Esperienze sonore nella preistoria: nuove prospettive dell'archeologia musicale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo studio della musica agli albori della civiltà è oggi possibile grazie all’archeologia musicale, una disciplina scientifica sviluppatasi alquanto recentemente che si propone di studiare i reperti materiali musicali delle culture del passato attraverso i metodi archeologici: in un certo senso, la scienza forense della musica antica. I suoi metodi risultano particolarmente efficaci se applicati a periodi remoti come la preistoria, per i quali non esistono testimonianze visive.
Se proviamo ad immaginarci, 2000 anni fa, musicisti e cantori che giungono nelle nostre città dalle zone più remote dell’Impero (come sicuramente deve essere avvenuto), ci viene naturale chiederci cosa possano aver provato i Romani ad ascoltare le loro musiche. Senza dubbio alcune saranno parse esotiche e meravigliose, evocando lo splendore e i misteri di antiche civiltà: Grecia, Persia, Egitto, addirittura l’India. Ma che cosa possono aver pensato i Romani dei musicisti “barbari” che provenivano da luoghi ben più lontani di quelli civilizzati da loro conosciuti, cioè dai deserti africani, dalle pianure boscose del Nord Europa, dalle coste dell’oceano Atlantico e dalle steppe asiatiche? Se mai essi avranno udito tali musiche, devono aver percepito l’eco di qualcosa di completamente diverso: senz’altro qualcosa di primitivo e non raffinato, ma di certo anche in grado di evocare un altro tipo di mistero, più vicino alle proprie radici ancestrali ormai quasi dimenticate. Nella sua opera Germania, lo storico Tacito accenna brevemente a una musica del genere quando narra ai suoi lettori romani le leggende eroiche cantate dalle tribù delle foreste del nord. Queste erano – dice Tacito – le uniche memorie del passato che i Germani avessero mai ritenuto necessario conservare. Egli avrebbe potuto dire la stessa cosa di molti altri popoli e comunità ben più lontane, e certo anche di alcune a lui più vicine: perché, in realtà, quel leggendario passato germanico e celtico è soltanto una delle ultime tappe di quella vasta epoca che noi chiamiamo preistoria, cioè, alla lettera, quella fase della civiltà che precede l’invenzione della scrittura. La preistoria indica, quindi, quella parte di esperienza umana che si colloca in periodi in cui non vi sono documenti o in luoghi lontani dall’uso della scrittura. Una tale mancanza ci pone naturalmente in svantaggio se vogliamo sapere qualcosa di più sulla poesia e le leggende in sé, ma la musica che le accompagnava non è affatto al di fuori della portata degli studi musicologici. In che modo? È senz’altro vero che sarebbero passati altri 1000 anni prima che ovunque in Europa le melodie fossero scritte, come una pratica routinaria, ed è anche vero che ancora oggi alcune forme di musica non sono mai state annotate su carta. Così, in un certo senso, esistono ancora frammenti di musica preistorica attorno a noi! Tuttavia attraverso l’archeologia (cioè lo studio dei resti materiali delle culture del passato) anche la musica può essere recuperata, come un grande fiume che fuoriesce dai recessi più remoti dell’esistenza umana. Una volta concepite come “età oscure”, questi periodi pre e protostorici sono oggi terreni di ricerca privilegiati dagli archeologi musicali, che studiano le origini della musica attraverso le sempre più numerose testimonianze provenienti dagli scavi: le tombe dei musicisti, le loro raffigurazioni mentre fanno musica e, ancora più suggestivi, i fragili resti dei veri strumenti che le loro labbra e le loro dita hanno toccato e fatto risuonare.
