Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nelle scienze naturali del Settecento si assiste a un progressivo spostamento dall’osservazione del grande “libro della natura” alla sperimentazione in laboratorio, che assegna allo sguardo dello scienziato, ormai sempre più mediato dalla tecnica, il compito di svelare i segreti della vita. Il che non va a scapito dell’osservazione sul terreno, che anzi spazia sui nuovi orizzonti aperti dalla crescente globalizzazione e dall’espansione coloniale. Il viaggio naturalistico assume spesso connotazioni politiche e costituisce a volte il preludio a nuovi invii di coloni e armate. Il catalogo del vivente si presenta come l’inventario delle ricchezze e delle meraviglie della natura, accessibili alla scienza e allo sfruttamento coloniale.
Premessa
Le grandi svolte delle scienze della vita tra il XVII e il XVIII secolo sono determinate dalla scoperta di fenomeni eccezionali rivelati da “animalculi” casualmente scoperti e assurti improvvisamente alla notorietà anche tra il pubblico dei non addetti ai lavori, o da piccoli organismi fino ad allora trascurati dalla ricerca scientifica: i protozoi e gli spermatozoi di Leeuwenhoek, i gorgoglioni di Réaumur e Bonnet, i polipi d’acqua dolce di Trembley, le anguillule del grano e gli infusori di Needham, i girini, le salamandre e le lumache di Spallanzani, le rane di Galvani e di Volta. In un’epoca in cui – a causa della semplicità delle tecniche d’indagine, del dilettantismo dei ricercatori e dei vasti ambiti di oscurità che coprono ancora gran parte del mondo vivente – la curiosità del naturalista può essere premiata a ogni passo da nuove insospettate scoperte, ogni minuscolo essere vivente, ogni insetto o mollusco appare un concentrato di meraviglie capaci di aprire visioni inedite della vita.
Lo studio dell’infinitamente piccolo rivela ai naturalisti un mondo sconosciuto, le cui singolarità incrinano sempre più i quadri tradizionali di un scienza che, come quella seicentesca, spesso tendeva a ritrovare dappertutto le stesse leggi, gli stessi meccanismi, le stesse analogie.
In questa nuova atmosfera ideale l’avanguardia della ricerca scientifica viene assunta, nel corso della prima metà del Settecento, dai naturalisti, i quali tendono a privilegiare, rispetto al grande sviluppo dell’anatomia e della fisiologia della seconda metà del Seicento, il metodo dell’osservazione diretta del grande “libro della natura” piuttosto che l’esperimento in laboratorio.
Il problema della generazione spontanea
Nell’ambito della storia naturale, dopo le chiare e puntuali indagini di René-Antoine Réaumur, uno dei padri della teologia naturale e dell’entomologia settecentesca, nel decennio 1740-1750 si segnalano due scoperte sensazionali destinate a mettere in subbuglio il mondo scientifico europeo. Charles Bonnet dimostra la partenogenesi degli afidi delle piante e Abraham Trembley scopre la riproduzione per gemmazione del polipo d’acqua dolce. A queste scoperte si aggiungono, qualche anno dopo, le non meno sorprendenti osservazioni di John Turberville Needham sulle anguillule del grano e sugli infusori che ripropongono nuovamente il tema classico della generazione spontanea.
Proprio intorno all’origine degli infusori si sviluppa una delle più celebri dispute scientifiche del Settecento. Needham sostiene che la nascita di microrganismi all’interno di infusioni sia dovuta alle proprietà di ricomposizione di molecole di materia organica preesistente e in stato di decomposizione. La conclusione è sorretta non tanto e non solo da considerazione di ordine filosofico, ma soprattutto di carattere sperimentale. Dopo aver sterilizzato con calore moderato un’infusione di brodo di vitello arrosto, e aver impedito con la chiusura del recipiente mediante un tappo di sughero la possibilità di inquinamento da parte dell’aria esterna, Needham vede al microscopio che, in breve tempo, il liquido si riempie di un numero incredibile di microrganismi.
Queste forme vitali non possono essere state prodotte da uova presenti nell’infusione o sulle pareti dell’ampolla (sarebbero state distrutte dal calore) o provenienti dall’esterno (l’ampolla è perfettamente chiusa), ma sono veramente l’effetto di una “forza vegetativa” della sostanza organica. L’esperimento viene aspramente criticato da Lazzaro Spallanzani, il quale riesce a dimostrare che, se realizzato secondo procedure tecniche adeguate, esso smentisce ogni possibilità di generazione spontanea.
Spallanzani sterilizza l’infusione mediante una prolungata bollitura e impedisce il contatto con l’ambiente esterno attraverso la sigillatura alla fiamma dei recipienti: il risultato è che, delle 19 ampolle preparate, dopo qualche giorno nessuna contiene traccia di infusori. L’errore di Needham consisteva nella precarietà delle soluzioni adottate per garantire le infusioni da inquinamenti esterni: tappi di sughero e temperatura moderata. Le conclusioni di Spallanzani non sono comunque ultimative. L’ipotesi di uova o spore provenienti dall’ambiente viene sostenuta con forza da molti naturalisti, ma non è dimostrata sperimentalmente (lo sarà solo nell’Ottocento con Louis Pasteur). Un numero consistente di studiosi continua ad esprimere la convinzione che le generazioni spontanee siano un fenomeno che si ripete giornalmente, a dimostrazione delle proprietà della materia di produrre aggregati di molecole sempre più complessi.
La ripetizione in vitro
Nella seconda metà del Settecento le procedure sperimentali assumono sempre più un carattere costitutivo nella ricerca scientifica. Anche in altri settori delle scienze della vita, come la fisiologia del sistema neuromuscolare, della riproduzione e dello sviluppo embrionale, della digestione, della respirazione e in generale del metabolismo, il confronto teorico ruota in modo decisivo sui risultati dell’indagine sperimentale, ormai consapevole dell’imprescindibilità non solo dell’osservazione microscopica e delle vivisezioni, ma anche della necessità di pervenire alla ripetizione in vitro delle funzioni organiche. Si pensi alle esperienze di Giambattista Beccaria e di Leopoldo Caldani, tendenti a verificare la possibilità di stimolare direttamente i muscoli di un galletto o di un paziente paralitico con le scariche elettriche della macchina elettrostatica; agli esperimenti di Galvani e di Volta, che provocano reazioni contrattili identiche a quelle normali nelle rane scorticate e perfino in pezzi lacerati di muscoli, anche se il primo le interpreta come effetto di un’elettricità interna all’organismo, il secondo come effetto del passaggio nell’animale di una corrente elettrica di origine fisica; ai non meno mirabili tentativi di Spallanzani di eseguire l’inseminazione artificiale e la partenogenesi negli anfibi e nei mammiferi, oppure di prelevare succo gastrico dal proprio stomaco per verificare la natura dei processi digestivi al di fuori dell’organismo; alle ricerche pionieristiche di Joseph Priestley, Jan Ingenhousz, Antoine-Laurent Lavoisier e dello stesso Spallanzani sull’azione della luce solare nella fotosintesi, sull’assorbimento di ossigeno a livello polmonare e tissutale, sugli scambi gassosi che regolano la produzione del calore animale.
In tutti questi casi le conquiste a cui pervengono medici e biologi, grazie alla sistematica integrazione delle scienze della vita con le indagini fisico-chimiche, risultano decisive e costituiscono un punto di riferimento essenziale per la scienza dell’Ottocento.