Vedi ESPLORAZIONE ARCHEOLOGICA dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
ESPLORAZIONE ARCHEOLOGICA (v. vol. iii, p. 444-459)
Esplorazione aerea (v. vol. iii, p. 456). - Dal 1960 le applicazioni della fotografia aerea nelle ricerche archeologiche hanno cominciato ad assumere un carattere più sistematico che in passato. È stato così possibile raccogliere un gran numero di dati sperimentali su quanto concerne: le caratteristiche delle fotografie aeree da utilizzare nelle ricerche, gli aerei e le camere da presa, l'epoca e le modalità di esecuzione dei voli, la tecnica ed il metodo di foto-interpretazione. I risultati ottenuti sono stati illustrati e discussi per la prima volta al Colloque International d'Archéologie Aérienne di Parigi (31 agosto-2 settembre 1963) e successivamente al X Congresso Internazionale di Fotogrammetria di Lisbona (7-19 settembre 1964) ed al II Simposio Internazionale di Foto-interpretazione di Parigi (26-30 settembre 1966). Pertanto oggi si è in grado di tracciare un quadro abbastanza completo sulla evoluzione delle ricerche e degli studî condotti in materia.
Le fotografie aeree sono state impiegate:
a) come mezzo di scoperta vero e proprio, cioè idoneo a rivelare la situazione topografica di resti archeologici sepolti a profondità media e di strutture marittime sommerse in fondali non molto profondi;
b) come documento topografico utile per eseguire rilievi plano-altimetrici a grande scala di centri archeologici in fase di scavo (per esempio pianta di Pompei a scala 1 : 1000) e per ricostruire la situazione geo-topografica antica di una regione.
Per lo scopo a) le fotografie che hanno dato i migliori risultati sono quelle oblique, riprese in epoca scelta in relazione al tipo delle tracce prodotte sul terreno o sui fondali dai resti archeologici sepolti o sommersi. Da rilevare però che lo studio delle zone in esame è stato di norma completato con fotografie verticali stereoscopiche e, laddove necessario (centri urbani, tracciati stradali, ecc.), con fotopiani e mosaici.
Per lo scopo b) sono state utilizzate fotografie verticali riprese con camere aerofotogrammetriche a scala idonea al tipo di rilievo desiderato, cioè a grande scala (da 1 : 6ooo ad 1 : 1000) per rilievi plano-altimetrici ed a media e piccola scala (da 1 : 6ooo a 1 : 25.000) per ricerche di topografia antica (ricostruzione di antiche linee di costa, di alvei scomparsi, di strade e suddivisioni agrarie antiche, ecc.).
Le emulsioni più largamente impiegate sono state quelle pancromatiche (per esempio Agfa Aeropan, Ferrania Aviopanchro, Gevaert Aviphot Pan 30 e 33, Guilleminot Panchroguil, Ilford Uyperpan e High Resolution Panchromatic, Kodak Aerographic + x e Super x, ecc.). Le emulsioni a colori, invertibili o del tipo processo negativo-positivo (come Kodak Ektacrome Aero-Film tipo 84424 Ansochrome D/200, Daylight Colour film PNI, Agfa-color, Gevaert Avicolor, Ferrania Dia 28, ecc.) hanno dato ottimi risultati nella presa di foto oblique o di foto verticali stereoscopiche di fondali e zone verdi ricche di resti sepolti. Le emulsioni all'infrarosso convenzionali o a colori (ad esempio Kodak Ektachrome Infrared Aero tipo 8443 degli Stati Uniti, Spectrozonal SN-i, 2, 3 e 4 dell'U.R.S.S.), combinate a filtri opportuni (gialli, arancione, ecc.) hanno offerto buoni risultati in zone umide. Da segnalare inoltre il notevole contributo che potrebbe essere offerto dai recenti procedimenti Multi-Band, esperimentati in America.
Le prestazioni migliori per le prese verticali sono state offerte dagli aerei con muso trasparente per il navigatorefotografo (ad esempio l'Hurel-Dubois HD 34, usato in Francia dall'I.G.N. e il Beachcraft U.C. 45 impiegato in Italia dall'I.G.M.). Per le foto oblique sono stati utilizzati elicotteri ed aerei leggeri. Di recente in America sono stati esperimentati elicotteri fotografici (ad esempio Bell J-2) che risolvono il problema di riprendere a bassissima quota rilievi verticali stereoscopici e foto oblique da varî punti di vista.
