Vedi ESPLORAZIONE ARCHEOLOGICA dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
ESPLORAZIONE ARCHEOLOGICA
In questo articolo si espongono i principî di metodo che vengono applicati nella e. archeologica. Per la storia delle esplorazioni e delle scoperte nell'area greco-romana si veda l'articolo archeologia. Gli articoli dedicati alle singole grandi civiltà artistiche, all'infuori di quella greco-romana, contengono anche indicazioni sulla storia delle scoperte relative. Si vedano anche le voci egittologia, etruscheria, e la voce cronologia e cronologici sistemi nei suoi singoli paragrafi.
Il presente articolo è suddiviso come segue: 1. Esplorazione in strati preistorici. 2. Esplorazione in ambiente greco-romano. 3. Esplorazione nel Vicino Oriente. A) Mesopotamia, Egitto. B) I papiri greci. 4. Esplorazione aerea. S. Esplorazione subacquea. 6. Metodo del radio-carbonio.
1. Esplorazione in strati preistorici. - È noto come l'unica fonte per la ricostruzione storica dell'umano progresso nel lungo periodo di tempo che va dal primo apparire dell'uomo sulla terra fino all'invenzione della scrittura, sia costituita dai resti materiali, che le civiltà scomparse hanno lasciato sul suolo o sepolti in esso. L'e. a. consiste appunto in tutta una serie di operazioni atte a procurare questi documenti sui quali soltanto, in mancanza di ogni tradizione e testimonianza scritta, si può basare lo studio del più remoto passato umano. Essa può venire articolata in tre fasi principali e cioè: individuazione del giacimento, scavo del giacimento, conservazione del materiale e pubblicazione dello scavo.
a) Individuazione del giacimento. Tranne pochi casi eccezionali, come, ad esempio quello dei monumenti megalitici (v. cromlech; dolmen; menhir) i resti preistorici sono generalmente nascosti sotto una coltre di terreno più o meno spessa. Esistono tuttavia varî modi con cui si può giungere alla loro individuazione. C'è anzitutto la scoperta fortuita dovuta allo scavo di fossati, di canali o di trincee di fondazione, all'aratura agricola, allo sfruttamento di torbiere, di cave di argilla o di ghiaia, alla costruzione di strade ecc. A volte sono invece i fenomeni naturali che vengono in aiuto allo studioso ed il giacimento può essere rivelato dall'azione erosiva del mare o dei fiumi o del vento. Così nel caso degli abitati palafitticoli svizzeri, le cui prime tracce vennero alla luce in seguito ad un lungo periodo di siccità, che, producendo un abbassamento del livello delle acque del lago di Zurigo, lasciò scoperti tronchi di palafitte fin allora insospettate. Ma, accanto alla accurata indagine personale sul terreno, portando attenzione a ogni possibile indizio di carattere geologico o geofisico, in questi ultimi cinquant'anni si sono venuti sviluppando anche metodi scientifici di ricerca, alcuni dei quali si stanno affermando con sempre maggiore frequenza. Tra questi va anzitutto ricordata la fotografia aerea (v. sotto il n. 4), mediante la quale si può giungere al ritrovamento di villaggi, di trincee, di tombe a tumulo ecc. È al rilevamento aereo effettuato dalla aviazione militare britannica durante l'ultima guerra mondiale che si deve, ad esempio, la scoperta in Italia, sul Tavoliere delle Puglie, di oltre duecento insediamenti neolitici circondati da recinti circolari a fossato, che costituiscono una delle più dense concentrazioni di insediamenti preistorici finora conosciuti in Europa. La fotografia aerea può essere di aiuto anche nella ricerca del giacimento paleolitico, permettendo di completare o precisare le carte geologiche, di studiare la ripartizione dei terrazzi fluviali e di meglio comprendere le formazioni quaternarie della regione che è oggetto d'indagine. Per quello che riguarda la localizzazione di grotte, la prospezione aerea è stata poco utilizzata. Tuttavia va notato che risultati interessanti sono stati ottenuti in Francia (Provenza), dove sono state scoperte con questo mezzo grotte sepolcrali e siti preistorici prima ignorati.
Vi sono poi i metodi di ricerca offerti dalla geofisica: tra essi quello più applicato finora con maggior successo è il metodo elettrico basato sulla misura delle resistività del terreno e cioè sul fatto che, in generale, le formazioni archeologiche sono costituite da materiali diversi dal terreno circostante e quindi con diverse caratteristiche di resistenza elettrica (v. sotto il n. 3). Ottimi risultati sono stati raggiunti con tale metodo in Inghilterra nel Dorchester, per individuare resti sepolti che non si rivelano sull'immagine fotografica aerea. Un metodo, inoltre, particolarmente adatto alla localizzazione di villaggi o di un qualsiasi luogo abitato nella Preistoria, e che è stato impiegato particolarmente in Danimarca e nella Svezia, è quello geochimico della analisi quantitativa dei fosfati contenuti nel suolo. Nei luoghi, infatti, occupati dall'uomo per un periodo di tempo più o meno lungo, la decomposizione delle sostanze organiche ivi accumulatesi, ha profondamente modificato la composizione chimica del suolo, aumentando notevolmente la proporzione degli elementi minerali, tra cui appunto i fosfati.
b) Scavo del giacimento. Una volta individuata a mezzo della scoperta fortuita o della ricerca metodica una zona dove i resti del passato giacciono sepolti, allora ha luogo la fase più importante e più delicata dell'esplorazione: lo stesso scavo. Questo deve essere guidato dal principio fondamentale che compito dello studioso di preistoria non è quello di raccogliere gli oggetti, bensì di giungere a ricostruire l'ambiente culturale, sociale ed economico delle genti che quegli oggetti ci hanno lasciato. Ogni accorgimento deve quindi essere usato affinchè non vada perduta anche la più piccola testimonianza che possa essere di aiuto in questa ricostruzione. Condizione sine qua non per intraprendere qualsiasi scavo preistorico è che esso venga eseguito seguendo il criterio stratigrafico. Questo metodo eminentemente geologico, la cui importanza in campo archeologico è stata per prima riconosciuta dagli studiosi del Paleolitico, si basa sulla stratificazione del terreno e consiste nell'asportare un solo strato alla volta, per quanto sottile esso sia, tenendo accuratamente separato tutto il materiale in esso contenuto e, nel caso della presenza di strutture, stabilendo il rapporto che esiste tra l'elemento strutturale e i diversi strati. Questi, che non solo sono dovuti all'opera dell'uomo (all'accumularsi ad esempio, dei rifiuti del pasto) ma possono anche essere di origine naturale come quelli a carattere alluvionale (livelli sterili) oppure di natura eolica o dovuti alla decomposizione di sostanze organiche (vegetazione), presentano talvolta, specie se il luogo è stato abitato in più riprese, una successione complicata che non è sempre facile interpretare. Ma anche un singolo periodo di occupazione può avere dato luogo alla formazione di strati sovrapposti, per la quale cosa è della maggiore importanza avere nello scavo le sezioni verticali tagliate molto nettamente per potere riconoscere chiaramente i diversi livelli. È poi essenziale poter distinguere i vari strati sovrapposti, perché è a mezzo dell'interpretazione della stratigrafia che sono determinate la cronologia relativa e l'evoluzione interna dei resti che vengono portati alla luce. D'altra parte, l'epoca di ciascun livello o strato può essere fissata soltanto per mezzo degli oggetti che vi sono contenuti, per cui tutto quello che si trova nel livello, che può servire a tale scopo, deve essere assolutamente raccolto. Così ad esempio si preleveranno i carboni dei focolari, i quali in base al loro contenuto di carbonio radioattivo (si veda più avanti) potranno darci una datazione assoluta del livello in cui sono stati rinvenuti.
Ci sono, poi, i giacimenti, come gli argini, i fossati, i pozzi ecc., la cui particolare natura richiede l'impiego di speciali metodi di scavo. Per lo scavo dei tumuli circolari è per esempio, assai diffuso il cosiddetto metodo "quadrant". Esso consiste nel dividere il tumulo in quattro quadranti, separati tra di loro da diaframmi, e nell'asportare quindi, livello per livello, il terreno di ciascun quadrante finché resteranno i soli diaframmi, i quali daranno due complete sezioni trasversali del tumulo. Da ultimo anche i diaframmi verranno naturalmente rimossi. Il metodo del "quadrante" si basa, fra l'altro, sul principio che bisogna conservare il più a lungo possibile le sezioni stratigrafiche e, a questo proposito, va ricordato che, al fine di avere una testimonianza diretta della sequenza stratigrafica riscontrata nello scavo del giacimento, si sta diffondendo l'uso di prelevare direttamente in situ una colonna di terreno archeologico, da collocarsi nel museo accanto agli altri ritrovamenti.
Nello scavo delle tombe è buona regola creare una sezione verticale della tomba stessa. Questa sezione sarà particolarmente necessaria nel caso che la fossa od il pozzetto sepolcrale sia stato scavato in un deposito archeologico. Solo così si potrà infatti chiaramente riconoscere quali livelli sono stati tagliati dalla tomba (terminus post quem) e quale è invece lo strato che la suggella (terminus ante quem) ed accrescere di conseguenza gli elementi sui quali basare la datazione della sepoltura. Se si tratta di una tomba in cui si hanno due o più deposizioni, specie se avvenute in periodi diversi, ogni attenzione dovrà essere usata per riconoscere con esattezza l'appartenenza dei varî corredi funebri.
