SUBACQUEA, ESPLORAZIONE
(App. IV, III, p. 533)
I progressi tecnici più sensibili nell'e.s. individuale si registrano nell'impiego ormai diffuso delle miscele respiratorie per le immersioni più profonde e nell'introduzione del computer subacqueo. Tra le miscele respiratorie di nuova formulazione, lo Heliox contiene elio e ossigeno in percentuali variabili, a seconda delle diverse profondità operative, e il Trimix si compone di percentuali variabili di elio, ossigeno e azoto ed è in grado di combattere la sindrome nervosa da alti fondali, che può essere causata dall'elio. Queste miscele sono utilizzate non solo da pochi altofondalisti d'avanguardia, ma vengono impiegate anche da subacquei che s'immergono per la ricerca scientifica e perfino da squadre di appassionati particolarmente addestrati. Assai meno diffuso è invece l'uso dell'idrogeno a causa della sua alta infiammabilità; in via sperimentale s'impiegano altri gas, come il neon, l'argo e lo xeno.
Il computer subacqueo, immesso sul mercato a partire dal 1983, fornisce al sommozzatore in tempo reale tutte le informazioni che possono riguardare l'immersione. Impiega trasduttori elettronici di pressione e microprocessori, usando algoritmi per calcolare la saturazione e la desaturazione da azoto in base a modelli teorici di decompressione. Indica al subacqueo il tempo residuo per evitare la decompressione, le eventuali tappe di decompressione da effettuare prima di riemergere e il tempo residuo di saturazione; inoltre, fa scattare un allarme acustico in caso di eccessiva velocità di risalita o di salto di tappa. Fra le altre indicazioni figurano: la profondità del momento, la profondità massima d'immersione, la profondità di tappa, il tempo di ogni tappa di decompressione, il tempo totale di risalita e, dopo la riemersione, il tempo di attesa prima di poter prendere un aereo. È evidente come uno strumento con tali caratteristiche possa aver migliorato la qualità e la sicurezza delle immersioni e aver contribuito allo sviluppo delle attività subacquee.
Fra gli altri elementi di novità va ricordato il perfezionamento del giubbetto equilibratore, che s'indossa con le bombole e permette di mantenere in ogni momento dell'immersione un equilibrio idrostatico perfetto, consentendo al sommozzatore di non affaticarsi e garantendogli, in caso di necessità, di riguadagnare la superficie senz'alcuno sforzo; è infatti sufficiente gonfiare il giubbetto che, attraverso un tubo, è collegato con le bombole dell'aria compressa. Altre innovazioni riguardano le bombole degli autorespiratori ad aria (caricabili fino a 250 atmosfere e quindi in grado di fornire una maggiore quantità di aria) e l'uso ormai diffuso della muta stagna, la quale protegge perfettamente dal freddo e costituisce un elemento di sicurezza, in quanto si gonfia e si sgonfia, perché collegata anch'essa all'aria delle bombole. L'autorespiratore ad aria (ARA), pratico e sicuro, ha da tempo soppiantato l'autorespiratore a ossigeno (ARO) che ha un'operatività molto ridotta, fino a 12 m di profondità, ed è rimasto in uso nei corpi militari e come strumento didattico in alcune scuole d'immersione.
Molto avanzata, nel campo del lavoro subacqueo, è la tecnica della saturazione, che permette ormai di operare fino a 520 m sotto il livello del mare. Questa profondità fu raggiunta da una équipe di sei sommozzatori francesi in azione al largo di Marsiglia dal 27 febbraio al 4 marzo 1988.
La loro campana d'immersione fu calata sul fondo dalla nave oceanografica Orelia, nel corso di un'operazione che rientrava nell'ambito dell'esperimento Hydra VIII condotto dalla compagnia francese Comex, un'organizzazione di primo piano nel settore della sperimentazione tecnologica sottomarina e del lavoro subacqueo. Si trattava dell'ultimo di una serie di 19 esperimenti di altofondalismo. I sei acquanauti centrarono il loro obiettivo grazie all'uso di una miscela respiratoria denominata Idralio, composta di idrogeno, elio e ossigeno opportunamente dosati. Gli uomini si alternarono nel lavoro esterno uscendo a tre a tre per due volte al giorno dalla campana, alla quale restavano collegati con tubi ombelicali che inviavano miscela respiratoria e acqua calda. La campana fu recuperata dall'Orelia il 4 marzo, ma gli acquanauti uscirono dal loro abitacolo soltanto dopo 18 giorni, al termine, cioè, del periodo calcolato di decompressione. La loro permanenza sul fondo fu documentata fotograficamente grazie all'impiego di capsule abissali note con la sigla ROV (Remote Operated Vehicles), piccoli sottomarini filoguidati manovrati dalla superficie e forniti di telecamera e di macchina fotografica.
