Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo la straordinaria espansione cinquecentesca, l’attività di scoperta e di esplorazione degli Europei subisce un rallentamento, ma non si arresta. Viaggiatori, esploratori e missionari del Seicento si dedicano alla ricerca di nuove rotte (il passaggio a nord-ovest e a nord-est) e al perfezionamento delle conoscenze dei nuovi spazi oceanici e continentali.
Esploratori, missionari e viaggiatori
Dopo la vertiginosa dilatazione dello spazio controllato dagli Europei nel corso del Cinquecento, nel Seicento sembra verificarsi se non proprio una battuta d’arresto, quanto meno un rallentamento. Non vi sono conquiste di grande rilievo. L’attività di esplorazione tuttavia non si arresta e la conoscenza che l’Europa ha del resto del mondo si amplia e si perfeziona. È proprio all’alba del Seicento che viene scoperto l’ultimo continente abitato ancora ignoto, l’Australia, novissima terra. Ma anche in Asia, Africa, America settentrionale e meridionale, navigatori ed esploratori europei aggiungono molte tessere al mosaico delle conoscenze geografiche disponibili.
Nel Quattro e Cinquecento Portoghesi e Spagnoli erano stati la punta di lancia dell’esplorazione di nuovi e vecchi mondi. Nel Seicento il primato passa ai navigatori e agli esploratori dei paesi nordici e atlantici, che anche sotto questo aspetto rivelano il loro nuovo dinamismo. Ma se cambiano i protagonisti, non cambiano in fondo le motivazioni, che restano quelle dei secoli precedenti, anche se la gamma di prodotti più o meno preziosi di cui si va in cerca si amplia un po’. Oltre all’oro e alle spezie, subentrano le pellicce, l’avorio, i legni pregiati, i coloranti. Raramente questi viaggi si pongono in primo luogo finalità scientifiche e conoscitive.
E poi vi sono naturalmente le motivazioni religiose, la volontà di diffondere il cristianesimo, nelle sue varie e concorrenti declinazioni. Ancora più che nel Cinquecento, nel Seicento i missionari dei vari ordini e confessioni danno un contributo inestimabile non tanto nell’ampliamento del sapere propriamente geografico, ma in quello della conoscenza delle culture, delle lingue, delle religioni extraeuropee.
Esploratori e missionari sono la punta avanzata dell’espansione europea, ma alle loro spalle sopraggiungono sempre più numerosi i mercanti o anche i semplici viaggiatori. Uomini ai quali non si debbono scoperte decisive o studi eruditi ma che spesso lasciano resoconti di grande interesse che diffondono in Europa informazioni su popoli e costumi remoti. Resoconti che contribuiscono a rendere questi mondi in qualche modo familiari agli Europei ma non per questo meno esotici.
L’avventura del passaggio a nord-ovest (e a nord-est)
La ricerca del cosiddetto “passaggio a nord-ovest”, ovvero un collegamento fra Atlantico e Pacifico che consenta di raggiungere l’Asia orientale passando a nord del continente americano, non è in fondo nient’altro che il vecchio progetto di Colombo aggiornato tenendo conto dell’esistenza del Nuovo Mondo americano. In questa ricerca si impegnano particolarmente gli Europei del nord-ovest, meglio posizionati geograficamente e tagliati fuori, almeno all’inizio, dalle rotte controllate dagli Iberici.
