Esopo
Esopo è una figura immersa nella leggenda: si ignorano le vicende della sua vita, non si sa con esattezza quando sia vissuto (nel 7°-6° secolo a.C.), non si conosce alcun testo certamente suo. Alcuni studiosi hanno perfino dubitato della sua reale esistenza. I Greci ne fecero il protagonista di racconti e storielle in cui brillava la sua acutezza d'ingegno, e soprattutto gli attribuirono la creazione di una ricca raccolta di favole. L'insieme delle favole di Esopo, riscritte e arricchite nel corso dei secoli per opera di altri autori senza nome, arrivò a circa alcune centinaia: tali favole furono spesso imitate o riprese da scrittori successivi, antichi, come Fedro, o moderni
La vita di Esopo è narrata nel Romanzo di Esopo, uno scritto del 1°-2° secolo d.C., il cui primo nucleo risale forse al 5° secolo a.C. poiché il poeta Aristofane e lo storico Erodoto ne conoscevano già alcuni episodi. Nel Romanzo, oltre a numerosi dettagli di fantasia aggiunti per dare piacevolezza al racconto, vengono riportate molte favole, che sarebbero state raccontate dal protagonista in varie occasioni della sua avventurosa esistenza. Secondo il Romanzo, Esopo sarebbe stato uno schiavo frigio, "schifoso, pancione, con la testa sporgente e il naso schiacciato, gobbo, olivastro, bassetto, con i piedi piatti, corto di braccia, storto, labbrone", inizialmente perfino incapace di esprimersi. Questi particolari, certamente inventati , vogliono dare l'idea di un individuo di umilissime condizioni che, nonostante le apparenze, si rivelerà ricco di doti e di ingegno.
Come le sue favole, anche il racconto stesso della vita di Esopo ha un significato morale: non bisogna fidarsi delle apparenze, e non sempre a un bell'aspetto corrispondono intelligenza e onestà. Infatti, il deforme Esopo è in grado, con le sue trovate, di smascherare ‒ senza uso della parola ‒ inganni e sopraffazioni dei suoi compagni di servitù. Esopo riceve allora, per ricompensa divina, il dono della parola e dell'eloquenza; viene poi venduto a un filosofo, il quale resta più volte sorpreso, o beffato, dai suoi consigli. Ottenuta la libertà, si guadagna la fiducia dei cittadini dell'isola di Samo ‒ dove viveva con il suo padrone ‒ consigliandoli in varie occasioni, spesso per mezzo di favole! Ormai libero, Esopo compie lunghi viaggi in Oriente ed è ospite alla corte di vari re, dei quali si conquista il favore con le sue sagge risposte a enigmi e domande di vario genere. Infine, tornato in Grecia, nel santuario di Delfi dedicato al dio Apollo, Esopo viene condannato a morte per aver denunciato la rozza stupidità degli stessi abitanti di Delfi. Le favole che anche in questa occasione egli narrò, per invitare i cittadini a non compiere un tale delitto, non riuscirono a salvarlo. Tuttavia, secondo la leggenda, Apollo ne vendicò la morte con una pestilenza; e la fama della saggezza di Esopo, grazie alle sue favole, si diffuse nel mondo.
Una favola esopica consiste in un brevissimo racconto, presentato in modo chiaro ed essenziale: i protagonisti sono animali, talvolta anche piante (melograno, melo, olivo, rovo) e perfino oggetti inanimati (muro, chiodo) o fenomeni naturali (inverno, primavera). Scopo della favola è illustrare, con il suo svolgimento, le regole che dovrebbero guidare o che guidano (non sempre nel bene) il comportamento degli esseri umani. Il significato morale di ogni favola è chiarissimo, ma a molte di esse, in età successiva, fu aggiunta una frase (una massima) che lo spiega ancora più chiaramente.
Ogni animale incarna e simboleggia una specifica qualità, negativa o positiva, secondo associazioni che sono vive ancor oggi: così la volpe è simbolo dell'astuzia, ma anche dell'avidità e della slealtà; la formica incarna le doti del risparmio e del duro lavoro, la cicala è immagine di chi, per amore dell'ozio e del piacere del momento, si condanna alla miseria futura.