I sottomarini ROV rappresentano infatti un'altra importante innovazione per l'esplorazione subacquea, dal momento che, rispetto ai modelli del passato, hanno aumentato notevolmente il loro raggio d'azione e hanno raggiunto i 6000 m di profondità. Accanto ai modelli più piccoli, portatili e facili da maneggiare, ne sono stati creati altri di dimensioni sempre maggiori, di cui alcuni pesano oltre una tonnellata e sono equipaggiati con manipolatori sofisticati, sonar, sistemi di tracciamento e altre apparecchiature.
Agli inizi degli anni Ottanta il numero di ROV impiegati era di circa 600, di cui oltre 200 costruiti per neutralizzare mine sommerse. Nel 1995 i ROV superano le 1000 unità e sono in azione in tutti i mari del mondo per impieghi industriali, militari e scientifici. Il settore dell'offshore petrolifero è quello che ne fa il più largo uso: il ROV infatti sta progressivamente sostituendo sia l'uomo sia i sommergibili abitati quale supporto per la perforazione in mare, con una percentuale d'impiego già salita al 50%. I ROV risultano preziosi come appoggio anche quando l'immersione viene effettuata dai sommozzatori, in quanto le telecamere di cui sono forniti possono seguire gli uomini in ogni fase rinviandone le immagini ai tecnici in superficie. Costituiscono quindi una presenza rassicurante per i sommozzatori, spesso costretti a operare in situazioni ambientali di notevole disagio.
Dove soprattutto l'uso dei ROV si è rivelato di grande efficacia è nel settore dell'esplorazione scientifica marina. Importanti istituti di ricerca statunitensi, come lo Scripps Institute of Oceanography e la Woods Hole Oceanographic Institution, branca del Massachusetts Institute of Technology, ai quali si può aggiungere l'Institut Frana̧is des Recherches pour l'Exploration des Mers (IFREMER), da molti anni utilizzano ROV trainati per ricognizioni e mappature geologiche e geofisiche. I ROV hanno trovato impiego anche in ricerche avventurose, come quelle effettuate con le balene sotto i ghiacci dell'Antartide e con gli squali azzurri della California.
Nel maggio 1989 centinaia di bambini, riuniti in scuole e musei di varie zone degli Stati Uniti, assistettero in diretta, via satellite, alle scoperte sottomarine effettuate dal robot Jason della Woods Hole nel Mar Tirreno, a 600 m di profondità. Da una grande cresta vulcanica sommersa, facente parte della catena montuosa del Vesuvio, si videro fuoriuscire sorgenti termali intermittenti, veri e propri geiser che emettevano potenti getti d'acqua bollente. La pinza meccanica in dotazione al ROV prelevò dal fondo reperti geologici.
I ROV trovano impiego anche nella ricerca di tesori sommersi nei relitti delle navi affondate. Fu un ROV infatti a individuare il tesoro nascosto fra i resti del galeone spagnolo San José, affondato nel 17° secolo lungo le coste colombiane, con a bordo un gran numero di oggetti in oro e in argento. Così pure, nel luglio 1985, l'utilizzazione del robot Scarab permise il recupero della scatola nera di un aereo (volo Air India 182) caduto e affondato al largo delle coste sudoccidentali dell'Irlanda a una profondità di 2012 m.
Robot filoguidati vengono prodotti anche in Italia, realizzati da un ingegnere, G. Gay, membro dell'Accademia internazionale di scienze e tecniche subacquee. Il robot Pluto è capace di operare a 400 m di profondità a una velocità di 4 nodi, mentre il Pluto Plus scende fino a 1000 m. Il Pluto è in dotazione ai corpi militari e agli istituti di ricerca, oltre che alle maggiori ditte di lavori subacquei; viene utilizzato con successo anche nell'esplorazione delle grotte sommerse di mare e di terra, quando la ricognizione diretta a opera dei sommozzatori comporta rischi elevati.