Per quanto concerne il recupero dei resti archeologici, regola fondamentale è di raccogliere con somma cura tutto quello che è contenuto nel terreno: ogni cosa, infatti, può aiutarci a restituire un'immagine il più possibile fedele della vita della comunità e dell'ambiente in cui essa si svolgeva. Le ossa degli animali, ad esempio, ci forniranno indicazioni sul clima, sull'allevamento del bestiame, sul regime alimentare e sull'attività venatoria, mentre variazioni climatiche potranno essere dedotte dall'esame delle lumache terrestri e, per i depositi torbosi e lacustri, dall'analisi del polline in essi contenuto. In certi casi, infine, per risolvere problemi connessi con la natura del terreno, non si mancherà di prelevare dei campioni dello stesso da sottoporre all'esame dello studioso competente. Sovente gli oggetti di metallo, di osso e di argilla si rinvengono in condizioni molto precarie: speciali accorgimenti verranno allora usati nella raccolta per non correre il rischio di rovinare quegli oggetti irrimediabilmente. Nel caso di frammenti di vasi, sarà bene, prima della lavatura, esaminarli attentamente, perché eventuali tracce di resti di cibo o di qualsiasi altra materia organica o minerale (ad esempio ocra) non vada perduta.
Va, inoltre, tenuto presente che non sempre i resti preistorici si sono conservati in forma tangibile, ma che talvolta tutto quello che rimane di loro sono delle semplici tracce, spesso rilevabili solo dopo un esame molto attento; così, generalmente, l'esistenza di una costruzione lignea viene dedotta dalla presenza del cosiddetto intonaco di capanna o di una serie di buche per pali. Ma se l'identificazione di queste ultime è piuttosto facile nel caso che siano state scavate nel terreno vergine, le difficoltà aumentano quando esse interessano un terreno antropico, poiché allora l'unica differenza tra il loro riempimento ed il terreno circostante può essere costituita da una semplice diversità di colore. Tuttavia per questa ed altre circostanze analoghe, si è rivelata molto utile la tecnica dei "rabotage", che consiste nello spianare orizzontalmente con molta accuratezza la superficie dello scavo, in modo che le diverse colorazioni del suolo diventano, di regola, del tutto visibili.
Molto importante in uno scavo è anche tutto ciò che concerne la sua registrazione, soprattutto per il fatto che scavando si procura inevitabilmente la distruzione totale o parziale di alcune testimonianze. La documentazione viene eseguita in vari modi e cioè per mezzo della planimetria dell'area scavata; del disegno delle sequenze stratigrafiche incontrate; della planimetria e delle sezioni delle strutture rinvenute; delle fotografie non solo del giacimento prima, durante e dopo lo scavo e delle scoperte fatte, ma anche dei diversi dettagli come quello di un oggetto ancora in situ o mentre sta per essere rimesso alla luce. Inoltre ciascun oggetto, dal frammento di ceramica alla scheggia di selce, non appena trovato, verrà contrassegnato con una sigla che consentirà di riconoscere immediatamente e con esattezza il luogo dello scavo, la trincea ed il livello di provenienza. Per gli oggetti fittili o litici di interesse speciale e per gli oggetti rari come quelli di metallo, di ambra, di legno ecc., verrà registrata anche la posizione orizzontale rispetto a dei punti scelti convenzionalmente. Lo scavatore dovrà, poi, tenere il cosiddetto "giornale di scavo", nel quale annoterà dettagliatamente il progresso dei lavori, le osservazioni fatte, le misurazioni ecc. Rientra, infine, sempre nell'ambito della documentazione archeologica mantenere intatta, per quanto possibile, una porzione del giacimento esplorato per eventuali scavi di controllo da parte di futuri studiosi. Problemi del tutto peculiari si sono presentati agli archeologi russi che hanno compiuto gli scavi dei tumuli sepolcrali dell'Altai (kurgan).
c) Conservazione del materiale e pubblicazione dello scavo. Terminato lo scavo, due sono i problemi che s'impongono: la conservazione del materiale e la pubblicazione dei dati di scavo.
Dal momento che tante attenzioni sono state usate per l'individuazione ed il recupero dei resti preistorici è naturale che, una volta che essi sono stati portati alla luce, ci si preoccupi della loro conservazione. I resti trovati nel corso di uno scavo si dividono in due classi: quelli che per la loro natura devono essere lasciati sul terreno e quelli asportabili. Per i primi (strutture di capanne, tombe megalitiche, fossati di difese, ecc.) sarebbe sempre auspicabile che, previe opportune opere di consolidamento ed eventualmente anche di protezione, rimanessero visibili, all'aperto (come è stato fatto, ad esempio, per le capanne della Civiltà del Ferro rinvenute sul Palatino a Roma (v. vol. ii, fig. 546). Quanto agli altri, fatta naturalmente eccezione per i resti da inviare agli specialisti per le relative analisi (ossa di animali, campioni dei carboni, ecc.), verranno portati al museo, dove, dopo essere stati sottoposti ai necessari restauri, saranno conservati.
Circa poi il secondo problema, va osservato che il compito dello scavatore non termina con il lavoro sul terreno. Poiché lo scavo di un qualsiasi giacimento si risolve, in fondo, nella sua distruzione, chi scava ha l'obbligo morale di rendere noti, mediante pubblicazione, i dati raccolti ed i fatti emersi: non farlo equivale, in pratica, a sopprimere deliberatamente un documento storico. Ma anche ritardare eccessivamente la pubblicazione della relazione rappresenta già una colpa. I resti materiali delle civiltà passate costituiscono la giusta eredità dell'umanità, della quale tutti devono essere partecipi nel più breve tempo possibile. A questo proposito va anzi notato che, in alcuni paesi scandinavi, qualora i risultati degli scavi non vengano pubblicati entro cinque anni dal termine del lavoro, possono venire utilizzati da altri studiosi.
D'altra parte, la pubblicazione della relazione di scavo e l'uso fatto di essa per allargare le nostre conoscenze storiche sono due cose separate e distinte, rientrando inoltre, come già detto, solo la prima tra i doveri dello scavatore. Tuttavia sarebbe desiderabile che l'archeologo non dimenticasse mai che soltanto dopo la stesura della relazione, ha inizio il suo vero lavoro scientifico e cioè l'interpretazione della scoperta. Il lavoro di interpretazione per il quale egli si gioverà anche dei dati forniti dalla collaborazione degli altri studiosi può essere diviso in due fasi: nella prima si sforzerà di assegnare una data a ciascun evento o periodo rappresentato nel giacimento (cronologia relativa ed assoluta) e di trovare la ragion d'essere di ogni testimonianza raccolta; nella seconda, in base a tutti i dati raccolti, cercherà di fare rivivere le civiltà scomparse nella loro realtà culturale, sociale ed economica.
Bibl.: A. Leroi-Gourhan, Les fouilles préhistoriques, Parigi 1950; R. J. C. Atkinson, Field Archaeology, Londra 1953; S. J. De Laest, Segreti di archeologia, Bologna 1958; G. E. Daniel, A Hundred Years of Archaeology, Londra 1950; V. Gordon Childe, Piecing Together the Past, Lonra 1956.
(D. Lollini)
2. Esplorazione in ambiente greco-romano. - a) Secolo XIX. Nel mondo classico, che ha come epicentro la Grecia e l'Italia, l'e. a. come venne intesa a partire dalla metà del XIX sec. è stata preceduta - soprattutto nei grandi centri urbani - dalla ricerca di materiale antico per scopi che, per lo più, esulavano da qualsiasi interesse scientifico od artistico. Mentre infatti le sculture e gli oggetti pregiati (cammei, monete) andavano ad arricchire le collezioni private, il materiale architettonico veniva recuperato unicamente in vista di una sua riutilizzazione pratica, con esito fatale per molte costruzioni situate in città che, come Roma, hanno conosciuto dal Rinascimento in poi una forte ripresa edilizia. Un graduale miglioramento si ebbe dopo il sec. XVI allorché l'interesse dei collezionisti si volse anche agli oggetti minori (lucerne, vasi ecc.); dal XVIII sec., pur asportando bronzi, marmi e sculture dagli scavi, si incominciarono a rilevare in pianta ed in alzato gli edifici scavati e a darne ricostruzioni grafiche. Ma non certo scientificamente venivano allora iniziati i grandi scavi del reame di Napoli: a Pompei, asportati gli oggetti e staccate le pitture, le costruzioni rinvenute erano abbandonate al deperimento, mentre ad Ercolano i cavamonti borbonici avanzavano in galleria sfondando con i loro cunicoli le costruzioni nella ricerca di pitture, sculture ed oggetti di pregio. Fino alla metà del XIX sec. scavatori di ogni nazione, in patria od in missioni all'estero, ebbero come unico scopo di ottenere la massima quantità di oggetti da museo con il minimo di tempo e di spesa.
