino a un certo punto episodî: la Titanomachia, p. es., non inizia affatto una seconda parte dcl poema, diversa dalla prima, ma rientra perfettamente nel disegno generale dell'opera, come provano i versi 881-885. Ciò non toglie, s'intende, che alcuni episodî siano aggiunte posteriori, e che spesso siano stati amplificati anche quelli autentici; e proprio per questo l'architettura del poema non si mostra sempre chiara. Così, p. es., un vero ἐμβολιμον è certamente l'inno ad Ecate; e solo la prima parte della Titanomachia (versi 616-719) può dirsi (a prescindere da qualche amplificazione) esiodea: né le descrizioni del Tartaro (versi 720-819), ispirate certo a opere del genere del libro XI dell'Odissea, né il racconto della lotta di Zeus contro Tifeo (versi 820-880) sono autentici. Particolare importanza ha l'ampio proemio alle Muse in 115 versi, un vero e proprio inno che contiene in sé un racconto. Il poeta narra come le Muse "insegnarono un giorno a E. il bel canto mentre pasceva gli agnelli sotto il sacro Elicona" e lo consacrarono poeta perché cantasse "le cose future e le passate" e celebrasse la stirpe degli dei: egli, per volere delle Muse, canterà "la verità", non "menzogne simili alla verità", come pur le Muse sanno cantare. Questo proemio è notevolissimo: per la prima volta un poeta greco parla di sé stesso, mentre la personalità dell'Omerida scompariva tutta davanti al suo canto. Ed è notevole specialmente come E. opponga con piena coscienza la propria poesia che canta la verità quella omerica che cantava le "menzogne simili alla verità". Nella seconda parte del proemio, E., conciliando piuttosto abilmente due tradizioni diverse, celebra le Muse come Eliconiadi e come Olimpie.
Difficilissimo è il problema delle "fonti" di un'opera come la Teogonia. Indubbiamente, F., poeta d'arte, si servì ampiamente e liberamente di Omero, d'inni, di ἱεροὶ λόγοι e di tradizioni d'ogni genere; e così non è difficile trovare in lui tracce di cosmogonie e teogonie più antiche, e non è raro il caso ch'egli voglia conciliare tradizioni contrastanti. Tra la cosmogonia esiodea e quella "orfica" (che noi conosciamo solo frammentariamente e attraverso sviluppi tardi), sono molte le differenze, ma non mancano le somiglianze. Comunque, la Teogonia è un'opera personalissima. Se prima di E. si scrissero teogonie, è difficile pensare ch'esse fossero altro che Cataloghi, semplici genealogie. E. dev'essere stato il primo a osare di connettere con i cataloghi delle genealogie la storia divina del mondo, cioè le vicende dei varî imperi di Urano, di Crono, di Zeus.
Le Opere. - Le Opere ("Εργα è il titolo esiodeo; il poema è citato spesso nei codici "Φργα καὶ ἡμέραι, Opere e giorni, ma i giorni sono un'aggiunta posteriore) sono un poema di 828 versi. Gli ultimi tre versi preparano il passaggio all'Ornitomantia, il poema non conservato che già Apollonio Rodio riconobbe non esiodeo: pruprio come si congiunse la Teogonia al Catalogo. Il calendario (v. 765-825) è un'aggiunta molto antica, forse ancora della fine del sec. VII; un'aggiunta è pure la parte che lo precede, dedicata ai precetti di superstizione (v. 724-764).
Le Opere sono un poema anche più unitario della Teogonia. Esso ha la forma di un lungo ragionamento con nessi rapidi e poco visibili, raccolto intorno a due concetti fondamentali di E.: lavoro e giustizia. I due concetti sono anche profondamente connessi tra loro, perché per E. l'uomo laborioso è giusto, l'uomo ozioso è ingiusto. Tutta l'etica esiodea è fondata su questi due concetti: il poeta vuol essere il maestro degli uomini. I consigli a Perse hanno valore di norme universali, tanto è vero che qualche volta il richiamo a Perse è soltanto un mezzo stilistico per dare unità al poema. Più spesso le invocazioni al fratello segnano i punti di maggiore pathos del poeta, che è sdegnato dell'ingiustizia dello stolto" Perse, del "leggiero" Perse, come tante volte lo chiama, eppure non gli vuol male; e in virtù di Perse ricevono la vita della concretezza le massime morali di E., che non è per nulla mai un arido poeta didascalico. Più che immaginare il poema occasionato dalla lite con Perse, o, peggio ancora, destinato soprattutto a comporre quella lite (in realtà non si riesce a trovare nessuna relazione immediata tra il processo e il poema), bisogna vedere nel poema il ricordo della lite: il processo è l'antecedente psicologico, non l'antecedente pratico e immediato delle Opere.