Le Camere aerofotografiche più utili per l'esecuzione di foto verticali sono apparse quelle aerofotogrammetriche (cioè idonee alla costruzione di rilievi plano-altimetrici), fornite di coni intercambiabili per prese a colori o all'infrarosso. Per la presa di foto oblique i migliori risultati sono stati ottenuti con camere brandeggiabili di gran formato (per esempio 24 × 24 cm2) e con coni di varia lunghezza focale (per esempio la K-17 che usa coni da mm 153-305-610). Da osservare però che, volando su aerei leggeri alcuni ricercatori (per esempio R. Agache) hanno utilizzato con successo normali apparecchi fotografici terrestri.
I rilievi aerofotografici occorrenti come documento topografico debbono essere eseguiti nella stessa epoca in cui vengono fatti i voli a scopo cartografico, cioè in una stagione in cui la vegetazione non ricopra direttamente o indirettamente (ombre portate) le strutture archeologiche messe in luce o semiaffioranti. I rilievi da utilizzarsi come mezzo di scoperta debbono invece essere effettuati solo nel momento in cul sul terreno compaiono le indicazioni che rivelano i resti sepolti. Queste indicazioni sono di quattro tipi e, in base alla terminologia introdotta dagli archeologi inglesi che per i primi le hanno studiate scientificamente, possono definirsi: cropmarks, grass(weed)-marks, soilmarks, damp-marks.
I crop-marks sono dovuti alle variazioni di altezza che si verificano durante la crescita delle colture agrarie in corrispondenza del tracciato dei resti sepolti. In genere si può dire che le colture si sviluppano più rapidamente sopra i fossati antichi e più stentatamente sopra le strutture murarie. Ciò si traduce nelle fotografie aeree in tracce di tono scuro nel primo caso, di tono chiaro nel secondo caso. La rivelazione di queste tracce, a parità di profondità dei resti sepolti, di condizioni geopedologiche e di condizioni di presa aerea (epoca, ora, inclinazione dell'asse ottico della camera) dipendono dal tipo delle colture e dalla maggiore o minore umidità immagazzinata dal terreno soprastante i resti sepolti. Questo fatto, ipotizzato da O. G. S. Crawford nel 1924, è stato ora confermato sperimentalmente da Irvin Scollar in Renania attraverso l'analisi di campioni del terreno accumulatosi sopra i resti sepolti o nell'interno degli antichi fossati. Da quanto sopra deriva che solo dopo esperienze ripetute in un lungo arco di tempo e fatte in condizioni diverse sarà possibile scegliere il momento ideale per fotografare una determinata zona archeologica. Convincenti esempî in proposito sono stati offerti da René Goguey in Borgogna. In otto anni di voli, ripetuti nelle stesse zone archeologiche (Alesia, le Balard, Mirebeau, Vix), egli ha constatato che il periodo più favorevole per fotografare queste tracce è quello compreso fra il 15 giugno ed il 15 luglio e che in alcuni casi le tracce di alcune strutture sono comparse solo tre o quattro volte in tutto.
I grass(weed)-marks sono dovuti alle variazioni di crescita e di tipo che le colture erbacee o le associazioni erbacee spontanee assumono lungo il tracciato dei resti sepolti. Anche queste tracce, come le precedenti, sono rilevabili solo ad epoche ben determinate.
I soil-marks si verificano durante i lavori preparatori del terreno quando l'aratro riporta in superficie frammenti di ceramica, laterizi, strutture murarie, ecc. soprastanti i resti sepolti. Essi sono particolarmente evidenti alla fine dell'inverno (febbraio) ed in alcuni casi possono essere molto più fruttuosi dei crop-marks che si verificano sopra gli stessi resti in primavera o al principio dell'estate. R. Agache, sfruttando il momento più favorevole per fotografarli, ha infatti dimostrato che su 410 ville gallo-romane da lui scoperte nella Somme solo 10 sono state rivelate dai cropmarks.
I damp-marks si formano sul terreno nudo quando il tempo dopo un lungo periodo di pioggia migliora ed il suolo si prosciuga rapidamente. Occorre fotografarli nel momento più favorevole, cioè non troppo presto quando il terreno è ancora uniformemente imbevuto d'acqua, nè troppo tardi quando il contrasto di tono fra le zone permeabili e quelle impermeabili tende a scomparire. È inoltre da tenere presente che si riproducono varî giorni dopo la pioggia nelle prime ore del mattino quando il suolo è ancora umido di rugiada. Merita puntualizzare, come ha constatato R. Agache nella Somme, che sulle foto prese quando il suolo comincia a prosciugarsi i soil-marks e i damp-marks si distinguono contemporaneamente rivelando la pianta dei resti sepolti con sorprendente chiarezza.