Nonostante i significativi progressi già raggiunti nella realizzazione di questi mezzi, i tecnici sono al lavoro per migliorarne ancora le prestazioni. Si punta alla qualità tridimensionale delle immagini televisive e al perfezionamento del comando manipolatore e delle caratteristiche tecniche dell'ombelicale, che subisce danni durante il trascinamento e crea problemi di peso con l'aumento della profondità. Si tende a produrre ROV privi di ombelicali, guidati dalla superficie attraverso impulsi radio e con modelli totalmente miniaturizzati.
L'uso dei ROV ha aperto la strada a operazioni delicate e importanti come l'individuazione e il recupero del DC 9 dell'Itavia, precipitato in mare il 27 giugno 1980 fra Ponza e Ustica con 81 persone a bordo, o a operazioni storiche, come la scoperta del relitto del Titanic, il transatlantico affondato al largo di Terranova il 14 aprile 1912.
Il 1° settembre 1985, a bordo della nave appoggio Knorr della Woods Hole, l'oceanografo statunitense R.D. Ballard, in compagnia del ricercatore francese J.-L. Michel dell'IFREMER, individuò per la prima volta sul fondo oceanico il relitto del Titanic manovrando il filoguidato Argo, una slitta robotizzata dotata di sonar e di videocamera. A 3800 m di profondità l'Argo riprese straordinarie immagini televisive e fotografiche che vennero diffuse in tutto il mondo e consentirono anche una mappatura completa del relitto. Ballard stesso raggiunse il Titanic a bordo del sommergibile Alvin dal quale, sei anni prima, al largo delle Galapagos aveva localizzato nuove e sconosciute forme di vita a oltre 2500 m di profondità, in prossimità di fenomeni vulcanici. Dall'Alvin l'oceanografo sganciò il robot Jason junior manovrato direttamente dall'interno del sommergibile e legato a questo da un ombelicale lungo 60 m. Il robot penetrò all'interno dello scafo affondato e realizzò con la telecamera a colori e con la macchina fotografica immagini di ottima qualità.
Una successiva campagna sottomarina sul Titanic fu compiuta dagli uomini dell'IFREMER che utilizzarono il Nautile, un sommergibile in grado come l'Alvin di ospitare 3 persone. Varato il 5 novembre 1984, il Nautile pesa 18 t, è lungo 8 m, e ha un'autonomia operativa di 13 ore e un'autonomia di emergenza di 130 ore; è fornito di 4 motori elettrici che gli permettono una velocità di 2,5 nodi. La sua prima missione risale al giugno 1985 nelle acque giapponesi, dove scese alla profondità di 6000 m per consentire agli scienziati francesi e giapponesi di osservare direttamente le deformazioni della crosta terrestre nelle fosse abissali dell'oceano e di esaminare da vicino la fossa di subduzione di Manhai. Nel luglio 1987 il Nautile, assistito dalla nave appoggio Nadir, scese sul Titanic. A differenza della precedente missione dell'Alvin, questa spedizione si riprometteva il recupero di oggetti della nave e della cassaforte, oltre alla realizzazione di foto e filmati. In 44 giorni il Nautile compì immersioni per 150 ore complessive. Grazie all'estrema precisione del suo braccio manipolatore e al sistema di prese aspiranti appositamente studiate, raccolse centinaia di oggetti sparsi sul fondo, compresa la cassaforte che giaceva nella zona detritica fra i due tronconi della nave e che fece pensare al ritrovamento di un favoleggiato quanto inesistente tesoro. Il Nautile si avvalse di un piccolo robot, il Robin, alto soltanto 60 cm e del peso di 130 kg che, teleguidato da bordo del sommergibile, frugò all'interno del transatlantico e riprese immagini con due telecamere ad alta definizione; in 32 immersioni complessive a quota −3800 m, vennero scattate 10.000 foto e fu girato un film di due ore. Fra i recuperi più importanti vi fu quello del telegrafo di macchina bloccato nella posizione marcia indietro, prova del tentativo compiuto in extremis di evitare l'urto della nave con l'iceberg che ne avrebbe determinato l'affondamento.
Nello stesso anno, le potenti braccia e le mani meccaniche del Nautile iniziarono il recupero dei resti del DC 9 dell'Itavia localizzati alla profondità di 3620 m e sparsi su un'area di alcuni km2; al termine dell'operazione solo pochi frammenti dell'aereo rimasero sul fondo. Nel 1989 Ballard, utilizzando il medesimo robot impiegato sul Titanic, individuò nelle acque dell'Atlantico, a circa 1000 km dal porto francese di Brest, il relitto della corazzata Bismarck, e realizzò filmati e foto.