La seconda metà del XIX sec. vide l'archeologo sostituirsi all'antiquario e l'inizio di sistematiche tecniche di scavo e di conservazione dei monumenti, unitamente al lento formarsi di una nuova coscienza: che, cioè, per mezzo dell'e. a. attentamente condotta è possibile ricostruire le vicende della località esplorata. Animato da tale idea, Napoleone III fece eseguire tra il 1861 ed il 1865 gli scavi di Alesia ricercando sul terreno le fortificazioni descritte da Cesare, mentre a Pompei il Fiorelli inaugurava dopo il 186o un nuovo metodo di scavo non più inteso a spogliare, bensì a salvare - procedendo a strati, dall'alto verso il basso - anche le strutture superiori degli edifici ed a conservare sul posto gli elementi idonei a ricostruire l'ambiente in cui vissero gli abitanti; con lui ebbe inizio lo scavo sistematico della città, quartiere per quartiere. Dal 1870 in poi si iniziarono anche in ambiente greco scavi di interi complessi urbanistici tenendo conto di ogni elemento venuto alla luce, diretti dal Conze a Samotracia (prima moderna relazione di scavo corredata di fotografie e rilievi accurati), da E. Curtius ad Olimpia e dal Dörpfeld a Troia. Questi primi cantieri servirono da modello alle imprese archeologiche organizzate in Grecia dalle varie nazioni, mentre l'affinamento della tecnica di scavo portava a nuovi sistemi di classificazione degli oggetti rinvenuti che ora venivano tutti presi in considerazione e studiati tipologicamente, indipendentemente dal loro valore artistico. In Inghilterra alla fine del secolo il Pitt Rivers inaugurava nei suoi scavi il rilevamento "tridimensionale" fissando in pianta e sezione per ogni oggetto la posizione di rinvenimento, principio basilare di ogni scavo rigorosamente condotto.
b) Secolo XX. Scavo stratigrafico. Nel primo cinquantennio del XX sec. si ha un grande progresso nel metodo e nella tecnica dell'e. archeologica. All'inizio del secolo si fissarono i criterî informatori dello scavo stratigrafico, ereditato da scienze affini (geologia e paleontologia).
Un modello di metodo rigoroso ne venne offerto in Italia da Giacomo Boni con gli scavi da lui condotti nel Foro Romano. L'uso dello scavo stratigrafico si è venuto estendendo anche in ambiente greco-romano dal campo preistorico a quello dell'archeologia storica: esso offre la possibilità di integrare o ricostruire, mediante l'esame meticoloso di tutti i sedimenti venuti a depositarsi naturalmente od artificialmente sul suolo vergine, lo svolgimento delle vicende di una località o di un monumento; di conseguenza la valutazione attenta degli elementi emersi da una stratigrafia rilevata a fianco o nell'interno di una costruzione può recare un contributo oggettivo alla storia del monumento in esame, dalla sua fondazione all'abbandono. In una sezione stratigrafica eseguita normalmente ad un rudere, l'individuazione della trincea di fondazione del muro e degli strati da essa intaccati, del piano di calpestio coevo alla costruzione e dei successivi rialzamenti del terreno, può fornire - con lo esame del materiale scavato - elementi preziosi per la datazione e l'interdipendenza dei varî manufatti e strati archeologici. È evidente l'importanza che assume tale sistema di scavo quando sia volto alla conoscenza dello sviluppo urbanistico di centri abitati storicamente importanti; ma esso dovrebbe essere adottato ogni qualvolta si inizi l'esplorazione di una località, poiché i dati emersi dalle trincee e pozzi d'assaggio (profondità del giacimento, stratificazioni successive delle varie epoche antiche e postclassiche) consentono, attraverso la conoscenza del terreno da scavare, una buona organizzazione del lavoro.
Il metodo dell'e. a. varia secondo le località ed il tipo della ricerca: a Pompei, Ercolano ed Ostia, dove le parti superiori degli edifici, danneggiate o cadute, possono venire ricollocate a posto, trova utile impiego lo scavo definito "subaereo" dal Maiuri, che comprende gli strati fra il livello attuale del terreno ed il piano di calpestio antico. A Pompei e ad Ercolano si rende necessario un delicato lavoro alternato di scavo in profondità, per il puntellamento ed il consolidamento dei muri, e di scavo a strati per il recupero di taluni elementi (tetti, balconi, ecc.) di cui è possibile in tal modo rilevare la originaria posizione in altezza. Terminato lo scavo superficiale ed il restauro degli edifici interviene la ricerca stratigrafica nel sottosuolo (Ostia, Pompei, Foro Romano) che dal piano corrispondente all'ultima fase di vita cittadina mira al rilevamento delle fasi urbanistiche precedenti. Tale ricerca si complica laddove il profilo del suolo è variamente accidentato; quando dalle costruzioni viene estesa alle vie, piazze, ecc. richiede un occhio particolarmente esercitato nel saper raccordare fra loro le varie sezioni particolari - per mezzo di campioni lasciati per ciascun strato - in una unica sezione generale. Nelle esplorazioni di complessi urbani viene generalmente seguita la norma di dividere l'area da scavare in settori geometrici dopo aver riconosciuto il perimetro urbano e le arterie principali, iniziando, come a Paestum, lo scavo dal centro (acropoli, agorà, Foro) ed ampliandolo quindi verso i quartieri periferici. Nelle e. a. si tende attualmente a rispettare, con opportuno discernimento, le trasformazioni subite da un edificio (ad esempio tempio trasformato in basilica paleocristiana) o da un quartiere urbano quando - caso frequente in ambiente greco-romano - l'utilizzazione ne sia continuata dopo il periodo classico; la eventuale rimozione degli elementi post-classici, da effettuarsi soltanto in casi eccezionali, deve essere preceduta da una completa documentazione. In taluni scavi d'ambiente classico si procede ora ad una elencazione completa del materiale restituito dall'e. a. comprendendo nell'esame, anche quantitativo, gli oggetti già ritenuti trascurabili (anfore, comune vasellame grezzo) ma che possono dare un apporto sia pur modesto alla storia economica e sociale della località. Nei cantieri più largamente dotati di mezzi e di personale tecnico l'ubicazione del reperto degno di nota viene riportata con i dati caratteristici su una scheda, cui verrà aggiunta la riproduzione fotografica dell'oggetto; lo schedario formato in tal modo - indipendentemente dal giornale di scavo che è il diario dell'attività giornaliera del cantiere - sarà di grande utilità per la relazione finale e per gli studi successivi. Nello scavo delle necropoli si è sostituita alla ricerca della singola tomba l'esplorazione sistematica che procede con metodo stratigrafico e mettendo allo scoperto ampie zone, onde riconoscere i raggruppamenti familiari e le sovrapposizioni di sepolture. Condizioni particolari del terreno hanno suggerito metodi speciali di scavo: nella necropoli di Spina le tombe, immerse nell'acqua melmosa, vengono isolate per mezzo di cassoni ad elementi metallici scomponibili. Nelle tombe a camera un accurato rilevamento dell'ubicazione delle deposizioni funebri e della suppellettile può fornire indicazioni sul rito e sul periodo di uso della tomba. L'esperienza acquisita nel campo dell'e. a. ha insegnato che nel corso dello scavo occorre tener nota di ogni minimo indizio poiché osservazioni che attualmente sembrano superflue potranno essere utilizzabili in seguito.
c) Nuovi mezzi ausiliari; metodi geofisici. Singole fasi della ricerca. Il rapido progresso tecnico e scientifico ha condotto l'archeologia allo studio della totalità dei fenomeni connessi con la ricerca e lo scavo, mettendole a disposizione nuovi e più perfezionati mezzi ausiliari, dall'esplorazione aerea (v.) e subacquea (v.) ai vari tipi di prospezione geofisica (rilevamento di ciò che non è visibile in superficie), i cui dati vengono forniti dalla composizione chimica del terreno (percentuale fosfatica dei luoghi ove furono stanziamenti umani, v. sopra, n. 1) e dalle reazioni magnetiche od elettriche. Queste ultime, basate sulla varia resistività elettrica del suolo in rapporto alle differenze naturali od artificiali della sua struttura sotterranea (presenza nel sottosuolo di costruzioni, vuoti di camere sepolcrali), hanno trovato recentemente ampia applicazione nelle vaste necropoli dell'Etruria meridionale (Cerveteri, Tarquinia) consentendo il rapido reperimento di numerose tombe. Per le tombe a camera l'ing. Lerici ha recentemente ideato e sperimentato un sistema di rilevamento fotografico prima dello scavo, ottenuto trapanando con una sonda il soffitto del sepolcro ed introducendo nel foro un apparecchio per microfotografie che esegue una documentazione preliminare completa dell'interno. Ancora in fase sperimentale sono i sistemi usati per la determinazione cronologica dei reperti umani (misura del fluoro contenuto nelle ossa) e delle ceramiche (basato sul campo magnetico della terracotta). Ausilî inattesi giungono all'e. a. da altri campi scientifici: la compilazione di carte agronomiche territoriali - come quella in corso di elaborazione in Olanda che studia la composizione del terreno fino a m 1,20 di profondità - mette in evidenza la dispersione delle abitazioni fin dall'epoca romana consentendo un completo rilevamento topografico del terreno. Nell'e. a. di carattere topografico, applicata al rilevamento diretto del terreno (controllato ed integrato dall'alto per mezzo dell'osservazione aerea), si è specializzata l'archeologia inglese, seguendo l'impulso che diede a tal genere di ricerca Th. Ashby con le ricognizioni da lui svolte - senza i moderni efficaci mezzi ausiliari - nella campagna romana.