Molte cose sono cambiate da quando gli storici europei hanno iniziato a chiedersi come potesse essere la musica del passato. Per lungo tempo essi hanno avuto a disposizione le sole testimonianze della Bibbia e dei poeti classici, assieme alle tradizioni popolari che tendevano ad attribuirne l’invenzione a dèi ed eroi, specie per quel che riguarda i primi strumenti musicali. In seguito, a metà del XIX secolo, i resoconti di viaggio di strane musiche in terre lontanissime hanno incoraggiato una nuova generazione di studiosi nel tentativo di ricostruire le più antiche forme musicali in base a quella che essi credevano potesse essere musica “primitiva”, specie in Asia, Africa e nel Pacifico sud-occidentale. Aggiornato ad oggi, questo approccio (noto come musicologia comparata) è ancora quello che molti ricercatori preferiscono. Ma in anni recenti si è anche assistito alla nascita di quella che può risultare essere una rivoluzione ancora più importante, che emerge dall’enorme incremento degli scavi archeologici: è lo sviluppo dell’archeologia della musica come disciplina a sé. Grazie ai suoi risultati, siamo ora in grado di ricostruire alcuni dei percorsi intrapresi dalla musica per arrivare ad essere quella che noi oggi conosciamo, e di stabilire quanto lungo è stato tale cammino.
I primi ritrovamenti di strumenti musicali antichi vengono già alla luce nel XVIII secolo, spesso scoperti per caso, ma talora anche grazie agli scavi dei primi antiquari. Inizialmente ci sono troppi pochi esempi per poter ricostruire un quadro organico e non è possibile datarli: essi vengono semplicemente messi a confronto con gli strumenti popolari moderni e, anche in questo modo, scarsamente compresi. Lo stesso arco cronologico della preistoria è, in questo periodo, di per sé un mistero complicato dalla teologia. La creazione del mondo viene variamente calcolata, a partire dall’interpretazione letterale delle fonti bibliche, e inquadrata in un lasso di tempo che va dal 3952 a.C. (Beda il Venerabile) al 4004 a.C. (James Ussher). Ma, benché la scienza non abbia ancora alcuna modalità per tentare un approccio a tali questioni, cresce la consapevolezza che alcune cose siano più antiche di altre, se non altro in quanto sepolte più a fondo sottoterra, e che alcune di queste (seppellite molto in profondità) siano senza dubbio molto antiche. Attraverso l’esame della successione di strati nelle rocce sedimentarie (procedimento conosciuto con il termine di “stratigrafia”), la geologia sta già scoprendo che alcune tipologie di fossili animali e vegetali sono non solo più infossate ma anche più primitive, e che molte di esse non si trovano più in vita da nessuna parte della terra. Questa scoperta è stata considerata applicabile tanto ai resti degli antichi esseri umani quanto a quelli dei tipi di utensili – e strumenti musicali – che essi hanno lasciato dopo la loro scomparsa. Gradualmente, a mano a mano che nuove scoperte vengono alla luce, un quadro più chiaro inizia ad emergere. Gli archeologi in Europa scoprono infatti che i resti preistorici incorporano una serie di progressi tecnologici che sembrano definire anche degli archi temporali. Nasce così il “sistema delle tre età”, con le sue tre fasi indicate rispettivamente da utensili e armi in pietra, bronzo e ferro. Delle tre, l’Età della Pietra risulta certamente la più antica, ed essa doveva senz’altro essere molto antica. L’Età del Bronzo sembra includere persone e oggetti contemporanei alle leggende più antiche registrate dai poeti greci. Alcuni ritrovamenti dalla successiva Età del Ferro, invece, possono essere messi in relazione con dati storici, in quanto tali reperti raffigurano, e a volte addirittura nominano, sovrani e magistrati conosciuti anche da documentazione storica di altro genere, in modo particolare nel mondo mediterraneo. Le monete forniscono un aiuto molto prezioso, in quanto forniscono una datazione ad altre tipologie di oggetti ritrovati vicino ad esse, inclusa la ceramica: poiché è risaputo che le mode in campo ceramico cambiano nel tempo, come avviene ancora oggi, tali cambiamenti possono essere datati. Così quando strumenti musicali o immagini di esecuzioni musicali vengono trovati in strati che contengono anche frammenti ceramici, essi naturalmente assumono la loro medesima datazione. Questo è un inizio. Nel corso del tempo diventa possibile attribuire una datazione ad un numero sempre maggiore di oggetti fino a che, nel XX secolo, la scienza si procura finalmente i mezzi per datare anche i depositi più antichi attraverso il sistema della dendrocronologia (cioè la datazione degli anelli di accrescimento degli alberi) e la datazione dei radioisotopi, utilizzando principalmente il radiocarbonio o carbonio 14.