Per quanto riguarda la presa aerea di strutture marittime si è constatato che è possibile fotografare resti sommersi sino alla profondità di 10-15 m e che le condizioni necessarie per ottenere buone immagini sono: mare calmo e senza riflessi, buona trasparenza dell'acqua, buone condizioni di luce dei resti e loro marcato risalto sul fondo marino per effetto di ombre portate o di contrasto di colore o di tono.
Per la foto-interpretazione sono stati impiegati nuovi tipi di stereoscopi: da campagna per riconoscere sul terreno le tracce di resti sepolti (per esempio Mod. S.F.G. I, Galileo), a specchi mobili per l'osservazione contemporanea di due operatori (ad esempio Mod. S.F.G. 2/3, Santoni), con dispositivi per la misurazione delle parallassi (utili a rilevare l'altezza dei particolari) e per l'esecuzione di schizzi planoaltimetrici (ad esempio Mod. Hilger-Watts cs 164).
L'interpretazione delle fotografie, fatta sulla scorta di tutte le fonti disponibili (storiche, letterarie, epigrafiche, archeologiche, geomorfologiche, ecc.) deve essere sempre controllata sul terreno. Alcuni ricercatori hanno fornito convincenti esempî sul metodo da seguire per la determinazione della cronologia relativa ad elementi archeologici sovrapposti o giustapposti, basandosi sulla ricerca e sul confronto di anomalie morfologiche delle strutture osservate sulle fotografie aeree (Max Guy) o sulle relazioni reciproche di due o più elementi naturali ed artificiali (Raymond Chevallier). Sono stati inoltre proposti varî metodi per la formazione di "chiavi fotografiche" di confronto (Raymond Chevallier, Giulio Schmiedt).
Ricerche effettuate. - In Italia l'impulso maggiore alla foto-interpretazione archeologica è stato dato dall'Aerofototeca Archeologica del Ministero della P. I., organizzata all'inizio del 1959 da D. Adamesteanu. Questo Ente ha provveduto a raccogliere, classificare e mettere a disposizione delle Soprintendenze alle Antichità le fotografie aeree relative alla zona di loro competenza; ad organizzare in accordo con lo S. M. dell'Aeronautica Militare speciali riprese aeree archeologiche e corsi di foto-interpretazione archeologica a favore delle Soprintendenze alle Antichità e ai Monumenti (archeologi e tecnici); ad allestire, in collaborazione col T.C.I., una Carta delle zone archeologiche d'Italia a scala 1:200.000, creata sia a scopo di studio sia per evitare la pianificazione di lavori di bonifica, stradali, ecc. su zone d'interesse archeologico.
Altri Enti che hanno compiuto importanti studî di carattere archeologico sono l'I.G.M. di Firenze, l'Istituto di Topografia Antica dell'Università di Roma e la British School di Roma. L'I.G.M. ha in corso di stampa un Atlante aerofotografico dell'insediamento umano in Italia di cui il Il volume illustra le "Sedi antiche scomparse (143 Tavole)" e il III le "Centuriazioni romane e le strade antiche" (90 tavole). Ha pubblicato inoltre una serie di ricerche sui porti antichi in Italia condotte da Giulio Schmiedt. L'Istituto di Topografia Antica ha pubblicato numerosi saggi di foto-interpretazione archeologica relativa a centri antichi scomparsi (ad esempio Tellene, Aquino, Venafro, Fondi, Isernia, Telesia, Sulmona, Peltuinum, Norchia, Cori, Alpino, Antino, Anagni, Bolsena, Ferento), a strade antiche (Via Caere-Pyrgi, Via Ardeatina, Via Aurelia) e ad antichi campi di battaglia in Italia (come Talamone, Sentino, Forche Caudine). Ha curato inoltre la pubblicazione di tre volumi della Forma Italiae (Siris-Heraclea, Tibur, Tellenae), redatti in base a studi eseguiti sulle fotografie aeree. La British School ha svolto una serie di ricerche sull'Etruria meridionale e sul Latium Vetus utilizzando la fotografia aerea. Applicazioni sistematiche della fotografia aerea sono state inoltre fornite da varî ricercatori per lo studio della topografia antica del Ravennate, di centuriazioni romane, di strade antiche, di centri archeologici e per la ricostruzione di antichi campi di battaglia.