Il progressivo affinamento del metodo dell'e. a. e l'estendersi del campo della ricerca, accentuatosi negli ultimi decenni, hanno fatto sentire la necessità di una pianificazione delle singole fasi del lavoro archeologico: ricerca e ritrovamento, scavo, studio e pubblicazione, conservazione. L'organizzazione di missioni di scavo, la tecnica ed il metodo di lavoro con il ricorso ai più moderni mezzi di ricerca sono divenuti argomento frequente di articoli e manuali: da quello del Du Mesnil du Buisson (1934) alle moderne opere dello Atkinson (1946) e del Wheeler (1954). La conferenza internazionale del Cairo (1937) ha fissato in un "Atto" approvato dalla Società delle Nazioni i principî fondamentali dell'e. a., le cui varie fasi sono ampiamente trattate nel Manual on the Technique of Archaeological Excavations. Nel vasto orizzonte classico greco-romano non è tuttavia possibile applicare rigidamente ad ogni tipo di scavo un sistema prestabilito fin nei minimi particolari: un largo margine di iniziativa rimane sempre affidato alla capacità e sensibilità del ricercatore che deve saper adattare alle particolari condizioni dello scavo appropriati sistemi di sterro e di conservazione degli oggetti rinvenuti. La struttura del terreno, le diverse condizioni climatiche e la densità della popolazione (in epoca classica e postclassica) hanno portato modifiche più o meno profonde nelle condizioni dei depositi archeologici, sì che l'evidenza stratigrafica e la reperibilità di tracce ed impronte, lo stato di conservazione dei materiali da costruzione e degli oggetti varia radicalmente dai paesi nordici (Inghilterra ed Europa occidentale) a quelli meridionali (penisole iberica, italica, balcanica ed Africa settentrionale); così, ad esempio, soltanto particolari condizioni del terreno possono consentire l'applicazione del metodo che da circa un secolo è in uso negli scavi di Pompei per ottenere dall'impronta rimasta nello strato di cenere vulcanica le forme degli esseri od oggetti di materia caduca (corpi umani e di animali, legno, ecc.). La lettura del terreno, generalmente semplice e chiara nei piccoli centri provinciali, risulta estremamente complicata nei grandi centri urbani che, come Roma, abbiano avuto una esuberante attività edilizia sia nell'antichità come nei periodi successivi. In Italia ed in Grecia l'e. a. è resa più difficile dalla quantità di monumenti e di residui accumulati in una stessa località durante millenni d'insediamento umano; tale quantità complica il problema dello scavo e della conservazione dei monumenti riportati alla luce, mentre nell'ultimo decennio, soprattutto in Italia, si è intensificato il ritmo della ricerca ad opera degli organismi nazionali e stranieri.
Bibl.: G. Boni, Il metodo degli scavi archeol., in Nuova Antol., 16, VII, 1901; Du Mesnil du Buisson, La technique des fouilles archéol., Parigi 1934; A. Maiuri, Principî generali sul metodo dello scavo archeol., in Cooperazione Intellettuale, 1937, n. 7-8, . 57 ss.; Manual on the Technique of Archaeol. Excavations, Intern. Museums Office 1937 (tr. franc. in Mouseion 1939); J. J. Hatt, La méthode stratigr. des fouilles, in Rev. Arch. Est et Centre, II, 1951 (I), p. 43 ss.; La découverte du passé: progrès récents et techniques nouvelles en préhist. et archéologie (studî riuniti da A. Laming), Parigi 1952; R. J. C. Atkinson, Field Archaeology, 2a ed., 1953; S. J. De Laet, L'archéologie et ses problèmes, Bruxelles 1954; R. E. M. Wheeler, Archaeology from the Earth, Oxford 1954; C. M. Lerici, Campagna di prospezioni archeol. nella necropoli etr. di Monte Abbatone, in Quad. Geofis. Applic., 1957 (cfr. Arch. Anz., 1957, c. 253 ss.). Classificazione degli oggetti: N. Lamboglia, Gli scavi di Albintimilium e la cronologia della ceramica romana, I, 1938-40; E. Gjerstad, Early Rome, I, Lund 1953, p. 52 ss. Carta agronomica (Olanda): Fasti Arch., IV, 1949, n. 717.
(G. Carettoni)
3. Esplorazione del vicino oriente. -A) Mesopotamia, Egitto. - I comuni metodi di scavo, come si trovano esposti nel paragrafo precedente, sono validi egualmente per il Vicino Oriente e possono ragionevolmente esservi impiegati fintanto che si tratti di luoghi di rovine del periodo greco, romano, bizantino e islamico. Per tutti i luoghi di rovine di periodo più antico fino all'inizio dell'Età del Ferro, per le assai differenti condizioni geografiche, geologiche, climatiche ed etniche di questi paesi i presupposti sono così diversi che ognuno che compia degli scavi deve trovare da sé sul posto il metodo adatto alla propria attività.
Periodi di scavo. In Turchia sono considerati come periodo più favorevole i mesi da maggio ad ottobre, in particolare da agosto ad ottobre, a seconda dell'altezza sul mare del luogo di scavo; l'inverno, a causa della pioggia e delle nevicate, è inadatto, soprattutto nell'Anatolia interna, per tutte le esplorazioni stratigrafiche. In Siria e in Palestina il periodo di scavi dura un po' più a lungo, da aprile a novembre. Nell'Irak c'è la possibilità di fare scavi per tutto l'anno e i grandi scavi prima della prima guerra mondiale continuarono ininterrottamente per molti anni (Assur, sotto la direzione di Andrae, 11 anni; Babilonia, sotto la direzione di Koldewey, 18 anni); ma da allora gli scavi con personale europeo si limitano ai mesi da dicembre ad aprile, perché l'estate ha un clima insopportabile. Lo stesso vale per l'Egitto; solo nella zona della diga di Assuan bisogna lavorare d'estate nonostante le condizioni climatiche sfavorevoli, poiché allora l'acqua raggiunge il suo punto più basso.
Anche in mesi dal clima favorevole bisogna provvedere a che funzioni bene il rifornimento dell'acqua, dato che le sorgenti e i luoghi in cui essa si trova sono situati spesso a molti chilometri dalla località degli scavi (a Resafa, ad esempio, a più di 30 km) e dato che per il gran numero di operai (100-300) impiegato di solito in Oriente sono necessarie considerevoli quantità di acqua.
Operai e attrezzi. Dopo la fine del raccolto si trovano quasi dappertutto operai in numero sufficiente sul luogo e nei dintorni; nelle zone oggi scarsamente popolate oppure in cui si trovano solo nomadi, ad esempio nella Siria del Nord (Resafa), gli operai debbono esser arruolati in luoghi lontani e poi alloggiati sotto tende. In generale si raccomanda di arruolare operai di luoghi diversi e possibilmente di religione diversa, perché la concorrenza semplifica la sorveglianza; alle volte però si verificano anche inconvenienti abbastanza gravi per l'ostilità reciproca. In alcune zone della Persia non si può fare a meno della protezione della polizia.
L'operaio turco è in generale diligente e capace di compiere lavori faticosi senza incitamenti. In Mesopotamia e in Egitto lo stimolo al lavoro viene mantenuto spesso soltanto con sollecitazioni e canti. Usanza generale è il pagamento di premi di ritrovamento per impedire il più possibile la sottrazione di piccoli ritrovamenti.
Gli attrezzi (zappa e badile) sono forniti da coloro che compiono gli scavi, ciò nondimeno spesso si ottiene un rendimento migliore con gli abituali arnesi personali. In tutti i territori si consiglia l'utilizzazione della ferrovia décauville con vagoni non troppo grandi e molti brevi tratti di binari per avvicinarsi comodamente ai posti di lavoro. Il carico in Egitto e in Mesopotamia avviene quasi sempre con piccole ceste che in Egitto sono completamente riempite con le zappe e in Mesopotamia e in Siria con i badili. Per detriti leggeri e raramente frammisti a pietre sono sufficienti le ceste a buon mercato fabbricate con materiale locale. In Turchia gli operai non sono abituati al lavoro con le ceste, dato che manca il materiale adatto e i detriti, spesso frammisti a pietre, distruggono rapidamente le ceste. Gli scavi profondi in Siria e in Mesopotamia possono essere facilmente eseguiti mediante portatori di ceste che salgono e scendono su scale e rampe; in Asia Minore debbono invece essere impiantati con attrezzi speciali.