Nemmeno le Opere è possibile dividere in parti o sezioni diverse, come è stato spesso tentato. Perfino il proemio (che a torto Aristarco espungeva, seguendo Prassifane) è inscindibile dal resto: nei dieci versi di esso il poeta invoca le Muse perché cantino Zeus che tutto può esaltare e abbattere, e invoca Zeus perché gli dia giustizia. E inscindibili sono i miti: così la necessità del lavoro è dimostrata (versi 42-105) dal mito di Prometeo (che presuppone il racconto della Teogonia), perché Zeus rese difficili agli uomini i mezzi di sussistenza subito dopo il primo inganno di Prometeo; a questo mito si lega naturalmente l'altro mito delle cinque età degli uomini (versi 106-201), che mostra anch'esso la necessità del lavoro e della giustizia. Ai miti seguono le esortazioni alla giustizia e il biasimo dell'ingiustizia (versi 202-285), le esortazioni al lavoro e il biasimo dell'ozio (versi 286-341): qui è il centro vero del poema, e qui più appassionatamente parla il poeta. Dopo alcuni consigli di morale e di economia per acquistare e conservare la ricchezza (versi 342-382), che si devono considerare appendice e complemento di quanto è stato già detto (lavoro e giustizia soltanto devono procurare la ricchezza), seguono i precetti sui lavori agricoli e le loro stagioni (versi 383-617), sulla navigazione (che è il secondo modo di procurarsi la ricchezza) e le sue stagioni (versi 618-694). I consigli per il matrimonio (versi 695-705) e per i rapporti con gli amici (versi 706-723) chiudono il poema; questi ultimi precetti sono conclusi dai versi 760-764 (i versi 724-759 con i consigli di superstizione sono interpolati). L'epilogo esiodeo è perduto.
Non è dubbio che le Opere siano state scritte dopo la Teogonia: in esse non mancano vere e proprie allusioni alla Teogonia (così il verso 11 delle Opere allude al verso 225 della Teogonia), e il racconto del mito di Prometeo nelle Opere presuppone la narrazione corrispondente della Teogonia. E sono numerose le affinità di pensiero e d'espressione: la "differenza di stile", su cui i critici si fondavano per negare l'appartenenza dei due poemi allo stesso autore, in parte non esiste, in parte è dovuta a differenza d'argomento: s'intende che il poeta è assai più epico e omerico nelle narrazioni (della Teogonia, ma anche delle Opere stesse) che nelle parti morali e didattiche, e da poeta d'arte qual era, dovette essere conscio egli stesso, almeno fino a un certo punto, di questa diversità.
Lo Scudo. - Lo Scudo (tale è il titolo, non Scudo d'Eracle) è un mediocre poemetto di 480 versi, che già Aristofane di Bisanzio non attribuiva a E. In esso, un rapsodo imita poco felicemente la descrizione omerica dello scudo d'Achille (Iliade, libro XVIII), togliendo i primi 54 versi dalla parte riguardante Alcmena nel Catalogo delle donne (con le parole ἢ οἴη comincia, infatti, lo Scudo) e facendo servire, con poca opportunità, l'eoia Alcmena come introduzione al racconto dell'incontro di Eracle con Cicno e alla descrizione dello scudo di Eracle. I versi 55-56 dovrebbero costituire il legame tra le due parti differentissime per lingua e per stile. La seconda parte (a prescindere dalle interpolazioni e dalle numerose doppie redazioni) è opera d'un solo rapsodo, un Beota, o un Tessalo, che si propone la descrizione dello scudo; tutto il resto (incontro di Eracle con Cicno, combattimento e vittoria di Eracle, nuovo combattimento con Ares che vuol vendicare il figlio morto) è secondario. La descrizione dello scudo è composita: in parte è ispirata all'imitazione dello scudo omerico, in parte, come sembra, a scudi realmente veduti, con rappresentazioni d'animali, scene mitologiche, quadri simbolici, figure d'orrore e di spavento per intimidire l'avversario.