È certamente grazie alla datazione al radiocarbonio e alla dendrologia che siamo oggi in grado di datare in maniera molto accurata antichi strumenti musicali, o materiali organici trovati accanto ad essi. Un esempio recente alquanto rilevante proviene dalla tarda Età del Ferro europea, da un luogo chiamato Trossingen nello stato del Baden-Württemberg, in Germania meridionale. Qui, nell’inverno del 2003-2004, è stata scoperta la tomba di un musicista. Non vi sono documenti che ci possano aiutare nell’interpretazione dei resti, ma essi sono in sé magnificamente conservati. Alla base di un profondo condotto vi è una camera sotterranea che contiene le reliquie di un uomo, probabilmente un capo locale, circondato dai suoi beni e oggetti familiari: una sedia, un tavolo, un letto e altri oggetti in legno, perfettamente mantenuti in quanto immersi nella terra umida. A sorpresa, tra le sue braccia è posta una lira a sei corde! Questo bell’oggetto in legno, decorato con draghi e serpenti in vecchio stile germanico, è anche uno strumento musicale molto raffinato. Dal modo in cui è disposta la decorazione sui suoi bracci, possiamo notare che essa aveva non solo lo scopo di favorire la tastatura delle sue corde “libere”, fatte risuonare liberamente come quelle di un’arpa, ma anche la produzione di armonici o ipertoni ottenuti toccando le corde negli specifici punti indicati dagli ornamenti. Costruendo una replica possiamo ascoltare di nuovo l’incantevole effetto a campana che esso crea. Per quel che riguarda l’intonazione, lo strumento sarà stato probabilmente accordato utilizzando lo stesso tipo di scala musicale che usiamo oggi: Do-Re-Mi-Fa-Sol-La, formata cioè da toni e semitoni. Ciò è confermato più tardi, in età medievale, da un manoscritto che ci fornisce una accordatura simile per una cithara, la parola latina utilizzata probabilmente per indicare lo stesso tipo di strumento. In aggiunta a questo dettaglio, la lucidatura sulla sua superficie ci indica le modalità di impugnatura dello strumento e, ancora una volta, questa testimonianza si accorda con raffigurazioni successive che mostrano strumenti simili mentre sono suonati e accordati. Lire di questo genere avranno accompagnato poesie o, piuttosto, canti, forse secondo quella stessa tradizione menzionata da Tacito. Essi sono ricordati nella più antica epica germanica sopravvissuta fino a noi, solo in seguito messa per iscritto, di cui l’antico poema inglese Beowulf è l’esempio più completo. Molti altri esemplari di strumenti sono stati successivamente ritrovati in tombe datate tra il V e l’VIII secolo. Fonti archeologiche di questo genere risultano talora più accurate di altre tipologie di documenti grazie agli straordinari dettagli che essi, in quanto testimonianze collocate molto esattamente nello spazio e nel tempo, forniscono. La testimonianza degli anelli di accrescimento a Trossingen, ad esempio, colloca la sepoltura con molta precisione nell’anno 579 o 580. L’uomo sembra avere avuto all’incirca 30 o 40 anni quando è stato sepolto e aver trascorso la propria vita in quella stessa zona. Grazie a informazioni così ricche e precise, l’archeologia musicale ha iniziato a emergere dalle pieghe della musicologia, sviluppando le proprie domande e offrendo come risposta le proprie originali intuizioni.