Le colline abitate e i metodi del loro scavo. Per il Medio Oriente la forma d'insediamento della collina abitata (arabo: tell; turco: hüyük o tepe) è caratteristica fino all'inizio del primo millennio. Le colline abitate si trovano per lo più in pianura. Ci sono solo di rado città veramente di montagna, ad esempio Boğazköy-Khattusha, Toprakkale presso Van e Karatepe. Le colline abitate hanno per lo più un embrione di collina naturale piatta e sono sorte con successivi insediamenti nello stesso luogo durati millenni e con l'impiego di creta o di fango seccati all'aria. In territori scarsi di pietre (Mesopotamia meridionale) i mattoni sono adoperati per la costruzione di case, come per le fortezze, senza fondamenta di pietra; altre volte però sono collocate fondamenta di pietra di cava oppure anche uno zoccolo di pietra lavorata oppure un rivestimento di lastre di pietra lavorate. Quando un edificio crollava o veniva distrutto, i ruderi restavano sul posto, venivano spianati e pestati e su essi sorgevano i nuovi edifici. Da ciò si spiega l'enorme altezza di alcuni tell, ad esempio Susa con 30 m di altezza su una collina naturale di 8-9 m, Alisar in Anatolia con 29 m sul terreno rialzato.
I metodi della ricerca dei tell, che contengono spesso oltre 20 strati di costruzioni, sono molteplici a seconda del compito che si pone lo scavatore. L'ideale, finora non eseguito in nessun tell, sarebbe la completa liberazione e demolizione di uno "strato dopo l'altro, per riuscire a conoscere il più possibile dei singoli periodi, perché edifici costruiti con mattoni di creta non si possono conservare a lungo. Ma le possibilità finanziarie impediscono la realizzazione completa di questo sistema.
a) Scavo per strati orizzontali. Poiché lo scoprimento di uno strato di insediamento con terreno in salita e in discesa e con fitta sovrapposizione e compenetrazione dei singoli edifici non si può eseguire in maniera ineccepibile e sempre si capita in strati più profondi, M. Dunand ha perfezionato a Biblo un sistema di scavo rigidamente orizzontale in strati di 20 cm, in cui non si ha nessun riguardo per la effettiva stratigrafia. Questo metodo ha il vantaggio di mostrare automaticamente il livello assoluto di tutti i ritrovamenti. Il materiale omogeneo può però spesso esser suddiviso in parecchi piani di strati di cui 5 sono riuniti su una lastra con diversi colori, ed è necessario un lavoro faticoso sui piani di strati per mettere insieme in seguito i piani dei periodi. Si tratta di un metodo scientificamente assai esatto, che però non ha fatto scuola, dato che esso esclude durante lo scavo la visione generale di un periodo e il terreno raramente ne permette l'impiego in modo completo (cfr. M. Dunand, Byblos, 1, 6; Syria, ix, 1928, 1).
In strati non redditizi e non importanti questo procedimento è troppo lento, tanto più che non si può essere sicuri di trovare in profondità strati più ricchi di ritrovamenti.
b) Scavo profondo. Per avere prima dell'inizio di un grande scavo un'idea del contenuto di un tell e una visione generale degli strati e della successione dei periodi, in particolare della ceramica, gli scavi profondi sono eseguiti esaminando e successivamente rimovendo tutti gli strati fino in fondo. A Alisar uno scavo profondo, eseguito inizialmente in un quadrato di 15 × 15 m e di un'ampiezza in fondo di 5 × 5 m, raggiunge 29 m sotto la cima del tell (cfr. K. Bittel, Grundzüge der Vorund Frühgeschichte Kleinasiens, tav. 2). In tell molto alti e grandi questo e'l'unico metodo per ottenere chiarimenti ineccepibili sulla cronologia, dato che la completa rimozione di enormi masse di macerie appare impossibile. Lo scavo verticale di simili fosse profonde è tuttavia un'impresa pericolosa, dato che le pareti della fossa possono facilmente spezzarsi in stratificazioni non salde, come è avvenuto una volta a Gerico.
c) Per evitare questo pericolo, si raccomanda perciò l'impianto di una "scala del tempo", ossia un taglio esplorativo largo circa 10 m sul ciglio della collina, che salga a forma di scala così che ogni strato d'insediamento corrisponda ad una terrazza di gradini situata più profondamente e più avanti. Da questo modo i resti di costruzioni dei singoli strati o periodi possono esser conservati fino alla fine della ricerca, ed esser confrontati sempre gli uni con gli altri ed esser controllati sulle pareti laterali (cfr. E. Chiera, They Wrote on Clay, 8 ed., Chicago 1957, 34-35). Questo metodo comporta lo svantaggio che sul ciglio della collina possono trovarsi gravi impedimenti, eventualmente anche fortificazioni, che o falsificano di molto il risultato oppure debbono esser conservati impedendo poi di vedere dentro gli strati più profondi.
d) Scavi in superficie. Maggiori superfici in terreno piano vengono esplorate con scavi a forma di scacchiera, in cui tra i singoli quadrati, che non possono essere superiori a 20 × 20, restano dei ponticelli di terra che servono come vie per il trasporto e come pareti di controlllo per la stratificazione e le revisioni (cfr. Taxila-Bir Mound, Pakistan, Ancient India, iv, 1948, 41). All'occorrenza le macerie di un quadrato in esplorazione possono esser rimosse in un quadrato già esplorato e così risparmiare da un lato il lavoro di trasporto e dall'altro lato ripristinare la precedente situazione del terreno qualora lo scavo non possa restare aperto.
Per esplorare l'enorme zona della città di Assur, Andrae, ad intervalli di 100 m (corrispondenti ai quadrati della pianta della città), fece scavare fosse esplorative larghe 5 m e lunghe fino a 900 m e si formò così un'idea della pianta della città, della densità dell'insediamento, della direzione delle strade e del luogo ove si trovavano edifici importanti (Andrae, Das wiedererstandene Assur, Lipsia 1938, allegato).
e) Scavi in tunnel. Gli scavi in tunnel appartengono ai metodi di scavo meno raccomandabili, tuttavia possono essere inevitabili; così un edificio di un tempio a Uruk-Warka, su cui si era sovrapposta una ziqqurat (torre templare), poté esser esplorato solo con tunnel lungo i muri del tempio, dato che non si poteva demolire la grande massa della torre. Uno scavo in tunnel può essere altrettanto utile, se strati di macerie senza importanza, alti 10-15 m, giacciono sopra importanti vecchi edifici, come si verifica talvolta a Babilonia, dove Koldewey eseguì con buon risultato degli scavi in tunnel. Anche la scoperta della pianta originaria dell'antico palazzo di Assur fu possibile soltanto mediante gallerie, dato che dovevano essere risparmiati i più recenti edifici del palazzo. Le gallerie alte solo 1,50 m furono scavate con una debole luce a petrolio, un lavoro di grande abnegazione per operai e scienziati, che fu però di grande utilità (cfr. C. Preusser, Die Paläste von Assur, Berlino 1955, 6). Recentemente sono stati eseguiti con grande successo a Gordion (Asia Minore) per esplorare le camere sepolcrali scavi in tunnel in tombe di grandi tumuli dell'epoca frigia. Nel tumulo più grande, alto 54 m e con 200 m di diametro interno, per stabilire la posizione della camera sepolcrale, che non era situata al centro ed era fatta di legno ed aveva un tetto di legno con copertura rimovibile di grandi lastre di pietra, fu impiegato il metodo noto con il nome di "trivellazione con lavaggio". La trivellazione, iniziata da un leggero trapano ad olio, avviene con acqua che circola mentre il trapano gira e porta alla superficie il materiale di diversi strati. Così si ha una visione della composizione della collina. Il trapano è così leggero che non scalfisce la pietra, e con parecchie trapanazioni l'una accanto all'altra si può stabilire la posizione e l'ampiezza della tomba senza danneggiare il contenuto. Se la tomba è localizzata, lo scavo si può eseguire mediante un tunnel puntellato con tavole (cfr. R. S. Young, in Am. Journ. Arch., lx, 1956, 264).
Mattoni seccati all'aria. L'impiego di mattoni seccati all'aria era in voga in tutti i paesi del Medio Oriente e il portare alla luce mura costruite di un simile materiale è un problema molto impegnativo per lo scavatore, perché nel materiale non si distinguono mattoni modellati e spezzati. Per lo scavatore esperto la forma, la grandezza e il tipo dei mattoni è un fossile-guida che serve a datare gli strati e gli edifici. I metodi di scavo dipendono direttamente dagli antichi metodi di costruzione e variano perciò secondo le regioni e le epoche, cioè se furono impiegati muri di argilla pestata e fangosa, mattoni dal piano convesso, piccoli mattoni stretti oppure quadrati, tutti esigono una tecnica diversa. Negli scavi tedeschi a Uruk-Warka giovanetti fino ai 14 anni sono impiegati per il raschiamento delle giunture, poiché essi soli possiedono la necessaria finezza di tatto, mentre gli Americani nella Mesopotamia settentrionale impiegano con successo mantici ad aria compressa e ottengono una maggiore localizzazione meccanica dei muri e dei mattoni.
Anche laddove il legame dei mattoni è stabilito chiaramente, sorgono spesso problemi interessanti. Allorché a Warka su una massa di mattoni depurata, che appariva formata in maniera unitaria, il vento soffiò via la polvere, gli scavatori riconobbero sottili linee bianche della grossezza di un foglio di carta e scoprirono, seguendo queste linee, la base di un tempio, le cui pareti erano imbiancate con calce e i cui ambienti erano rivestiti di mattoni per creare una grande piattaforma per un altro edificio.