Altre opere. - La più importante delle altre opere attribuite a E. è il Cotalogo delle donne, di cui gli antichi non mettevano in dubbio l'autenticità. Fu diviso, non sappiamo quando, in cinque libri; conteneva una gran quantità di miti originarî delle più diverse regioni della Grecia, riannodati intorno al nome di ciascuna eroina. Ne abbiamo molti frammenti, sia per le numerose citazioni degli autori, sia per il prezioso materiale fornitoci recentemente dai papiri. Molto dibattuta è la difficile questione fino a che punto il Catalogo s'identifichi con l'altra opera intitolata Foie ('Ηοῖαι), dalla formula di transizione ἢ οἴη ("o quale") che serviva per far procedere il racconto da un'eroina all'altra. L'identità di molti argomenti, una glossa di Esichio, una notizia dell'ύπόϑεσις dello Scudo, hanno indotto a concludere o che le Eoie s'identificavano in tutto col Catalogo, oppure, com'è più probabile, che ne costituivano gli ultimi due libri (il quarto e il quinto), che cioè Catalogo ed Eoie fossero originariamente opere diverse, poi riunite in un corpus. Diverse dalle Eoie (e a maggior ragione dal Catalogo) sono certo le Grandi Eoie, per le quali si son fatte molte ipotesi; l'ipotesi più ovvia, per non dire più probabile, è che fossero una redazione ampliata delle Eoie (e cosi le Grandi Opere una redazione più lunga delle Opere). Il Catalogo fu molto imitato dai poeti posteriori, lirici e drammatici, specialmente da Stesicoro e da Pindaro. In particolar modo lo tennero in conto gli Alessandrini, come mostrano Ermesianatte e Fanocle con le loro imitazioni, e anche Callimaco e Apollonio che vi attinsero molti miti. Attribuire il Catalogo a E. non è possibile: ragioni storiche, geografiche, linguistiche e metriche impediscono di ritenere esiodeo il Catalogo; e soprattutto, per quanto ne sappiamo, esso era lontanissimo dal carattere dei poemi autentici.
E. fu apprezzato dai Greci dell'età classica; la Teogonia, se non fu certo la Bibbia dei Greci, fece testo soprattutto per la forte personalità letteraria dell'autore. E la morale di E. precorse quella di Solone e di Eschilo: è assai superiore alla morale di Omero. Ancora più lo apprezzarono i poeti alessandrini, ai quali piaceva lo stile sobrio di E., così lontano dal maestoso splendore dell'epica, e la sua lingua rustica e pittoresca, tutta cose, semplice e piena di finezze nascoste, non rifuggente dai γρῖϕοι. Arato non solo volle imitarne nei Fenomeni la maniera di poetare, ma ne imitò nella vita la pietas; e Callimaco chiamò "esiodea" l'opera di Arato a titolo di grande lode in un epigramma famoso (ep. 27). E lo imitò nelle Georgiche Virgilio, poeta diversissimo da E.: se nel poema virgiliano le res sono spesso (ma fino a un certo punto) esiodee, l'animus è virgiliano in tutto. Mancano in Virgilio la concretezza, l'humour d'E.; e vi si trovano, invece, un sentimento della natura diverso da quello di E. e assai più profondo, un'umanità superiore, un mondo poetico più ricco e più vario, sentito con assai più finezza di sentimento. Il virgiliano O fortunatos nimium, sua si bona nossent, agricolas! è quanto mai lontano dal modo di sentire esiodeo.