Nel 1606, l’inglese Henry Hudson, con una piccola imbarcazione di meno di 100 tonnellate di stazza, l’ Hopewell, compie il primo tentativo seguendo verso nord la costa orientale della Groenlandia alla ricerca di un passaggio che non trova. Scopre però le isole Spitzberg e, forse, Jan Mayen. Due anni dopo, sempre su incarico della Muscovy Company, Hudson si rimette alla ricerca di una rotta artica, ma nella direzione opposta, verso est, passando a nord della Russia. Arrivati alla Nuova Zemlja, gli Inglesi devono constatare che i ghiacci sbarrano il passo anche d’estate e tornano indietro. Nel 1609 Hudson, questa volta ingaggiato dagli Olandesi e sempre alla ricerca di un passaggio verso il Pacifico, esplora la costa orientale degli odierni Stati Uniti e parte del corso del fiume che prenderà il suo nome, l’Hudson. L’ultimo viaggio, durante il quale, abbandonato dal suo equipaggio, trova la morte, lo porta, nel 1611, fino alla grande baia di cui prende possesso per conto dell’Inghilterra e che porterà in seguito il suo nome. Qualche anno più tardi William Baffin attraversa lo stretto di Davis e giunge nel mare, poi denominato di Baffin, costeggiando l’isola omonima.
Inglesi e Olandesi non sono i soli a interessarsi dell’elusivo passaggio a nord-ovest. Nel 1619 il norvegese Jens Munk, su incarico della corona danese, si avventura nelle stesse acque, anch’egli senza successo. La via scelta dal francese René Robert Cavelier, signore di La Salle, è in parte diversa. La Salle costruisce ex novo una nave sui Grandi Laghi nella speranza di trovare una via d’acqua che li colleghi all’oceano Pacifico.
Per quanto riguarda il loro obiettivo finale, questi viaggi – e vari altri – si dimostrano fallimentari. A causa della presenza dei ghiacci, il passaggio a nord-ovest, in teoria possibile attraverso le isole a nord del Canada, è al di là delle possibilità tecniche delle navi dell’epoca. Queste esplorazioni comunque forniscono preziose informazioni, immediatamente recepite dalla cartografia, sulla conformazione delle coste dei mari artici.
Francesi e spagnoli nelle Americhe e nel Pacifico
Il contributo francese all’esplorazione – e alla colonizzazione – dell’America settentrionale è legato soprattutto a due nomi, quelli di Samuel de Champlain e del già citato René Robert Cavelier de La Salle.
Champlain, oltre a essere l’organizzatore della colonia francese e de facto il governatore della Nuova Francia, intraprende numerose spedizioni in direzione della baia di Hudson e della regione dei Grandi Laghi, riportando i risultati delle sue spedizioni in importanti relazioni di viaggio, come quella pubblicata a Parigi nel 1632con il titolo Les voyages de la Nouvelle France occidentale dicte Canada, faits par Champlain.
La Nuova Francia è anche il punto di partenza per l’esplorazione dei bacini dei fiumi Mississippi, Ohio e Missouri. Il protagonista è in questo caso René Cavelier, di origini normanne. Dopo aver approfondito la conoscenza della regione dei Grandi Laghi e aver cercato a sua volta una via per il passaggio a nord-ovest, La Salle intraprende nel 1680 la lunga discesa del corso del Mississippi che, attraverso tutto il continente americano, lo porta fino al Golfo del Messico. La Salle prende possesso di questi immensi spazi in nome della Francia, ribattezzandoli Louisiana in onore di Luigi XIV, il quale peraltro non mostra eccessivo interesse per la nuova acquisizione. In occasione di un ultimo viaggio nel 1687 La Salle viene ucciso nel territorio dell’odierno Texas dai suoi stessi uomini.
Robert Knox
Relazione dall’isola di Ceylon
Il popolo è suddiviso in diverse caste, ovvero gradi di qualità, che non dipendono dalla ricchezza o dalle cariche conferite dal re, bensì dalla filiazione e dal sangue. Qualunque onore è ereditario di generazione in generazione. Essi non tollerano di contrarre matrimonio, né di bere o mangiare con gente di casta inferiore (...) La ricchezza non potrebbe mai persuaderli a sposarsi con gente che possa contaminare l’onore della propria famiglia, che stimano più della vita stessa.