In Francia le applicazioni della foto-interpretazione archeologica hanno avuto carattere estensivo e sistematico in Piccardia (Roger Agache), in Borgogna (René Goguey), nelle Ardenne (Raymond Chevallier), nella Marna (Robert Ertlé), nelle zone di Melun-Epernay-Troyes (Daniel Jalmain) e di Senan-Aillant, Laduz (Raymond Kappss). I risultati più cospicui sono stati ottenuti da Roger Agache, direttore delle Antiquités Préhistoriques de la Circoscription de Lille. Egli dall'aprile del 1960 ha continuato tutti gli anni a volare sistematicamente lungo la vallata della Somme (Piccardia), scoprendo un migliaio di insediamenti protostorici sconosciuti, varie centinaia di ville ed abitati gallo-romani livellati dai lavori agricoli, numerosi oppida, castra e strade d'età romana. Una grande opera propulsiva è stata svolta da Raymond Chevallier, direttore dei corsi di foto-interpretazione archeologica all'Ecole pratique des Hautes Études (Sezione IV), Presidente della VII Commissione (Foto-interpretazione) della S.I.P.; organizzatore dei convegni di foto-interpretazione archeologica di Parigi, autore di fondamentali saggi sul metodo da seguire nella foto-interpretazione archeologica e di importanti ricerche di topografia antica. Da ricordare infine il grande contributo dato a queste ricerche dal Service de la Documentation Tecnique e dall'Aerophotothèque" dell'Istituto Geografico Nazionale di Parigi, ente che ha messo a disposizione dei ricercatori francesi la copertura aerea della Francia.
In Inghilterra sono continuati i voli aerofotografici sistematicamente pianificati ogni anno dalla Committee for Aerial Photography of the University of Cambridge presieduta dal Prof. J.K. St. Joseph. Come risulta dalle relazioni triennali pubblicate nel Journal of Roman Studies e dai rapporti periodicamente riportati in Antiquity questi voli, sebbene eseguiti in zone fotografate ripetutamente a partire dal 1921 (si ricordino ad esempio le foto eseguite dall'Ordnance Survey Office e dalla R.A.F. nelle zone di Everley nel Wiltshire), sono apparsi fecondi di nuove scoperte sia nel campo degli insediamenti preistorici (ad esempio luoghi di culto o henges della cultura dei beakers) e protostorici (ad esempio hill-forts), sia per quanto riguarda i resti d'età romana (ad esempio valli di Adriano e di Antonino, castra, ville e fattorie di vario tipo, ecc.), sia nel settore dell'archeologia agraria (ad esempio campi celtici e sassoni, recinti e installazioni agricole dell'alta valle del Tamigi, ecc.).
In Belgio il Service de Fouilles ha utilizzato rilievi aerofotografici forniti dall'Aeronautica Militare, dall'Istituto Geografico Militare e dal Servizio Topografico e Fotogrammetrico del Ministero dei Lavori Pubblici. Fra le varie ricerche merita ricordare quelle relative all'individuazione di Campi d'urne nella regione della Campine (Belgio nord-orientale), di cinte fortificate d'età preromana (ad esempio Sommerain, Tenneville, Buzenol, Ethe, ecc.) o più recente (ad esempio Hotton, Virton, Dourbes, Etalle, Kolmont, Udange, ecc.) e delle opere del limes Belgicus. Il maggior impulso alle suddette ricerche è stato dato dal prof. Joseph Mertens, che dal 1955 ha intrapreso lo studio sistematico della rete stradale e degli insediamenti d'età romana.
In Olanda - nazione che ha la fortuna d'avere a Delft uno dei centri di foto-interpretazione meglio organizzati del mondo - non sono da segnalare ricerche archeologiche di carattere sistematico. Dopo gli studî sperimentali compiuti nel 1947-48 da C.A.J. Von Frijtag Drabbe, direttore dell'Istituto Topografico Olandese, la fotografia aerea è stata applicata con successo solo dal Servizio degli Scavi di Amersfoort (prof. I. A. Brongers) per l'individuazione di terpen sorti nel 300 a. C. nei polder delle province di Friesland e di Groningen, per l'identificazione di campi celtici (500 a. C.) a struttura retiforme e per la ricostruzione di strade romane nella zona di Venlo (prov. di Limburgo).
