ESOPO (Αἴσωος, Aesōpus)
Non par dubbio che E., come divulgatore e inventore di favole nelle quali erano introdotti a parlare gli animali e che contenevano allegorie morali riferibili alla vita umana, sia un personaggio realmente esistito. Similmente è quasi sicuro che egli fosse originario dell'Asia Minore, e che nell'Asia stessa si sia svolta la sua vita e la sua attività. E non è nemmeno improbabile che egli fosse uno schiavo, come afferma la più antica notizia biografica, riferita da Erodoto (II, 134), secondo il quale egli sarebbe vissuto a servizio di un tal Iadmone a Samo. Tutto il resto che si narra di lui non reca tratti sicuramente storici; anzi, si può dire che nell'antica e romanzesca biografia di E. tutta la narrazione è composta di elementi che possono essere favolosi, a cominciare dalla deformità e dalla gibbosità di lui, la quale sembra un'invenzione popolaresca. Nell'antica biografia la vita del protagonista è narrata, a esclusione della nascita e della prima giovinezza, sino alla morte, e comprende tre parti fondamentali:1. E. a Samo, schiavo di un ignoto filosofo di nome Xanto, del quale non sappiamo nulla; col soggiorno a Samo sono intrecciate varie avventure, che hanno relazione con l'Oriente ellenico e con l'Asia Minore, soprattutto con Creso; 2. Viaggi e avventure nel più lontano Oriente, a Babilonia e in Egitto; 3. Viaggi in Grecia, e particolarmente a Delfi, dove E., avendo indispettito gli abitanti con le sue favole, e avendo mostrato di tenerli in dispregio per la loro vita frivola e dedita solo allo sfruttamento dei forestieri che si recavano a consultare l'oracolo, fu falsamente accusato di furto sacrilego e condannato a morte. La seconda parte è un'interpolazione introdotta nel racconto esopiano per imitazione del romanzo orientale di Ahīqār, probabilmente in tempo assai antico, sebbene non esattamente definibile, come del resto non è sempre neppure ben definibile l'età in cui E. sarebbe vissuto. La biografia, infatti, non dà a questo proposito notizie precise; il solo fatto che E. è connesso con Creso e con i sette sapienti, specie con Solone, pare che lo collochi fra il sec. VII e il VI a. C. (Suida ne pone la morte nella 54ª olimpiade: 564-561 a. C.). Certo, come attesta la notizia di Erodoto, la fama di E. e del suo influsso morale e politico doveva essere nota e formata nel mondo greco già nel sec. V, e così si spiega come la biografia in questione, con le sue apparenze romanzesche, potesse formarsi e svilupparsi fra il sec. V e il IV.
Durante tutta la sua vita, a Samo, in Oriente, alla corte di Creso, in Grecia, avrebbe saputo trovar consiglio in tutte le circostanze difficili e dare esatti giudizî su uomini e cose. Ma egli era noto soprattutto per avere avvicinato idealmente certe situazioni reali e attuali della vita umana a particolarità della vita animalesca, inventando degli apologhi, in cui gli animali stessi formulavano opinioni e pensieri, quali avrebbero potuto formularli gli uomini, e tali da poter essere assommati e conclusi in una tesi, che, seguendo l'apologo, ne costituiva la morale. La prima raccolta delle favole esopiche dovette essere fatta nella biografia, giacché in questa si porgeva frequentemente il destro d'inserire quelle favole e quegli apologhi, che concordavano con le varie circostanze della vita di E. Dalla biografia poi le favole furono estratte, ed è naturale che il loro numero si accrescesse di molto con l'andar del tempo, aggiungendosi al nucleo primitivo tutti quei racconti i quali potevano presentare analogie formali e sostanziali con le favole già note, e fornire ricca materia di esercizio nelle scuole dei ragazzi e dei retori. Inoltre, le favole stesse ebbero una larga diffusione fra gli strati più bassi del popolo, rappresentando la vita e la mentalità degli umili, in confronto e in opposizione con la vita e la mentalità aristocratiche, tradizionalmente rappresentate da Omero: ciò che ha una sua notevole conferma nel fatto, che la più antica favola greca a noi nota si trova nelle Opere e giorni di Esiodo (v. 202 segg.). La loro inserzione nella biografia esopiana, a prescindere dalla loro origine quali narrazioni occasionali di commento a cose e fatti determinati, ci assicura che le favole esopiche erano originariamente in prosa: di ciò è del resto testimonianza sicura la notizia data da Socrate nel Fedone (p. 61 b), quando afferma di aver cominciato a tradurre in versi alcune favole esopiche, per obbedire all'ordine divino da lui ricevuto di coltivare la musica.