Un contributo non trascurabile all’esplorazione delle grandi pianure degli attuali Stati Uniti e della regione delle Montagne Rocciose viene anche dagli Spagnoli, a partire dal Messico. Juan de Oñate, governatore del Nuovo Messico, ad esempio, promuove diverse spedizioni sia nelle pianure centrali che nei territori degli attuali Stati della California e del Colorado. Anche l’alto Vicereame spagnolo, quello meridionale del Perù, è il punto di partenza di nuovi viaggi di esplorazione, diretti però verso il Pacifico. Nel 1605 Pedro Fernandez de Quiros e Luis de Torres, salpano dal porto di Callao, in Perù, e percorrono il Pacifico meridionale, toccando Tahiti, Samoa, le Nuove Ebridi.
Terra novissima australis
La spedizione di Quiros e Torres ha come obiettivo anche la ricerca di un nuovo continente australe, di cui si sospetta l’esistenza nel Pacifico meridionale. I due esploratori spagnoli sfiorano in effetti quella che sarà poi chiamata Australia, senza tuttavia raggiungerla. Il merito della scoperta dell’ultimo continente ancora ignoto agli Europei è quindi giustamente attribuito agli Olandesi, anche se, come nel caso dell’America, la “scoperta” dell’Australia è più un processo che un evento ed è stata un’impresa collettiva.
Il primo a toccare le coste australiane è comunque Willem Janszoon, che, nel 1606, giunge probabilmente nell’attuale Queensland. Janszoon, che compie un altro viaggio nel 1618, non si rende conto della natura e delle dimensioni delle terre nelle quali si è imbattuto. Negli stessi anni altri navigatori olandesi, come Dick Hartog e Frederick de Houtman, raggiungono l’Australia occidentale e ne esplorano e cartografano le coste. Nel 1642-44 un altro olandese, Abel Tasman, sempre al servizio della Compagnia delle Indie orientali, esplora un lungo tratto della costa nord-occidentale australiana e aggiunge alle conoscenze europee la Nuova Zelanda e l’isola che prenderà appunto il nome di Tasmania. Nel frattempo altri due navigatori olandesi, Jacob Le Maire e Willem Schouten, proprio per aggirare il monopolio della Compagnia, cercano una rotta diversa per raggiungere le terre australi. Salpati dall’Olanda nel 1615, facendo rotta verso sud-ovest doppiano il Capo Horn e attraversano il Pacifico meridionale per arrivare poi alle Molucche. Nel corso della lunga navigazione scoprono ed esplorano vari arcipelaghi, tra i quali Tonga. Al progressivo sviluppo delle conoscenze sull’Australia contribuiscono anche gli Inglesi. Nel 1688, ad esempio, William Dampier, piantatore, pirata, scienziato ed esploratore, percorre le coste nord-occidentali del continente.
Nonostante i numerosi viaggi tuttavia, la Novissima terra australis, nel corso del Seicento è solo sfiorata dagli Europei che non sembrano trovarvi motivi d’interesse. Poco popolata, apparentemente priva di materie prime o prodotti interessanti, l’Australia sarà lasciata sostanzialmente a se stessa fino al secolo successivo.
I viaggi dei missionari
Tra i viaggiatori europei, un posto a parte e di rilievo meritano i missionari, soprattutto i gesuiti portoghesi e spagnoli, ma non solo, che operano in Asia, e quelli francesi nelle Americhe.
Se la via d’accesso principale alla Cina rimane il mare, i viaggi compiuti da Gesuiti di varie nazioni provenienti dall’India attraverso l’Asia centrale e il Tibet contribuiscono notevolmente alla scoperta, o riscoperta di quelle regioni. Nel 1603 il laico gesuita portoghese Bento De Goes parte da Agra, residenza degli imperatori Moghul, per la Cina, passando per Afghanistan e Turkenstan, dove muore nel 1607.
