Esopo (Isopo)
Il nome del celebre favolista greco, che si ritiene vissuto all'inizio del sec. VI a. C. e della cui opera autentica nulla è rimasto, ricorre due volte nell'opera dantesca, con riferimento a due favole a lui attribuite in base a una delle raccolte di ‛ favole esopiche ' diffuse nel Medioevo.
In Cv IV XXX 4, a conferma del principio che è vana cosa rivolgere un discorso elevato a chi è digiuno di filosofia, subito dopo la citazione del passo di Matt. 7, 6 circa l'inutilità di gettare le perle ai porci, si legge: e, come dice Esopo poeta ne la prima Favola, più è prode al gallo uno grano che una margarita, e però questa lascia e quello coglie. Alla favola della rana, che, fingendo di voler aiutare il topo ad attraversare un fossato pieno d'acqua, lo induce a legarsi a un suo piede e a metà del tragitto cerca di farlo affogare, ma è punita dal sopraggiungere di un nibbio che piombando dall'alto li ghermisce ambedue, ricorre il pensiero di D. alla vista della zuffa tra due diavoli della sesta bolgia del cerchio ottavo: Calcabrina si precipita a mettere gli artigli su Alichino, in apparenza per aiutarlo, in realtà per nuocergli, come fa la rana col topo, e ambedue cadono nella pece bollente (If XXII 133 ss.). Il parallelo appare a D. perfetto nelle premesse e nell'esito finale e la favola è brevemente accennata in una terzina: If XXIII 4 ss. Vòlt'era in su la favola d'Isopo / lo mio pensier per la presente rissa, / dov'el parlò de la rana e del topo.
Non è possibile stabilire quale delle raccolte medievali di favole esopiche fosse nota a D., ma l'ipotesi più probabile è che egli conoscesse le due più diffuse: una più antica, in prosa, che risale all'epoca carolingia e va sotto il nome di Romulus (da identificare, secondo il McKenzie, con la raccolta citata dai commentatori di D., e che Benvenuto chiama " parvus libellus ", il Buti " Isopo ", l'Anonimo Fiorentino " Isopetto "), e una più recente, attribuita a Waltherus Anglicus, arcivescovo di Palermo (sec. XII), nota come Liber Aesopi o Esopo latino, riduzione in distici elegiaci di 60 favole del Romulus.
Per quanto in tutt'e due le raccolte la favola del gallo occupi il primo posto, secondo la collocazione citata da D. nel passo del Convivio, è più verosimile che in questo caso la fonte fosse la raccolta in versi, perché non si giustificherebbe altrimenti l'appellativo di poeta attribuito a E.; d'altro canto, con tale supposizione contrasterebbe il fatto che l'autore dei distici, forse per necessità metrica, sostituisce " iaspide " al termine " margarita " usato dal Romulus e ripreso da Dante. Ma è da supporre che D. ritornasse a " margarita " per riguardo al passo di Matteo parafrasato, come si è visto, immediatamente prima della favola esopica (" neque mittatis margaritas vestras ad porcos ").
In realtà, nessuna delle due favole risale a E.: la favola del gallo manca infatti nell'E. greco, mentre è la dodicesima del l. III di Fedro, che era sconosciuto al tempo di D., ma a cui certo attinse il Romulus, il quale si vantava bensì di aver tradotto direttamente dal greco, ma in effetti si era limitato a parafrasare in prosa i senari giambici di Fedro. Quanto all'altra favola, della rana e del topo, essa manca anche in Fedro, e il Romulus dovette attingerla ad altra fonte, legata a sua volta in qualche modo alla Batracomiomachia.
Bibl. - K. McKenzie, Dante's references to Aesop, Boston 1900; E. Mandruzzato, L'apologo ‛ della rana e del topo ' e D. (Inf. XXIII, 4-9), in " Studi d. " XXXIII fasc. II (1955-56) 158-160; G. Padoan, Il " Liber Aesopi " e due episodi dell'Inferno, ibid XLI (1964) 91-102.