In un caso simile a Tell Açana (Siria settentrionale), dove i locali di un edificio erano completamente pieni di macerie di mattoni spezzati e non si era conservato nulla dell'intonaco delle pareti, i muri divennero visibili nelle prime ore del mattino prima del sorgere del sole, dato che l'umidità notturna attaccava diversamente i mattoni e le macerie e i muri risaltavano con una colorazione leggermente più scura dalle macerie che si erano asciugate più rapidamente (cfr. L. Woolley, Digging up the Past2, Londra 1954, 42).
I muri di argilla pestata (terre pisée) costituiscono l'impresa più difficile, dato che i muri non si distinguono dalle giunture di macerie in rovina. In questo caso si può soltanto spianare in maniera nitida superfici più grandi ed osservare pazientemente se, seccandosi, si possano rivelare in alcuni giorni gradazioni di colore. In questo modo fu scoperto a Warka il gigantesco bīt akītu (v.). Alla luce della luna gli scavatori videro che nel chiaroscuro si poteva riconoscere tutto il piano basamentale nella steppa. Essi tracciarono i confini con aste contrassegnate e di giorno ampliarono queste linee con cocci ed ottennero una pianta fotografabile che poi si potè facilmente isolare (cfr. H. Lenzen, in Mitteil. Deutsch. Orient-Gesellsch., 1955, 55).
In Egitto l'isolamento di uno strato sul margine del deserto (ad esempio ad el-῾Amārnah) causa minori difficoltà, poiché la sabbia e i mattoni si separano facilmente; nel terreno coltivato i mattoni di fango si sono invece da lungo tempo disciolti a causa delle inondazioni annuali e non sono più accertabili.
Nell'Asia Minore i muri con mattoni di argilla, salvo poche eccezioni (ad esempio Karum Kanesh) si sono conservati soltanto se sono stati bruciati con fuoco violento (ad esempio Troia, Boğazköy, Kültepe), per cui lo scavo non procura nessuna difficoltà, tanto più che qui i muri poggiano sempre su fondamenta di pietra. La conservazione dei muri con mattoni di argilla è impossibile per un lungo periodo perchè comporta enormi spese.
Tavolette di argilla. L'impresa più difficile negli scavi nel Vicino Oriente è il recupero di tavolette a caratteri cuneiformi non bruciate, dato che queste, esposte al sole, spesso si riducono assai presto in polvere o, per lo meno, divengono illeggibili con un mutamento della superficie. Il seguente trattamento è raccomandabile: subito dopo la scoperta, la tavoletta deve esser pulita con pennelli dal sudiciume rimasto attaccato prima di poterla toccare con la mano. Se è sufficientemente solida, può innanzi tutto esser avvolta in carta di stagnola e poi in carta più solida sulla quale possono essere scritte anche notizie del ritrovamento. Dopo di ciò questo imballaggio deve seccare per almeno due settimane nell'interno di una casa, sinché la tavola si riduce alla sua grandezza normale. Quindi può essere bruciata nel forno per essere conservata per sempre (cfr. E. Chiera, They Wrote on Clay, 21). A questo scopo le tavolette vengono poste orizzontalmente in latte di benzina, separate dalla sabbia strato per strato e questi recipienti pieni sono esposti al calore forte in un forno per parecchie ore. Ciò basta perché le tavolette divengano dure come la pietra.
Le fotografie negli scavi nel Vicino Oriente. Le fotografie nelle spedizioni comportano molte difficoltà che il comune viaggiatore di questi paesi non può nemmeno immaginare. Il fotografo deve talvolta lavorare con qualsiasi tempo se alcuni ritrovamenti sono nascosti. Con le frequenti tempeste di sabbia in Egitto e in Mesopotamia gli apparecchi e il materiale filmistico sono esposti ad un grandissimo pericolo da parte della polvere fine che passa attraverso ogni cosa, penetrando per le più strette fessure di bauli, ceste, apparecchi e case; gli apparecchi possono divenire irrecuperabili, dato che i loro moderni e delicati meccanismi sono ultrasensibili; e perciò tutta la spedizione può esserne paralizzata. Così pure la polvere penetra nelle camere oscure, per lo più assai rudimentali e distrugge eventuale materiale filmistico ancora umido. Chi non ha lavorato mai in condizioni così primitive può a mala pena giudicarne le difficoltà. La luce del petrolio, manca infatti la luce elettrica, stanca, riscalda e produce fuliggine, dato che la fiamma luminosa è difficilmente controllabile con il cilindro rosso. Particolarmente complicata è la situazione dell'acqua, che comporta spiacevoli pericoli. In giorni caldi e notti fredde sarà difficile mantenere l'acqua alla temperatura prescritta; inoltre essa contiene molte impurità, così che è necessaria una lunga filtrazione. I più efficaci sono i filtri di argilla, fabbricati da pentolai locali, che in 12 ore filtrano circa 20 litri di acqua. Si deve aggiungere una seconda filtrazione con carta da filtro; l'acqua contiene ferro, batteri, nonché insetti, zanzare, scarafaggi ed altri piccoli esseri viventi che procurano altri danni.
Grande attenzione e molta esperienza richiedono le condizioni di luce nelle fotografie; durante il giorno è quasi impossibile fare fotografie perfette, poiché il bagliore provocato dall'aria riscaldata rende poco chiari i contorni e produce irradiazioni. Poichè le mura degli edifici sono dello stesso materiale del terreno, ci sono difficilmente differenze di colore; non c'è alcun chiaroscuro, poiché il sole è perpendicolare, mentre le ombre appaiono completamente nere. Di conseguenza si possono fare fotografie utilizzabili solo prima o dopo il tramonto del sole (cfr. K. Schrickel, Zeitschrift für angewandte Fhotographie, i, 1940, 146).
Bibl.: W. Andrae, Das wiederstandene Assur, Lipsia 1938; H. Bohtz, In den Ruinen von Warka, 1941; M. Burrows, What Mean These Stones?, New Haven 1941; E. Chiera, They Wrote on Clay, 8 ed., Chicago 1957; G. Contenau, Manuel d'archéologie orientale, I, 1927, 34; IV, 1947, 1693; A. H. Detweiler, Manual of Archaeological Surveying, New Haven 1948; M. Dunand, Fouilles de Byblos, I, Parigi 1939, 6; Syria, IX, 1928, I ss.; M. E. Foundoukidis, Manuel de la Tchnique des Fouilles archéologiques, Parigi, s. d.; Handbuch der Archäologie, I, 96 e ss., Monaco 1939; F. Koepp, Archäologie, I, Wiedergewinnung der Denkmäler, Berlino 1919; S. Lloyd, Mesopotamia, Excavations on Sumerian Sites, Londra 1936, 20 ss.; Du Mesnil du Buisson, La Techniques des Fouilles archéologiques, Parigi 1934; A. Parrot, Découverte des mondes ensevelis, Parigi 1952, 14 ss.; Archéologie mésopotamienne, II, Parigi 1953 (Technique et Problèmes); M. Wheeler, Archaeology from the Earth, Oxford 1954; C. L. Woolley, Digging up the Past, Londra 1954; id., Spadework, Londra 1955.
(R. Naumann)
B) I papiri greci. - I papiri greci - così come tutti quelli che restituisce l'Egitto - debbono la loro conservazione a circostanze felicemente riunite nella Valle del Nilo: aridità di clima, abbandono delle località abitate in antico e alto livello culturale dei vecchi centri. La burocrazia tolemaica e quella romana hanno confermato la tradizionale importanza egiziana del documento scritto e han rispettato nelle linee fondamentali l'organizzazione capillare degli archivi. La scuola ha avuto importanza determinante e legale nella identificazione delle varie classi sociali: documenti privati e pubblici, testi letterari sono stati perciò numerosissimi anche in centri assai modesti.
Un numero notevole di papiri proviene dal mercato antiquario, e perciò da scavi clandestini: ma la maggior quantità proviene da scavi regolari. Questi possono mettere allo scoperto case di abitazione o archivî pubblici o templari: i papiri, abbandonati nei livelli più bassi, sono talvolta conservati in ziri. Agli inizî degli scavi papirologici la ricerca dei documenti è avvenuta a scapito degli ambienti in cui essi erano conservati: muri sono stati disordinatamente abbattuti o tagliati, pavimenti sfondati. Oggi lo scavo papirologico ha inteso l'arricchimento di significato che ai papiri viene da una analisi dell'ambiente archeologico. Lo scavo nelle case non è comunque il più tipico: il maggior numero dei papiri greci deriva dai kimān (monticoli di detriti) formati in età antica dallo scarico di rifiuti attorno agli abitati. Se i resti organici non hanno fermentato, se vi sono strati di paglia, i papiri originariamente gettati come carta straccia possono salvarsi. L'importanza agricola del terriccio organico di cui i kimān sono costituiti (il cosiddetto sebbakh) ne ha determinato lo sfruttamento come cave di fertilizzanti e la conseguente scomparsa in parte già in età antica, in parte con la rinascita economica dell'Egitto nel secolo scorso, in parte in età assai recente, malgrado la severa legislazione in proposito. Un ultimo gruppo di papiri proviene da tombe. A parte i rarissimi esempi di papiri deposti fra le offerte (esempio classico i Persiani di Timoteo, il più antico fra i papiri letterari greci) il caso più frequente è quello di papiri rivenduti dagli archivi pubblici perché documenti ormai definitivamente scaduti, e adoperati - impastati con gesso e colla nel cosiddetto cartonnage per sarcofagi a buon mercato di mummie umane o di animali sacri (specie di coccodrilli, dove lunghi rotoli possono utilmente venire impiegati). Tali papiri, con opportuni lavori di restauro, possono essere recuperati alla lettura e allo studio.