Fra le più celebri favole che i Greci attribuivano a Esopo vi è appunto quella della cicala e delle formiche: "Durante l'inverno, le formiche facevano asciugare il loro grano, bagnato. Ecco che una cicala, affamata, chiedeva loro del cibo. Le formiche le risposero: "Perché durante l'estate non hai raccolto anche tu provviste?". E la cicala rispose: "Non avevo tempo, ma cantavo armoniosamente". Le formiche, allora, scoppiarono a ridere, dicendo: "Ma allora, se d'estate cantavi, ora che è inverno balla!"".
Al racconto segue la massima finale (probabilmente, come si è detto, un'aggiunta successiva), che dichiara il contenuto morale della vicenda: "La favola insegna che non si deve essere trascurati in nessun affare, per non soffrire e non trovarsi nei pericoli". Come in questo caso, spesso le favole esopiche hanno una funzione di ammaestramento morale: vogliono, cioè, mostrare, a chi le legge o ascolta, come bisogna comportarsi: così è nel caso della favola della cicala e delle formiche, che ci ricorda l'importanza dell'impegno e della previdenza.
Molte favole esopiche si limitano a mettere in evidenza la cruda ingiustizia, la prepotenza e l'arroganza che dominano nei rapporti fra gli esseri umani, senza poter proporre una positiva regola di comportamento. Così avviene in Il muro e il chiodo: "Un muro, trafitto violentemente da un chiodo, gli diceva: "Perché mi trafiggi, io che non ti ho fatto nessun torto?". Rispose il chiodo: "Non sono io il colpevole di ciò, ma quello che da dietro mi spinge con violenza"". Manca la massima, ma il senso è chiaro: spesso al mondo chi commette un torto è costretto a farlo dalla violenza di altri, ancora più potenti e prepotenti.
Molte altre favole esopiche ‒ come fa lo stesso Esopo nel Romanzo a lui intitolato ‒ mettono in ridicolo la stupidità, la meschinità d'animo o la sciocca vanità degli uomini: "Una volpe affamata, quando vide alcuni grappoli d'uva che pendevano da un pergolato, voleva afferrarli, ma non ci riusciva. Allora, andandosene via, disse a sé stessa: "Sono grappoli acerbi"" (La volpe e il grappolo d'uva).
In alcuni casi, infine, la favola esopica riflette sulle dure condizioni che regolano l'esistenza umana, come in I Beni e i Mali: "I Beni, poiché erano deboli, furono messi in fuga dai Mali, e si rifugiarono in alto, nel cielo. Chiesero allora a Zeus come dovevano comportarsi verso gli uomini. Egli disse loro di non presentarsi agli uomini tutti insieme, ma uno per uno. Per questo, i Mali si presentano di continuo agli uomini, mentre i Beni giungono a essi più lentamente, dovendo scendere dal cielo".
Anche se le favole esopiche spesso offrono norme di comportamento e condannano i vizi umani (la stupidità, l'avidità, la superbia, l'ingiustizia e la prepotenza del debole contro il forte, del ricco contro il povero), tuttavia esse non propongono quasi mai conclusioni in cui la giustizia prevalga sull'ingiustizia, la bontà d'animo sulla cattiveria. Talora, l'unica arma del debole contro la violenza è l'astuzia oppure la semplice sottomissione. Il fatto che Esopo fosse, secondo la leggenda, uno schiavo, destinato a subire l'ingiustizia della propria condizione, e che fosse riuscito a ottenere libertà e considerazione grazie alla propria astuzia, corrisponde perfettamente alla situazione di molti protagonisti animali delle favole a lui attribuite.
La visione del mondo che emerge da queste favole è, in genere, pessimista ("così va il mondo, male!, ma non ci si può far nulla"), ed è la visione propria della gente del popolo. La gente umile, con le favole attribuite a Esopo, un servo brutto e povero ma tutt'altro che stupido, esprimeva così la propria protesta (rassegnata ma non silenziosa) contro le ingiustizie che era costretta a subire senza poter sperare in un mondo diverso e migliore.