Nella Germania Federale è stato organizzato nel 1959 presso il Landesmuseum di Bonn un centro di prospezioni archeologiche fornito di apparecchiature geofisiche divario tipo e di aerei fotografici. Questo centro, diretto dal prof. I. Scollar, ha eseguito rilievi aerofotografici estensivi in Renania, scoprendo un gran numero di resti archeologici sepolti di varia epoca: villaggi trincerati del Neolitico, tumuli della civiltà di Hallstatt, campi d'urne, tumuli circolari dalla fine dell'Età del Bronzo al principio dell'Età del Ferro, recinti dell'Età del Ferro del tipo chiamato Heidenstadt, recinti dell'epoca di La Tène localmente detti Gräber Gärten, accampamenti e campi di esercitazione romani, ville e fattorie romane, ecc.
In Svizzera le fotografie aeree archeologiche sono fornite ai Services de Conservation et de Protection des Monuments Historiques dei varî cantoni dall'aviazione militare e dal Service topographique fédéral, dietro richiesta fatta direttamente o tramite uno speciale Bureau central pour la photographie aérienne, annesso alla Societé Suisse de Prehistorie. La fotointerpretazione è stata applicata per l'individuazione di necropoli della civiltà di Hallstatt e resti di età romana (fattorie, ville, ecc.).
In Spagna le fotografie aeree, fornite agli archeologi dall'Aeronautica militare, sono state utilizzate nella maggior parte dei centri archeologici in fase di scavo.
In Iugoslavia l'Istituto di Archeologia dell'Università di Zagabria ha utilizzato la fotografia aerea per la ricostruzione dell'urbanistica di alcune colonie greche della Dalmazia (Issa, Pharos, Tragurios, Epetion, Salona).
In Polonia è stata organizzata una ricerca sistematica dei varî resti archeologici del territorio nazionale dall'Istituto di Storia dell'Accademia Polacca delle Scienze. I risultati sono illustrati nell'Atlante delle antiche cinte fortificate. Le fotografie aeree, come ha illustrato a Parigi nel 1962 il prof. W. Szafranski, sono state riprese particolarmente con elicotteri e con piccoli palloni muniti di camere fotografiche comandabili da terra.
In Russia la fotografia aerea è stata impiegata con successo nella identificazione di suddivisioni agrarie antiche nella regione di Kliorezm.
In Africa settentrionale sono continuate le esplorazioni aeree dei resti romani della Tunisia, dell'Algeria e della Libia, iniziate sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Un'applicazione di grande interesse è quella fornita da S. Stucchi a Cirene, centro di cui la fotografia ha rivelato con grande chiarezza il reticolato urbano di tipo ippodameo. Merita inoltre ricordare importanti ricerche di foto-interpretazione archeologica compiute nell'alta valle del Nilo (Nubia sudanese) dal francese J. Vercoutter, in occasione della costruzione della diga di Assuan.
Nel Medio Oriente la fotografia aerea è stata applicata con successo in Israele per l'identificazione delle fortificazioni del limes Pelestinae in età romana e bizantina, per la ricostruzione dell'urbanistica di varî centri archeologici (ad esempio Cesarea) e l'individuazione nel deserto del Negev di tracce agricole già dall'inizio del X sec. a. C. In Siria l'utilizzazione di rilievi aerofotografici eseguiti a scopi idraulici ed agrarî ha permesso di individuare numerosi tell, tracce di suddivisioni agrarie, necropoli, ecc.
Nell'Estremo Oriente un cenno particolare meritano alcune ricerche fatte in Giappone per rilevare suddivisioni agrarie del tipo chiamato "Jori" (parcelle di sei cho quadrati) e resti sepolti del Palazzo Imperiale di Heijo (710-784 d. C.).
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(G. Schmiedt)
Nuove tecniche di datazione. - Dalla scoperta del Libby per la datazione dei residui organici mediante gli isotopi di carbonio radioattivo (C 14, v. vol. iii, pag. 458) sono derivati altri sistemi di datazione per materiali che non erano misurabili con il C 14 perché privi di carbonio radioattivo o perché ne contengono una quantità troppo scarsa.