La tipica regione di provenienza dei papiri greci è il Fayyūm (v.), dove l'abbassarsi del livello dell'acqua del lago ha lasciato nel deserto circostante all'oasi una corona di villaggi originariamente in terra fertile e in seguito abbandonati. Ma il Medio Egitto (Ossirinco soprattutto, e Hermopolis, Herakleopolis, Antinoe) e la Tebaide (Aphroditopolis, Edfu, Tebe ed Elefantina con antichissimi documenti) han dato notevolissimi gruppi di carte antiche. Non ne restano invece (altro che come pochi frammenti carbonizzati, o perché venduti altrove per i cartonnages) dal Delta, dove l'umidità e l'attività agricola cambiano completamente le condizioni di ambiente.
Bibl.: W. Schubart, Einführung in die Papyruskunde, Berlino 1918; B. P. Grenfell, A. S. Hunt, D. G. Hogarth, Fayum Towns and Their Papyri, Londra 1900; J. Baikie, Egyptian Papyri and Papyrus Hunting, Londra 1925; E. Breccia, I papiri greci d'Egitto, in Egitto Greco e Romano, (3a ed.), Pisa 1957, pp. 56-69.
(S. Donadoni)
4. Esplorazione aerea. - La fotografia aerea rende spesso possibile, grazie alla sinteticità della visione dall'alto, l'accertamento di elementi archeologici che sfuggono alla esplorazione da terra.
Ruderi molto esigui, sparsi su di una vasta area, acquistano infatti, nella veduta di insieme, una consistenza precisa che ne permette una sufficiente valutazione (e si può così ricostruire il tracciato di vie, di mura, ecc.). Ruderi sepolti sono inoltre rivelati da lievi ondulazioni del terreno, che sono messe particolarmente in rilievo quando una illuminazione radente, all'alba o al tramonto, accentua le ombre (ciò si verifica soprattutto nei deserti sabbiosi della Siria e dell'Africa). In terreni coltivati poi la presenza di ruderi sepolti è avvertibile per la colorazione più chiara della vegetazione cresciuta stentatamente al di sopra di essi: tale variazione di colore non si nota in genere da terra, ma solo nel quadro generale della veduta dall'alto. Depositi di materie organiche, quali si hanno per esempio intorno alle capanne dei villaggi preistorici, facilitano invece lo sviluppo della vegetazione, e determinano quindi nella fotografia tracciati più scuri. Anche rovine sommerse in fondali non troppo profondi possono essere rivelate dalla fotografia aerea (Tiro, Baia, Anzio). È da aggiungersi poi che la fotografia aerea serve, oltre che alla vera e propria e. a. (talora connessa con campagne di scavo) anche allo studio topografico di zone più ampie (viabilità, centuriazione, v.) e alla documentazione cartografica (particolarmente mediante restituzioni aerofotogrammetriche). Nella ripresa delle fotografie può avere importanza la stagione (per la vegetazione) e l'ora (per le ombre); opportuno è l'uso di filtri che accentuino i contrasti cromatici e anche l'uso del colore (come si è visto per Spina). Alle fotografie oblique (panoramiche) sono di regola preferibili quelle verticali (planimetriche), che presentano anche il vantaggio di potere essere usate come una pianta (si veda vol. i, fig. 123). L'altezza della ripresa può variare secondo la trasparenza dell'aria (di solito 1000-2000 m); comunque per avere buoni risultati la scala non dovrebbe essere superiore a 1 : 20.000. La lettura della fotografia viene poi molto facilitata dall'uso dello stereoscopio.
Il primo esempio di applicazione della fotografia aerea nell'archeologia sono le fotografie riprese da un pallone frenato nel 1899, per iniziativa di Giacomo Boni nell'area del Foro Romano, durante i grandi scavi da lui diretti. Sempre dal pallone fu ripresa nel 1911 una fotografia degli scavi di Ostia. Lo sviluppo dell'aviazione nella guerra 1914-18 portò a intraprendere più vaste ricerche per mezzo di fotografie aeree: nella zona del Sinai per opera di Th. Wiegand (negli anni stessi della guerra), in Mesopotamia per opera di G. A. Beazeley (1919), in Siria dove A. Poidebard (1919, e dopo il 1925) scoprì e documentò il limes dell'Impero, e soprattutto in Inghilterra grazie alla opera di O. G. S. Crawford (dal 1922), seguito da G. W. G. Allen e da altri, e recentemente da I. K. St. Joseph, con risultati molto importanti sia per l'età preistorica che per quella romana (fortezze, strade, divisioni agrarie). In Italia la possibilità di applicazione del metodo fu dimostrata dalle ricerche di G. Lugli (1939) sui porti di Claudio e di Anzio; dopo l'ultima guerra la sempre maggiore quantità di materiale fotografico resosi accessibile ha permesso una più vasta applicazione, con notevoli risultati: la migliore conoscenza delle necropoli di Tarquinia e di Cerveteri (Bradford), la scoperta di insediamenti preistorici nelle Puglie (Bradford), l'identificazione di Aefulae (Cozza), e di Spina (Alfieri e Valvassori), la precisa delineazione della viabilità di molte zone dell'Etruria meridionale (Ward, Perkins e Frederiksen), la prima individuazione della Pyrgi etrusca, la determinazione delle più antiche centuriazioni e della pianta "ippodamea" delle città di Metaponto, Paestum, Agrigento (Castagnoli). In Algeria, una fortunata campagna ha permesso a J. Baradez (1946-1947) di stabilire il limes; in Tunisia l'Institut Géographique Nationai ha eseguito un rilevamento generale per accertare il sistema delle centuriazioni (1956).
Bibl.: Trattazioni a carattere generale: P. Chombart de Lauwe, La photographie aérienne, in La découverte du passé, Parigi 1952, p. 45 ss.; O. G. S. Crawford, A Century of Air-photography, in Antiquity, 112, dic. 1954, p. 206 ss.; J. Bradford, Ancient Landscapes, Londra 1957. Per la storia delle ricerche: E. Tea, Giacomo Boni, Milano 1932, II, p. 26 s.; G. Calza, Scavi di Ostia, I, Roma 1953, p. 61; G. A. Beazeley, Air Photography and Archaeology, in Geographical Journal, LIII, 1919, p. 330 s.; Th. Wiegand, Sinai, Berlino-Lipsia 1920; O. G. S. Crawford, Air Survey and Archaeology, in Geographical Journal, 1923, p. 342 ss. Ricerche particolari: A. Poidebard, La trace de Rome dans le désert de Syrie, Parigi 1934; id., Un grand port disparu: Tyr, Parigi 1939; R. Mouterde-A. Poidebard, Le limes de Chalcis, Parigi 1945; G. Lugli, Saggi di esplorazione archeologica a mezzo della fotografia aerea, Roma 1939, J. Baradez, Fossatum Africae, Parigi 1949; J. K. St. Joseph, Air Reconnaissance of North Britain, in Journ. Rom. St., XLIII, 1953, p. 81 ss.; F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956; Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956; id., Le ricerche sui resti della centuriazione, Roma 1958; id., La pianta di Metaponto, in Rendic. Linc., s. VIII, XIV, 1959, p. 49 ss.; id. e L. Cozza, Appunti sulla topografia di Pyrgi, in Papers Brit. School Rome, XXV, 1957, p. 16 ss.; L. Cozza, Sito dell'antica Aefulae, in Rend. Linc., s. VIII, XIII, 1958, p. 248 ss.; N. Alfieri-V. Valvassori, La scoperta dell'abitato di Spina, in Inedita, I, 1956-57, n. 2-3, p. 83-102; Institut Géographique National, Atlas des centuriations romaines de Tunisie, Parigi 1956; G. Schmiedt, Applicazioni della fotografia aerae in ricerche estensive di topografia antica in Sicilia, in Kokalos, III, 1957, p. 18 ss.; J. K. St. Joseph, Air Reconnaissance in Britain 1955-56, in Journ. Rom. Stud., XLVIII, 1958, p. 86 ss.
(F. Castagnoli)
5. Esplorazione subacquea. - Una recente applicazione dei moderni mezzi che permettono all'uomo la permanenza prolungata sui fondali sottomarini è stata rivolta alla esplorazione dei relitti archeologici affondati lungo le coste e delle strutture architettoniche, che per effetto dell'abbassamento costiero (bradisismo) si siano venute a trovare sotto il livello marino. (Caso tipico quello del litorale di Baia).