L'impiego dei sommergibili e dei robot d'alta profondità ha aperto nuove prospettive nel settore dell'archeologia subacquea (v. archeologia: Archeologia subacquea, in questa Appendice). Già durante le immersioni del Nautile per il recupero del DC 9 dell'Itavia vennero filmati sul fondo relitti di età antica. In seguito Ballard si è riproposto una ricerca sistematica, in quanto si calcola che siano oltre 15.000 le navi di epoca precristiana giacenti negli abissi del Mediterraneo. Il loro stato di conservazione è sicuramente migliore di quello dei relitti costieri, sottoposti all'azione distruttiva degli agenti marini e dell'uomo. Nelle acque profonde, infatti, la bassa temperatura riduce l'azione corrosiva di origine chimica, l'assenza di onde e le ridotte correnti consentono il deposito di sottili strati di fango protettivo, mentre assente o quasi dovrebbe essere la presenza delle teredini che divorano il legno delle navi affondate.
Gli anni Novanta si sono aperti con il varo del più grande sommergibile civile, il francese SAGA (Sousmarin A Grande Autonomie), in grado di rimanere in immersione continua fino a 21 giorni e di ospitare a bordo un'unità iperbarica con 4÷6 sommozzatori in saturazione, che possono uscire per interventi di ogni tipo attraverso i portelli collocati nella parte inferiore dello scafo. Nella torretta superiore del SAGA è situata una capsula che può riportare l'equipaggio in superficie in caso di necessità, mentre la zona non iperbarica ospita 6 uomini. Il SAGA, costruito in base a un progetto di J.-Y. Cousteau, è lungo 28 m, largo 7,40 m, pesa 545 t e s'immerge fino a 600 m.
Intanto si sta sempre più affermando un altro mezzo di esplorazione subacquea: la capsula con oblò e manipolatori, ossia lo scafandro a pressione atmosferica, che discende direttamente dalla gloriosa e superata tuta da palombaro. Le nuove apparecchiature di questo tipo non consentono a chi le indossa la libertà di movimento che hanno i sommozzatori con autorespiratore, ma offrono il vantaggio di raggiungere profondità sensibili senza problemi di decompressione e con costi operativi inferiori a quelli dell'immersione in saturazione.
La scienziata marina S. Earle utilizza normalmente questo mezzo con risultati di grande rilievo; all'interno di scafandri semirigidi cammina sul fondo del mare fino a 400 m di profondità, e le sue osservazioni scientifiche hanno in più di un'occasione rivoluzionato i concetti di distribuzione e comportamento degli abitatori del mare profondo.
Uno degli ultimi modelli di scafandro a pressione atmosferica è il New Suit, realizzato dalla Marina francese. Si tratta di un prototipo studiato per intervenire tempestivamente sui sottomarini bloccati sul fondo, ma che può essere destinato anche ad altri impieghi. Si muove agevolmente fino a 300 m di profondità, grazie a una serie di 4 motori, 2 orizzontali e 2 verticali, che sono in grado di contrastare una corrente marina di due nodi e che assicurano i movimenti sui 3 piani. Il pilota comanda i 4 motori dall'interno. Finora il salvataggio di un sottomarino immobilizzato richiedeva l'intervento di una nave equipaggiata con campana d'immersione e la mobilitazione di una quindicina di uomini; l'impiego di questo nuovo mezzo ne richiede sette.
La diffusione dei mezzi di e.s. è un dato di fatto: un numero sempre più alto di operatori sottomarini delle varie branche di attività li utilizza in sicurezza ed è in grado di manovrarli dopo un breve corso di addestramento che non presenta particolari difficoltà. In diversi paesi del mondo, Italia compresa, funzionano perfino sommergibili creati per il turismo subacqueo. Mezzi che un tempo erano strettamente confinati all'uso militare sono entrati nell'impiego civile con la prospettiva di avvicinare sempre di più l'uomo al mondo subacqueo (v. anche sottomarino, in questa Appendice). Vedi tav. f.t.
Bibl.: G. Meleagri, L'ambiente subacqueo del sommozzatore, Bologna 1979; S. Earle, A.I. Giddings, Exploring the deep frontier, Washington 1982; D. Sisman, The professional diver's handbook, Londra 1983; R.F. Marx, History of underwater exploration, Dover 1991