Nel 1958 alcuni studiosi americani, C. S. Ross, R. L. Smith e L. Friedmann, si accorsero che la faccia tagliata dell'ossidiana assorbe acqua e forma uno strato di idratazione misurabile: tale idratazione ha inizio nel momento nel quale la superficie viene esposta con il taglio o la scheggiatura e, praticamente, la penetrazione dell'acqua continua indefinitamente. La misurazione dello spessore di questa penetrazione dà la misura del tempo trascorso dalla lavorazione del manufatto. Naturalmente la scala a cui rapportare nel tempo la quantità di idratazione fu compiuta misurando l'idratazione di oggetti di datazione nota. Tuttavia tale quantità varia in rapporto alle condizioni cllìnatiche - è, cioè, più rapida nelle zone calde e meno in quelle artiche - alla composizione chimica dell'ossidiana, ecc.; e di tutti questi fattori bisogna, beninteso, tener conto, poiché potrebbero incidere sensibilmente nella misura della datazione.
Altro metodo di indagine scientifica di manufatti archeologici è l'archeomagnetismo, inventato da E. Thellier fin dal 1938. Esso consiste nello studio del magnetismo residuo dei resti archeologici ed è basato sulla constatazione che il cambiamento continuo di intensità e direzione del campo magnetico della terra lascia delle testimonianze naturali nelle rocce. L'archeomagnetismo viene più propriamente detto magnetismo termo-rimanente perché è basato su un processo di magnetizzazione termorimanente: al di sopra di una certa temperatura, nota come punto Curie, gli ossidi di ferro perdono la propria capacità a trattenere magnetismo, ma pochi gradi fra il punto Curie e la cosiddetta temperatura di bloccaggio divengono immediatamente suscettibili all'influsso di qualsiasi campo magnetico circostante, e cioè tendono ad assumerne la direzione e l'intensità; al disotto della temperatura di bloccaggio trattengono qualsiasi magnetismo che hanno acquistato senza essere più influenzati da campi magnetici di bassa intensità, come, in particolare, quello della terra. Ciò significa che la maggior parte delle argille bruciate hanno un magnetismo residuo molto stabile che testimonia del campo magnetico della terra al momento della loro magnetizzazione. Naturalmente per la misurazione è indispensabile poter disporre di una considerevole quantità di ossidi magnetici e il miglior materiale viene offerto dai forni. Le applicazioni pratiche dell'archeomagnetismo si possono avere nelle datazioni relative; per stabilire, cioè, la contemporaneità di due incendi, oppure nel riconoscimento dell'appartenenza o meno di frammenti di ceramica o di sculture in terracotta allo stesso oggetto, in quanto che parti di uno stesso manufatto rispetto al proprio piano orizzontale o verticale; hanno simili misure di inclinazione c declinazione magnetica. Per quanto rignarda la ceramica, che è una delle massime fonti di informazione, data l'abbondanza con la quale ricorre in tutti gli strati archeologici, in realtà l'archeomagnetismo serve soprattutto alla datazione delle fornaci che contengono la massima quantità di ossidi di ferro. L'applicazione della tecnica della termoluminescenza dovrebbe invece permettere la datazione di isolati frammenti in terracotta di ogni tipo e condizione. Si tratta di una tecnica molto recente, che è stata studiata in questi ultimi anni presso tre laboratori di ricerca in California, a Berna e ad Oxford. Essa si basa sulla proprietà dei materiali cristallini di emettere luce col calore: tale effetto era stato notato su alcuni materiali geologici fin dal 1927. La proprietà, che viene appunto chiamata termoluminescenza, è il risultato dello sviluppo dell'energia accumulata dallo spostamento degli elettroni. Tutte le ceramiche contengono una certa minima quantità di impurità radioattiva che emettono particelle alfa di un certo tipo e si ionizzano con la risultanza di elettroni. Quando la ceramica viene riscaldata, questi elettroni a una determinata temperatura sprigionano ed emettono un fotone di luce. Quanto più è lontano il tempo nel quale la ceramica è stata cristallizzata tanto maggiore è la radiazione ionizzante e una maggior parte di elettroni saranno contenuti nella struttura cristallina. Il procedimento si realizza attraverso tre misurazioni, quella della luce emessa dalla ceramica quando è riscaldata, quella dell'intensità delle particelle alfa di un tipo determinato che causano nel campione la ionizzazione, quella ottenuta per mezzo di irradiazione artificiale della suscettibilità della ceramica al bombardamento di raggi alfa. Dalla combinazione di questi risultati con quelli ottenuti da ceramiche di sicura datazione si potrà conoscere l'epoca di ceramiche di età ignota.