Oltre ai consueti mezzi di indagine preliminare, quali la raccolta di notizie bibliografiche e di dati cartografici, sono di particolare aiuto, anche qui, l'esplorazione e la fotografia aerea. Questa va effettuata però con particolari accorgimenti, onde evitare il riflesso dello specchio d'acqua. Generalmente si prepara così una carta della zona, dividendola per quadrati, che andranno poi chiaramente delimitati da gavitelli o piccole boe ai quattro angoli. Particolare attenzione va data allo stato del fondo, perché se è abbastanza agevole rilevare resti archeologici sopra un fondo roccioso, sulla sabbia o sul fango il facile sommuoversi del fondale obbliga a ripetute osservazioni.
Nei fondali poco profondi si può effettuare una esplorazione diretta dalla superficie con l'uso di un batiscopio (o "specchio"); dove le profondità sono maggiori l'imbarcazione di appoggio rimorchierà il cavo zavorrato, alla cui fine, tre o quattro metri al di sopra del fondale, ci sarà un appiglio per l'osservatore sommerso. Questi, in contatto con l'imbarcazione per telefono, trasmetterà i dati che potranno, da chi sta in superficie, essere riportati sulla carta. Il reperto archeologico sarà inoltre definito nella sua esatta posizione mollando dal fondale piccoli galleggianti, che faranno poi da segnalatori di superficie. È necessario in ogni caso evitare di alterare il fondale marino o di rimuovere gli oggetti prima che sia accertata la loro entità, e far subentrare subito gli esperti per i rilievi grafici e fotografici.
La buona conoscenza del mare, delle correnti e dei ridossi, unita a quella delle secche e dei bassi fondali è praticamente indispensabile e consentirà, durante l'esplorazione, di orientarsi con facilità nei rintracciamenti.
Come attrezzature, oltre a una imbarcazione, munita sul fondo di un oblò che permette l'osservazione del fondale, sono da considerare le speciali maschere fornite di vetro, nonché i respiratori ad ossigeno e ad aria compressa, in uso per la pesca subacquea. Strumenti atti al rilevamento (bussola, apparecchi fotografici appositamente attrezzati, fogli di plastica speciali per disegnare) vengono fabbricati appositamente per l'uso subacqueo. Per lo scavo sul fondale sabbioso o fangoso ci si vale di una pompadraga centrifuga o, al di là dei 10 m di profondità, di un sistema di aspirazione creato da una colonna d'aria ascendente in un tubo, detto sorbona. Apparecchiature elettriche stagne consentono anche di portare in mare forti lampade, necessarie per l'esplorazione stessa e per la fotografia. L'esploratore immerso si protegge dal freddo con indumenti di caucciù e si serve di pinne natatorie ai piedi. Più raramente si presenta l'utilità dei mezzi meccanici di propulsione subacquea, simili alle torpedini guidate dai sommozzatori per uso bellico.
Per quanto dovuti a scoperte casuali (generalmente ad opera di pescatori di spugne), si possono ricordare i trovamenti di Mahdia in Tunisia, dove fu trovato un carico di marmi e di bronzi greci (Tunisi, Museo del Bardo) e quelli di Anticitera (la prima scoperta subacquea in ordine di tempo, primavera del 1900) e del Capo Artemision in Grecia, che dettero magnifici originali in bronzo (Atene, Museo Nazionale: statua virile e ritratto, da Anticitera; Zeus-Posidone di stile severo e Fanciullo Fantino dell'inizio dell'ellenismo, da Capo Artemision). Il recupero delle navi imperiali di Nemi fu fatto con mezzi particolari, che compresero un abbassamento del livello delle acque (v. nemi).
L'Istituto oceanografico del Comandante Cousteau in Francia si occupò, sotto la guida del Benoit, Direttore del museo di Marsiglia, dello scavo subacqueo di un relitto romano al Grand Conglouée. L'Underwater Exploration Club facente capo alla Università di Cambridge effettuò lavori di rilievo della parte sommersa della città di Apollonia. Il Centro Sperimentale di Archeologia Subacquea dell'Istituto di Studi Liguri, recuperò un carico di anfore da un relitto romano di Albenga. Esso ha promosso recentemente la compilazione di una carta archeologica del fondo marino. L'Istituto Mediterraneo di Archeologia Sottomarina, presieduto dal Marchese P. N. Gargallo, ha raccolto in Siracusa una notevole collezione di ceppi d'ancora e di elementi di attrezzatura in piombo. Particolare interesse hanno le ricerche effettuate dal Comandante R. Bucher a Baia, sotto la guida di A. Maiuri. Organizzazioni che si occupano di ricerche subacquee in genere, ed anche archeologiche, sono sorte in varî paesi: Club Alpin Sousmarin svizzero-francese, attivo sulle coste della Provenza; Taucher-Gruppe a Trier e Xanten, per le ricerche nel fiume Reno; Centro de Recuperación e Investigaciones, a Barcellona; Centro Portugues d'Actividades Submarinas, a Lisbona.
Bibl.: L. Casson, Sea Digging, in Archaeology, VI, 153, p. 221 ss.; id., More Sea Digging, in Archaeology, X, 1957, p. 248 ss.
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6. Metodo del radiocarbonio. - Il progresso della fisica atomica ha condotto alla elaborazione di un nuovo procedimento di utilizzazione del carbonio radioattivo, che è stato essenzialmente applicato per conoscere l'età dei resti organici che si rinvengono in uno strato archeologico. Si deve a W. F. Libby, dell'Università di Chicago, la scoperta che, misurando la radioattività di un resto organico, si conosce implicitamente l'età dello stesso.
Ogni resto organico contiene carbonio, che ha peso atomico 14, a differenza del carbonio normale di peso atomico 12. Questo carbonio si disintegra dopo la morte della materia vivente con una vivacità determinata dalla legge del decadimento radioattivo, cosicché datando il carbonio 14 di un residuo organico animale o vegetale, trovato in un giacimento, se ne può calcolare l'età e quindi, implicitamente quella degli oggetti archeologici trovati assieme.
Il nuovo metodo importa procedimenti delicatissimi e cautele non indifferenti; in caso contrario non si raggiunge lo scopo voluto. La prima operazione consiste nel raccogliere i resti organici, cioè frammenti di legno (tronchi vegetali, resti di impalcati, di costruzioni, ecc.), di ossa di animali, di carbone di focolare rinvenuti in uno scavo archeologico, ed anche resti di terreno fossile. Questa raccolta va scrupolosamente effettuata, perché i resti da esaminare vanno manipolati il meno possibile e rinchiusi in recipienti di vetro per evitare una loro alterazione (i recipienti devono essere, infatti, fabbricati con sostanze che siano il meno radioattive possibili). Segue la pulitura dei campioni, in modo di privarli di radioattività impure, e destinarli, quindi, alla misura dell'età. Naturalmente in questa seconda fase di pulitura entra la competenza del geochimico, poiché bisogna trattare con reagenti chimici i resti, affinché ne sia enucleata la porzione da utilizzare e, nello stesso tempo, non ne sia alterata la radioattività residuale.
La terza e ultima fase dell'operazione si attua impiegando un contatore Geiger. Introducendovi i resti ben puliti, il contatore ne misura la radioattività residuale. Con un calcolo matematico, che tiene conto della vita media del carbonio 14, si ottiene, con un margine di probabilità calcolato in anni (il cosiddetto margine di errore), la data del resto organico. Per conseguenza si ha anche la data dei trovamenti archeologici rinvenuti assieme al resto organico. Poiché il margine di errore (inizialmente da circa 40 a 200 anni in più o in meno) va sempre più riducendosi col progredire della tecnica sperimentale, il metodo del radio carbonio, inizialmente utile solo per le datazioni nell'ambito delle età geologiche e preistoriche, va acquistando maggiore utilità.
Molte datazioni hanno più o meno confermato le cr0nologie elaborate sulla base di documenti scritti o di sole testimonianze materiali (ceramica, comparsa di determinati strumenti) o di fatti geologici (periodi delle glaciazioni, delle grandi pioggie ecc.). Altre, aprono nuovi orizzonti per lo studio delle civiltà protostoriche eurasiatiche e pongono su nuove basi l'inquadramento storico di alcuni gruppi culturali.
Le date più sorprendenti sono quelle che riguardano l'inizio della civiltà agricola in Eurasia. Esse dimostrano che le culture protoagricole, pur manifestando differenziazioni e diversi valori di sviluppo, si delineano, per esempio, già attorno al V millennio a. C.
Naturalmente la cronologia assoluta ottenuta dal carbonio 14 va interpretata nel senso di una datazione di un determinato momento (e in un determinato luogo) nello sviluppo storico di una particolare cultura.
In altri termini, per potere tracciare il decorso storico di una civiltà nel suo sviluppo interno, sarebbe necessario un notevolissimo numero di misurazioni in giacimenti diversi in cui la medesima cultura compare, e che testimonino i diversi momenti in cui una data civiltà si articola nel tempo.
Bibl.: W. F. Libby, Radiocarbon Dating, Chicago 1952, II, ed., 1955; F. E. Zeuner, Dating the Past, Londra, III ed., 1952; per una informazione sul metodo e sulle principali applicazioni: F. Biancoflore, in La Parola del Passato, LXIII, 1958; id., in Annali della Pubblica Istruzione, V, 1959, p. 320 ss.
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