Naturalmente è impossibile dire quante fossero le tavole davvero inventate ed espresse da E., come pure di sceverare i varî strati sovrappostisi al nucleo primitivo, tanto più mancando in esse allusioni storiche capaci di localizzarle nel tempo e nello spazio, mentre tutte offrono gli stessi caratteri di primitiva semplicità e freschezza, quale è propria soprattutto degli uomini del popolo, non raffinati da una cultura superiore, ma abituati a stare in comunione con la natura e a riflettere su di essa. Tutte queste qualità, che anche oggi hanno una loro attrattiva soprattutto sulle menti dei fanciulli portate a fantasticare, ed esercitano una notevole efficacia sulla loro educazione, poterono dare sviluppo e diffusione alla favola esopica in una società non ancora completamente formata. Perciò le favole si moltiplicarono e si diffusero, aiutando tale diffusione non solo i contatti che i Greci andavano prendendo con l'Oriente più lontano, dove lo sviluppo della favolistica era notevole e antico (ma si conoscevano raccolte di favole anche in Occidente, come le note Sibaritiche), sibbene anche l'ascesa progressiva delle classi più umili. Appunto perché E. divenne quasi il simbolo di questa condizione di cose, la sua biografia si allargò fino a prendere la forma di un ampio romanzo, del quale noi possiamo riconoscere due redazioni principali, se pure dovevano esserne in corso più forme parzialmente diverse, che più tardi furono spesso premesse con maggiore o minore ricchezza di particolari alle singole collezioni di favole. Sembra che la prima raccolta ufficiale di favole estratte dalla biografia, con l'aggiunta di altre che correvano tra il pubblico e nelle scuole, fosse fatta da Demetrio Falereo nel sec. IV a. C.: a questa ne seguirono altre moltissime, intrecciate e complicate tra loro, fino all'età bizantina. La stessa difficoltà si riscontra se si tenta di restituire lo stile originario delle favole; di esso è rimasto soltanto una traccia nel periodare breve, per cui i pensieri e i fatti si giustappongono nella maniera più semplice possibile. Anche il dialetto ionico originale è andato perduto, ed è oggi impresa quasi disperata tentare un'edizione scientifica delle favole esopiche capace di risolverne tutti i problemi di lingua, stile, composizione e stratificazione.
Le favole di E. godettero di larghissima popolarità in tutti i tempi (v. favola): lo provano l'accenno di Erodoto, un'allusione di Aristofane alla morte di E. a Delfi (Vespe, 1446 segg.), il tentalivo di Socrate, di cui si è detto poco sopra. Col tempo le favole andarono crescendo in popolarità e in diffusione; dopo Demetrio Falereo, nell'età alessandrina, Callimaco diede ad alcune di esse forma poetica, convertendole in trimetri giambici scazonti, metro conservato poi da Babrio, il quale, verso il sec. II d. C. (o forse anche più tardi) fece una raccolta di 123 favole. Ma Babrio dimostra sicure derivazioni dall'Italia, dove la favola esopica, come genere e come traduzione di originali greci, fu volgarizzata e accresciuta da Fedro, il cui testo, se si può giudicare da un dubbio accenno di Quintiliano (I, 9,2, dove però Fedro non è nominato), serviva a usi scolastici, a cui si adattò anche la raccolta di Aviano, fra il sec, IV e V d. C. Di favole esopiche si trovano tracce nella diatriba cinica, e naturalmente anche in tutta la filosofia popolareggiante, specialmente in Plutarco e in Luciano, nella nuova sofistica (Nicostrato, nel sec. II d. C.) e nella retorica, con l'uso che ne fecero i proginnasmi scolastici, senza parlare della fortuna varia, ma sempre grandissima, che esse ebbero nella letteratura bizantina e del primo Rinascimento, fino si può dire ai giorni nostri.
Mss., ediz., fonti: Si conoscono oggi circa quattrocento favole esopiche, parecchie delle quali però certamente di origine molto tarda, tramandate da un centinaio di manoscritti sparsi nelle biblioteche di tutta Europa. Il migliore di essi sembra essere il Cod. Paris. suppl. gr. 690 del sec. XII, che è anche il più completo, contenendo 235 favole disposte, come quasi sempre nei mss., in ordine alfabetico. Nell'edizione di E. Chambry (Aesopi fabulae, Parigi, voll. 2,1925-1926) e nell'altra con traduzione dello stesso autore (Parigi 1927) ne sono raccolte 359 Ambedue queste edizioni rappresentano quanto di meglio è stato fatto per la critica del testo esopico, pur essendo lontane dal risolverne i problemi. L'edizione più diffusa è quella del Halm (Lipsia 1852-1911), contenente 426 favole, comprese parecchie babriane e posteriori e in versi; la prima, condotta su basi veramente critiche, è quella del Koraes (Parigi 1810). Del resto le edizioni, specialmente per uso delle scuole, sono numerosissime. È difficile dare un'indicazione sommaria delle fonti antiche, perché accenni a Esopo, alla sua vita e alle sue favole, si trovano in moltissimi autori di tutti i tempi: una notizia sommaria in Suida s. v. Αἴσωπος. La biografia di E. fa capo a due redazioni principali: quella più ampia, rícavata da fonti diverse, è in Westermann, Biographi graeci, Brunswick 1845; l'altra è la cosiddetta Vita Accursiana, premessa da Bonus Accursius all'editio princeps di E. pubblicata a Milano nel 1479, contenente 147 favole tratte dal Cod. Laur. LXXIX, 89. Altre biografie esopiane hanno meno valore: interessanti sono alcuni frammenti venuti in luce in papiri (p. es. Pap. Oxyrh., XV, n. 1800 e XVII, n. 2083).
Bibl.: Della vastissima bibliografia moderna basterà citare l'importantissimo articolo di A. Hausrath, s. v. Fabel, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, coll. 1707-1736, e la trattazione di Schmid-Stählin, Gesch. der gr. Lit., I, i, Monaco 1929, p. 672 segg. Inoltre: M. Marchianò, L'origine della favola greca e i suoi rapporti con le favole orientali, Trani 1900; F. Ribezzo, Nuovi studi sulla origine e la propag. delle favole indo-elleniche, ecc., Napoli 1901.