Vi sono, poi, altri sistemi che solo indirettamente possono aiutare le datazioni archeologiche in quanto che vengono applicati alla flora, alla fauna, alle ossa, alle cave, ai basalti, ecc., cioè all'ambiente biologico o a quello geologico dai quali può provenire un manufatto, o anche semplicemente un reperto. Molte di queste analisi sono tuttora in fase sperimentale e, comunque, la loro utilità si rivela soprattutto, per le età molto antiche. Le modificazioni che intervengono nei materiali esaminati variano, poi, profondamente in relazione alle condizioni ambientali e perciò i risultati vanno vagliati con molta attenzione, tenendo conto di queste incidenze.
Oltre che con il carbonio radioattivo, per la misurazione del quale occorrerebbero talvolta quantità troppo ingenti che porterebbero alla totale distruzione del materiale, l'età delle ossa può essere determinata calcolando la quantità di fluoro, di uranio e di azoto in esse contenuta: il fluoro si fissa irreversibilmente nelle ossa sepolte nel terreno e aumenta progressivamente in ragione dell'antichità; analogamente può avvenire con l'uranio depositato sulle ossa dal terreno circostante, le cui tracce vengono misurate radiometricamente; l'azoto, invece, che viene dalle proteine contenute nelle ossa, diminuisce gradualmente col tempo. Si tratta però solo di datazioni relative e non assolute come quelle che si possono ottenere con il radiocarbonio.
Per datare i minerali vulcanici, quelli sedimentari, quelli con tracce di potassio (ad esempio la calcite), i basalti, ecc. e conoscere, quindi, la cronologia di basse età geologiche (terziario, pleistocene), ma anche del quaternario viene applicato il metodo della misurazione del potassio-argon che è basato sulla scoperta che col tempo il potassio radioattivo contenuto in natura (K40) degenera in argon (A40). Tale metodo può avere larghe applicazioni tenendo conto del fatto che il potassio è uno dei più abbondanti elementi contenuti nella crosta terrestre e che l'argon può essere misurato più facilmente della maggior parte degli altri elementi anche in piccole concentrazioni.
Altri studî di cronologia indiretta sono stati condotti sulla fauna e sulla flora in relazione al variare delle condizioni climatiche; l'esame delle conchiglie e dei relitti marini, in genere, permette di stabilire le variazioni di temperatura della superficie dell'acqua durante il pleistocene; analogamente l'analisi spettrografica del polline e la dendrocronologia, la misurazione cioè degli anelli degli alberi, con esami riferibili a campioni tipo conservati in laboratorio, individua le modificazioni dell'ambiente biologico e delle condizioni climatiche e ambientali. Nelle cave un'esatta analisidell'accumulo dei sedimenti permette di dedurre la sequenza di eventi geologici dovuti ai cambiamenti climatici. Si è ritenuto opportuno accennare a questi ultimi metodi di indagine cronologica anche se esorbitano dallo specifico ambito archeologico: la loro applicazione al campo delle scienze "umane" è il frutto dell'assimilazione del pensiero critico strutturalistico, che propugna la raccolta di qualsiasi fattore obbiettivo che possa essere utile alla ricerca; di qui l'indirizzo interdisciplinare della ricerca scientifica che è una delle manifestazioni più positive del nostro tempo.
Bibl.: Archaeometry, Bulletin of the Research Laboratory for Archaeology and the History of Art, Oxford University, 1958 e ss.; Radiocarbon, Supplemento di American Journal of Science, University of Yale, New Haven 1959 ss.; Science in Archaeology, British Museum, Londra 1963.
(L. Vlad Borrelli)
Esplorazione subacquea (1960-70). - L'ultimo decennio ha visto l'intensificarsi delle ricerche archeologiche sottomarine, soprattutto nel Mediterraneo, condotte sempre più frequentemente da centri e istituti universitarî specializzati in queste esplorazioni, grazie anche al rapido progresso delle tecniche archeologiche subacquee.
Volendo qui elencare i principali giacimenti scavati con un certo metodo, tralasciando quindi quelli aventi il semplice valore di reperti sporadici, possiamo ricordare i seguenti:
Navi preistoriche e protostoriche: 1) relitto di Capo Gelydonia, in Asia Minore (scavi dell'Università di Pennsylvania, 1958-60) dell'Età del Bronzo, databile nel XII sec. a. C.;
2) nave di Rochelongues, presso Béziers nel Golfo del Leone (scavi Gondard-Bouscaras, 1964-67) attribuita al IX-VIII a. C.
Navi preromane: 1) nave etrusca di Cap d'Antibes in Provenza (scavi Pruvot 1960), priva dello scafo, del VI sec. a. C.