Strumenti importanti nell’Età del Ferro più antica comprendono un’altra lira proveniente dalla Germania settentrionale e diverse raccolte di zufoli provenienti da Inghilterra, Francia, Germania e Svizzera, tutti contemporanei all’Impero romano. Di nuovo, alcuni di questi ritrovamenti ci mostrano in dettaglio come gli strumenti fossero intonati e suonati. Certamente quasi tutto ciò che sappiamo su questi oggetti d’uso quotidiano proviene dai ritrovamenti in sé: la storia purtroppo non ci dice quasi nulla. Probabilmente il più spettacolare tra tutti i rinvenimenti recenti è una scoperta fatta nel 2004 a Tintignac nella Francia centrale. Ancora una volta ritrovati in una fossa (ma questa volta in un deposito rituale, non in una tomba), i reperti comprendono un’intera serie di larghe trombe bronzee, assieme ad altri oggetti metallici elaborati e formalmente alquanto belli, come alcuni elmi. Essi sono datati all’incirca attorno al I secolo a.C. Le trombe sono del tipo che gli antichi scrittori sembrano aver chiamato karnyx, lo strumento preferito dall’élite guerriera celtica. Pur familiari dalle immagini su monete e sculture, i loro dettagli – molti dei quali visti per la prima volta proprio a Tintignac – sono nonostante tutto sorprendenti. Particolarmente degne di note sono le teste di quattro di loro, che hanno la forma di cinghiali selvatici con le ampie fauci spalancate. Gli studiosi conoscevano già queste teste animali (strumenti simili sono mostrati come trofei sulla colonna traiana a Roma e ad Orange, in Francia), ma non avevano idea del fatto che le loro orecchie fossero così larghe o incavate, o che aste tubolari le collegassero alla colonna d’aria all’interno della tromba. L’unico strumento di questo tipo senza orecchie ha la testa a forma di serpente, ed è fino ad ora l’unico esemplare del genere. Altri tipi di trombe, alcune delle quali diritte, altre circolari, sono state trovate in Irlanda e Gran Bretagna (ad esempio a Llyn Cerrig Bach nel Galles). Tutti questi strumenti, belli e abilmente costruiti, mostrano una certa affinità con quelli delle civiltà romana, etrusca e greca più antica, ma sono di produzione locale. Le immagini artistiche dell’Età del Ferro forniscono una testimonianza ulteriore per spiegare l’onnipresenza della musica in questo periodo, nella forma di aerofoni a canna, zufoli e lire. Altri tipi di oggetti, e certamente anche gli stessi edifici, possono aver avuto anche funzioni acustiche. È possibile che alcune armi, specialmente gli scudi, fossero battuti ritmicamente, o suonati in altro modo, in battaglia e in parata. La verosimiglianza di tutto questo può essere mostrata attraverso esperimenti eseguiti con delle repliche. Tuttavia, tali ipotesi si sono mostrate difficili da confermare in base alla sola evidenza archeologica.
Poiché questo approccio “preistorico” non dipende da resoconti scritti, esso può indirizzare la documentazione materiale sulla musica ben oltre i limiti delle culture letterarie. Alcuni tra i suoi oggetti di studio più remoti si trovano nell’altopiano della catena montuosa dell’Altai, al confine tra Siberia e Mongolia. Lì, a Pazyryk e Bashadar, su un suolo perennemente congelato, sono state trovate tombe, datate tra il VI e il III secolo a.C., che contengono i resti di percussioni in legno e strumenti a corda con i loro rivestimenti in pelle e addirittura pezzi di corde ancora attaccate agli strumenti. Ancora una volta, tali ritrovamenti ci costringono a riconoscere la probabile esistenza di narrazioni cantate in culture che parrebbero altrimenti rozze e “primitive”. Il mondo preistorico è evidentemente un luogo a molte “voci”.
Nell’era in cui la Grecia era ancora dominata dalle civiltà cretese e micenea, esse stesse pure isole nell’oceano della preistoria, alcune di queste voci, tra le più singolari e potenti, si possono udire anche nelle lontane terre del nord e dell’ovest. Tra i più grandi e maestosi strumenti musicali mai costruiti vi sono i corni e le trombe scandinave a stampo bronzeo della tarda Età del Bronzo (1100 a.C. ca. - 600 a.C.). Più o meno nello stesso periodo gli artigiani irlandesi fondono strumenti simili che a fatica potremmo ritenere meno degni di nota. Probabilmente gli esempi che sopravvivono sono solo una minuscola percentuale degli strumenti usati nell’Età del Bronzo, conservatisi grazie alla durezza del loro metallo e alle speciali condizioni della sepoltura, mentre la maggior parte del materiale perduto era probabilmente costruito in legno o in corno. Tali strumenti possono essere suonati nei modi più diversi, inclusi energici moduli gestuali ritmici su un profondo suono di bordone e svariate modalità di produzione di armonici, come nelle trombe moderne. Il loro livello di raffinatezza è anche un chiaro esempio di un fenomeno rilevato molte volte nella ricerca archeologica delle origini della musica: il fatto che, alla loro prima comparsa, già molti tipi di strumenti appaiono complessi, invece che semplici o “primitivi”.