Assai meno E. è apprezzato dai moderni, che ripetono troppo spesso il raro assurgit Hesiodus di Quintiliano (che si riferiva all'E. della Teogonia, della quale apprezzava, pare, la Titanomachia soltanto), e lo estendono anche alle Opere. A torto: molti ammirano un frammento bellissimo, forse il più bello, di Alceo, e dimenticano che esso è imitazione, quasi riproduzione letterale, d'un passo di E. Ma fu caro, fra i nostri poeti, specialmente al Leopardi, che ammirò le Opere e tradusse la Titanomachia, e al Pascoli che, ripetendo il detto di Cleomene Spartano, con ben altro significato, lo chiamava "il poeta degli Iloti" ("poeta degli artigiani" l'aveva chiamato Alessandro Magno), e prese lo spunto dai versi dell'Ascreo per qualcuna delle sue più belle Myricae. Molto nuoce ad E. il paragone quasi inevitabile con Omero, mentre è difficile immaginare due poeti più differenti: per intendere E., è stato detto giustamente, bisogna dimenticare Omero. Omero è il poeta del passato eroico e splendido; E. è il poeta del presente aspro e squallido; Omero vuol raccontare, E. vuole insegnare e giovare agli uomini. Anche il sentimento della natura è diverso: più grandioso e maestoso in Omero, più concreto e immediato in E., somigliante solo a quello di Aristofane quando descrive negli Acarnesi o nella Pace i campi sassosi dell'Attica bruciati dal sole. E, se Omero è quasi sempre sereno, E. inclina al pessimismo: non certo a un pessimismo cosmico, filosofico, ma al pessimismo di chi stenta la vita ed è tratto naturalmente a vedere in tutte le cose più il male che il bene.
E. è, in tutta la poesia greca, una figura originalissima, che potrà sembrare perfino poco greca a chi giudica la poesia e l'arte dei Greci secondo schemi determinati (si pensi alla paradossale definizione del Gomperz "un Romano tra i Greci"): in realtà nessun poeta greco sarà come lui così amante del concreto, del preciso, del determinato, così attaccato alle cose assai più che alle parole, così deciso a non spiccare alti voli, in contrapposizione voluta con Omero. Egli, che era un poeta, non un contadino, poté pensare e sentire come un contadino vero: ciò che nessun altro poeta greco riuscirà a fare. Nella sua fede profonda nella giustizia divina, fortemente sentita ed espressa, nel senso aspro della vita concepita come fatica e dolore, nell'ingenuità deliziosa di certi quadretti, è la poesia del poeta delle Opere. E la stessa freschezza anima le parti autentiche della Teogonia: per esempio, la prima parte della Titanomachia e il bellissimo proemio. Caratteristicamente esiodea è la lunga descrizione dell'inverno nelle Opere: il poeta non descrive l'inverno in generale, ma quello della Beozia, terribile per gli uomini e per le bestie; la descrizione è cruda e realistica, ma non evita i particolari graziosi, che rivelano l'artista raffinato. E in tutto il poema si sente l'odore della terra; e la frase breve e secca, la bonomia maliziosa, l'humour contadinesco fanno un'impressione indimenticabile.
Ediz.: Ed. completa: C. Göttling, 3ª ed., Lipsia 1878; A. Rzach, Lipsia 1902 (ed. maior, ed. minor); P. Mazon, Parigi 1928 (collez. Les belles lettres). Ed. delle Opere: A. Kirchhoff, Berlino 1889; P. Mazon, Parigi 1914; U.V. Wilamowitz, Berlino 1928 (ambedue con commento). Ed. della Teogonia: V. Puntoni, Bologna 1917; F. Jacoby, Berlino 1930. Ed. degli Scolii: Th. Gaisford, Poetae minores graeci, II, Lipsia 1823.
Bibl.: A. Meyer, De compositione Theogoniae Hesiodeae, Berlino 1887; V. Puntoni, Sulla formazione del mito di Prometeo nella Teogonia esiodea, Torino 1888; F. Leo, Hesiodea, Gottinga 1894; E. Lisco, Quaestiones Hesiodeae, Gottinga 1903; Ed. Meyer, in Genethliacon für Robert, Berlino 1910, p. 157 segg.; C. Robert, in Mélanges Nicole, Ginevra 1905, p. 461 segg.; F. Jacoby, Introduzione all'ed. citata della Teogonia, Berlino 1930; V. Lapiccirella, Studio sulla Teogonia, Roma 1930; H. Fränkel, Drei Interpretationen aus Hesiod, in Festschrift f. R. Reitzenstein, Lipsia-Berlino 1931.