ESPIAZIONE (dal lat. expiatio; cfr. Cic., "De harusp. resp., X, 21 diis iratis expiatio debetur" e il gr. ἁγνισμός)
È il placare la divinità offesa dalla colpa con atti, riti, cerimonie, e specialmente con sacrifizî.
Nel dogma cristiano indica anzitutto l'atto compiuto dal Redentore, con la sua morte, rinnovantesi nella messa, opportunamente chiamato sacrifizio di espiazione, in quanto Gesù Cristo ha realmente e giuridicamente distrutto il peccato degli uomini, e propiziata la divinità, patendo e morendo per essi, senza per questo esimerli dall'unirsi a lui, nel portare il loro contributo di pene e buone opere, le quali, appunto per l'unione al suo sacrifizio, hanno anch'esse valore di espiazione. In tal modo l'espiazione è un aspetto del dogma della Redenzione (v.).
Nella Volgata si chiama giorno di espiazione, sacrifizio di espiazione, quello che nell'originale ebraico è detto kippùr, variamente reso dai LXX, ἁγιάζειν, ἐξιλάζεσϑαι (cfr. Esodo, XXIX, 36; Levit., XVI, 30), vale a dire la festa e il rito del decimo giorno di Tishri (settembre-ottobre), ove si sacrificava un capro (v. capro espiatorio), e se ne inviava un altro nel deserto. Il kippùr fu interpretato dal cristianesimo come tipo dell'espiazione operata da Gesù, predetta specialmente in Isaia, LIII, nel Servo di Iahvè carico di percosse per le iniquità umane, applicata a Gesù stesso (Atti, VIII, 32-35; I Pietro, II, 22-24), e da S. Paolo collegata con l'idea della solidarietà che lega tra loro i figli del riscatto in Cristo, novello Adamo (I Cor., XV, 22, 45; Rom., V, 12-21). S. Tommaso (Sum. theol., III, q. 48, a. 2) spiega che il Redentore innocente paga per gli uomini rei, dei quali, per la sua incarnazione, è rappresentante nato, a lui legati come membra col capo. Origene già prima aveva sintetizzato il dogma con la frase: entrato nel mondo il peccato, occorreva un'espiazione per mezzo d'una vittima, e questa non poteva essere che l'Agnello, che toglie i peccati del mondo (In Num. hom. XXIV,1; in Patr. gr., XII, coll. 756, 757).
Bibl.: A. Médebielle, L'expiation dans l'Ancien et le Nouveau Testament, Roma 1924; A. Vitti, Christus Adam, Roma 1926; E. Hugon, Le mystère de la Rédention, 5ª ed., Parigi 1927.
Presso i popoli primitivi i riti espiatorî, cioè di purificazione, sono fondati sul principio che ogni impurità o malanno è dovuta a sortilegio e che quindi purificare significa neutralizzare il sortilegio, guarire. Questi riti possono essere collettivi o individuali. I primi mirano a neutralizzare un malo influsso che ha colpito tutto il gruppo: morte del capo, carestie, siccità, epidemie, fenomeni meteorologici speciali (eclisse, ecc.). Riti e formule in questo caso esprimono altresì il dolore e lo sdegno del gruppo stesso per la turbata economia della sua vita. I riti individuali sono diretti a neutralizzare i mali influssi derivanti dalle cause accidentali più svariate: contatti funerarî, sessuali, di luoghi (fulminati o per altra causa funesti), di sangue (da ferita, da omicidio o mestruale); violazioni d'interdizioni sacre (tabu), ecc. In tutti questi casi l'individuo, il più sovente mediante l'opera del mago, neutralizza il malo influsso mediante contro-incantesimi che mirano o ad annullarlo nella sua sede stessa, o a riprodurlo nella persona dell'offensore (legge del taglione).
I mezzi di espiazione o purificazione sono:1. l'acqua, il fuoco (e il fumo), il sangue di persone giovani e valide, sostituito talora dall'ocra rossa, ecc.; 2. l'estrazione del malo influsso, materializzato in una petruzza, una scheggia di legno o di osso, ecc., che si ritiene essere stata in contatto con la fonte dell'impurità o della malattia, oggetti che il mago dopo frizioni e massaggi estrae dal corpo del paziente; 3. l'espulsione del male, obiettivato nella parola, mediante la confessione; 4. la trasmissione del male in una vittima. Tutti questi riti, specialmente nei casi più gravi, sono accompagnati da un periodo più o meno lungo di pratiche ascetiche e penitenziali (digiuno, astinenza sessuale, flagellazioni, ecc.) che valgono insieme a provocare ed esprimere lo stato di contrizione dell'individuo o del gruppo (v. confessione).
Bibl.: L. Lévy-Bruhl, Le surnaturel et la nature dans la mentalité primitive, Parigi 1931.