Importantissimo il contributo del gesuita portoghese Antonio de Andrade. Missionario in India, nel 1624 de Andrade intraprende un’avventurosa attraversata dell’Himalaya che lo porta nel regno del Tibet. Qui il gesuita stabilisce una prima missione, che ha un certo successo, almeno fino all’invasione del Tibet da parte del sovrano del Ladakh, ostile ai cristiani. Nel frattempo de Andrade redige una descrizione del Tibet che apre all’Europa la conoscenza del buddismo tibetano. L’itinerario attraverso il Tibet è scelto anche dai padri Estevão Cacella e João Cabral. Sono i primi Europei a penetrare in Bhutan e proseguono per il Tibet, dove Cacella muore nel 1627, prima di aver raggiunto la Cina. La sua missione viene proseguita dal confratello che, dopo avere raggiunto Pechino, farà ritorno in India. Altri gesuiti compiono invece il percorso inverso, dalla Cina verso l’India. È il caso dei padri Grüber e D’Orville che passano per Lhasa, capitale del Tibet, proseguono per Katmandu, Patna, Benares e arrivano ad Agra, dove D’Orville muore nel 1662.
I padri gesuiti furono particolarmente attivi anche nella Nuova Francia e in Louisiana, dove il loro approccio al problema dell’evangelizzazione ricorda per molti aspetti quello rispettoso delle culture locali adottato in Asia, più che quello intransigente seguito nell’America spagnola. Alcuni gesuiti, come Jacques Marquette, danno anche un contributo di primo piano alla conoscenza del continente americano, percorrendo e fondando missioni e insediamenti dalla regione dei Grandi Laghi al Golfo del Messico.
Viaggiatori e mercanti
La conoscenza che gli Europei del Seicento hanno di altre terre, altri popoli e altre civiltà non progredisce solo per merito di quelli che potremmo chiamare i professionisti dell’incontro con l’altro, esploratori e missionari. Importantissimo è l’apporto di molti viaggiatori comuni che per diverse ragioni percorrono Paesi lontani e riportano in lettere e memorie la loro esperienza.
In certi casi si tratta di mercanti, come il francese Jean-Baptiste Tavernier, che racconta i suoi Sei viaggi in Turchia e in Persia (1679), o come l’italiano Francesco Carletti che in una lettera a Ferdinando de’ Medici espone i suoi Ragionamenti sopra le cose vedute ne’ viaggi dell’Indie occidentali e d’altri paesi ; altri sono turisti come Jean Thévenot che negli anni ’50 del secolo compie un Grand Tour nel vicino Oriente ottomano. Singolare è la vicenda dell’inglese Robert Knox, una delle figure cui si ispira Daniel Defoe per il suo Robinson Crusoe : non ancora ventenne, egli naufraga sulle coste di Ceylon e vive per un decennio nel Regno di Kandy (sull’isola di Ceylon) in stato di semiprigionia.
Se lo sguardo di questi viaggiatori è ancora fortemente etnocentrico, ciò non impedisce loro una notevole precisione etnografica nella descrizione degli aspetti più significativi delle società extraeuropee (come il sistema delle caste in India). Sono pronti a rinnegare e correggere i preconcetti così diffusi tra i loro compatrioti, come fa Thévenot a proposito dei Turchi in un momento in cui l’Impero ottomano appare ancora come una minaccia incombente sull’Europa cristiana.
A un altro livello, l’esperienza della diversità culturale non manca di influenzare profondamente la cultura europea, impegnata nel Seicento in un profondo rinnovamento del sapere etico e politico. Proprio nel Seicento infatti la sfida che la mirabilis varietas morum delle civiltà extraeuropee, più o meno evolute, pone alla riflessione filosofica, riceve le sue risposte più significative.
Questa sfida alla credenza nel consenso universale sulle norme morali trova la sua espressione più radicale negli approdi scettici e relativistici del libertinismo erudito che, sulla scia di Montaigne, si appella alla molteplicità dei costumi e delle culture per mettere in discussione l’idea di una legge morale naturale e universale.