Prima dell’Età del Bronzo si intravedono solo scorci occasionali di musica, che sono però sufficienti a mostrare come le sue origini risalgano molto più indietro nel tempo. Tra gli spazi architettonici più interessanti del neolitico o età della pietra nuova (4500-1800 a.C. ca. in Europa occidentale), vi sono templi in pietra e altri monumenti le cui peculiari proprietà acustiche possono aver condizionato il loro impiego, o addirittura la loro progettazione. Esempi particolari includono i complessi rituali di Mnajdra (Malta) e Ġgantija (Gozo), e tombe a camera come quelle di Newgrange in Irlanda.
Tutti gli edifici hanno proprietà acustiche, dalle cattedrali barocche alle cisterne sotterranee, ma alcuni studiosi di preistoria credono che i propositi di questi misteriosi spazi risonanti possano essere spiegati ipotizzando che essi siano stati usati per praticare canti, incantesimi ed esecuzioni ritmico-percussive. Almeno le percussioni sembrano essere sopravvissute nelle forme di numerosi cilindri ceramici neolitici nell’ambito della cosiddetta “cultura dei vasi a imbuto”, in forma breve TRB, dalla parola tedesca Trichterbecherkultur.
La testimonianza più ricca di musica neolitica proviene però, per quel che ne sappiamo, dalla Cina. Le tombe del villaggio di Jiahu, nella provincia di Henan, contengono numerosi aerofoni musicali della cultura Peiligang, costruiti con ossa d’uccello, ognuno dei quali presenta fori per le dita accuratamente collocati al fine di produrre vere e proprie scale musicali. Risalenti a 7000 anni fa, queste scale non sono diverse dalle nostre scale diatoniche Do-Re-Mi ecc.
Da Jiahu possiamo tracciare la preistoria della musica in Cina e nell’estremo Oriente, fino ad arrivare, in epoca storica, alle tombe aristocratiche ricche di musica delle dinastie Shang, Zhou e successive. Ma le origini della musica cinese si devono far risalire ancora più indietro nel tempo, agli albori della stessa umanità. Sembra probabile che i primi americani, che si ritiene si siano mossi dall’Asia orientale più di 10 mila anni fa, abbiano portato con sé strumenti musicali quali canne e trombe. Trombe, zufoli e flauti con fori per le dita erano comuni in tutta l’America già molti secoli prima di Colombo, mentre sembra fossero sconosciuti gli strumenti a corda. I più antichi strumenti a corda sono stati rinvenuti a Ur nel moderno Iran e si datano all’incirca a 5500 anni fa.
Ma la musica non è un’invenzione dei contadini neolitici. Scavi in caverne francesi, tedesche e in altre parti d’Europa hanno recuperato testimonianze addirittura più antiche, alcune delle quali possono essere scientificamente datate. Una caverna risonante nei Pirenei francesi, che conserva tracce pittoriche, ha svelato più di 20 pezzi di ossa d’uccello provenienti da aerofoni musicali, con fino a quattro fori per le dita. Nella Germania del sud, in altre caverne si sono recentemente trovati strumenti simili, che si possono datare addirittura a 36 mila anni fa. Essi sono finemente elaborati (alcuni addirittura fatti d’avorio). A quel tempo gli uomini moderni erano arrivati da poco in Europa, eppure anche in questo caso è da ritenere che, pur così indietro nel tempo, siamo ancora ben lontani dall’“origine” della musica. Alcuni studiosi di preistoria e musicologi attualmente pensano che le abilità relative alla musica siano state tra gli elementi che, unendosi, hanno reso possibile lo sviluppo del pensiero complesso, del linguaggio e della parola, e che hanno quindi trasformato i nostri antenati in esseri umani. È quindi possibile che questo sia avvenuto già due milioni di anni fa, in Africa.