Navi romane di età repubblicana: 1) nave romana di Punta Scaletta, all'isola di Giannutri (scavi del Centro sperimentale di Archeologia sottomarina dell'Istituto di Studi Liguri, diretto da Nino Lamboglia, 1963) con carico di ceramica campana, rilevato anche nelle strutture lignee superstiti, del 150 a. C.;
2) relitto di Capo Graziano a Filicudi (Lipari) scoperto nel 1960 e scavato successivamente, con recupero di gran parte del carico, a cura della Soprintendenza alle Antichità di Siracusa e del Club de la Méditerranée (140-130 a. C.);
3) nave di Albenga (100-90 a. C.) scoperta nel 1950 e tuttora in corso di scavo da parte dell'Istituto di Studi Liguri.
Navi di età imperiale e bizantina: 1) nave di S. Pietro in Bevagna (Golfo di Taranto) con carico di sarcofagi in marmo di Afrodisiade, databile nel III sec. d. C. (scavi Università di Pennsylvania diretti da P. Throckmorton, per conto della Soprintendenza alle Antichità della Puglia 1965);
2) relitto di Torre Sgarrata (Golfo di Taranto) con carico di sarcofagi in marmo asiatico, ceramica di uso comune e anfore, databile anche nel III sec. d. C. Di quest'ultimo relitto, scavato, sempre per iniziativa della Soprintendenza alle Antichità della Puglia, dalla Missione archeologica sottomarina dell'Università di Pennsylvania diretta da P. Throckmorton (1967-68), sono stati rilevati e in gran parte recuperati gli elementi lignei, ora conservati in apposite vasche dopo il trattamento con preparati chimici atti ad assicurane la conservazione;
3) nave bizantina di Yasi Ada (Budrum, in Turchia) con carico di anfore, databile nel VII sec. d. C. (scavo G. Bass, 1961-63).
Lo scavo e il rilevamento di navi di epoca recente è stato effettuato, tra l'altro, nel 1965, nelle acque di Methone in Grecia, a cura di P. Throckmorton, allo scopo di studiare conservazione e giacitura dei relitti.
Accanto alle principali esplorazioni di relitti di navi antiche occorre ricordare in breve anche l'attività archeologica subacquea nella città di Baia (rilevamento dei quartieri della città sommersa) eseguita a cura della Soprintendenza alle Antichità di Napoli e il ritrovamento effettuato nel lago di Bolsena. L'esplorazione di quest'ultimo giacimento, eseguita sotto la direzione della Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria meridionale, ha permesso di accertare che il villaggio preistorico sommerso è databile nella prima Età del Ferro (nell'ambito della cultura villanoviana del IX-VIII sec. a. C.; scavi 1965-66).
Tra le iniziative sorte recentemente in Italia e volte alla creazione di musei di archeologia sottomarina è il progetto della Soprintendenza alle Antichità della Puglia in collaborazione con la Marina Militare, per la costituzione di una raccolta di tutto il materiale archeologico rinvenuto nelle acque del Golfo di Taranto in un'ala del Castello Aragonese di Taranto.
Bibl.: Atti del III Congresso Internazionale di Archeologia sottomarina, Barcellona 1961 (in corso di pubblicazione); F. Benoît, Fouilles sous-marines: l'épave du Grand Congloué à Marseille, Parigi 1961; Forma Maris Antiqui, I, 1959, V, 1962-64, appendice alla Rivista di Studi Liguri; A. Fioravanti, Contributo alla carta archeologica del lago di Bolsena, in Studî Etruschi, XXXI, 425, 1963; D. Adamesteanu, Atti del X Congresso Internazionale di Fotogrammetria, Lisbona 1964; G. Colonna, in Boll. d'Arte, Roma 1965; P. Throckmorton, Wrecks at Methone, in The Mariner's Mirror, 1965, pp. 305 ss.; P. Throckmorton-J. Ward Perkins, in Archaeology, XVIII, 3, 1965, pp. 201 ss. (sul relitto di S. Pietro in Bevagna); G. F. Bass-P. Throckmorton-J. Dullat Taylor-J. B. Hennessy-A. R. Shulman-M. G. Bucholz, Cape Gelidonya: a Bronze Age Shipwreck, in Transactions of the American Philosophical Society, 57, 8, 1967; N. Lamboglia, L'archeologia sottomarina, in Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, Mondadori 1969.
(E. Lattanzi)