Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le immagini di civiltà diverse e autonome, giunte in Europa dalle missioni e dai viaggi di esplorazione, aprono una vera e propria “crisi della coscienza europea”: casi esemplari sono la Cina e l’America dei nativi, da cui ha origine il mito del “buon selvaggio”. L’allargamento dei confini della conoscenza, attraverso le esplorazioni di Bougainville e di Cook, mette a nudo la competizione tra i vari Paesi europei e insieme la capacità distruttiva dell’Occidente colonialista.
Esplorazioni e missioni
Esiste una profonda relazione fra i due termini “esplorazioni” e “missioni”, che tendono a realizzare risultati paralleli partendo da motivazioni profondamente diverse. Un primo elemento in comune è lo spazio di partenza: l’Europa affronta gli altri continenti attraverso un viaggio che reca conoscenze e crea complesse integrazioni culturali. Le missioni sono una profonda tradizione del mondo cattolico, che vede impegnati in prima persona gli ordini religiosi francescani, domenicani e Gesuiti. Minore interesse per la conversione religiosa dei diversi continenti rivelano i riformati, a eccezione degli anglicani, che agli inizi del Settecento fondano una società per la propagazione del Vangelo in Oriente. Si tratta comunque di un’esperienza trascurabile, se confrontata con l’impressionante meccanismo che ha come centro Roma, dove oltre alle generalità degli ordini c’è anche una Congregazione di Propaganda Fide. I viaggi religiosi ed esplorativi, poi, hanno complesse relazioni con motivazioni scientifiche o economiche: dietro i missionari non c’è soltanto Roma, ma anche la politica culturale dei grandi Stati, a partire dalla Francia. L’esplorazione delle regioni del Canada, legata nella seconda metà del Seicento a Francescani e Gesuiti francesi, non è separabile dalla politica di Luigi XIV che nel 1701 riunisce in una sola grande assemblea i rappresentanti di trentotto grandi tribù indiane avvicinate dai missionari. Un discorso analogo vale per i territori dell’Asia, dove, sulle tracce di Francesco Saverio e soprattutto di Matteo Ricci nel 1680 si sarebbero inseriti i padri Gesuiti francesi, che avevano alle spalle l’Académie des Sciences di Parigi e la grande tradizione astronomica e cartografica europea.
È la missione legata a padre Jean-François Gerbillon e ad altri Gesuiti francesi che fornisce gran parte della conoscenza settecentesca sulla Cina. Insediatisi a Pechinopresso la nuova dinastia e preso il posto degli astronomi arabi, essi ottengono il permesso di cartografare tutti gli immensi spazi del Celeste impero.
Un documento eccezionale di questa attività sono le Lettres édifiantes et curieuses che padre Charles Le Gobien comincia a pubblicare a Parigi a partire dal Settecento. La storia di questo testo è significativa, perché non offre solo la testimonianza diretta dell’opera missionaria intrapresa dai Gesuiti in Cina, India, Americhe e Africa, ma fornisce anche una documentazione diretta sulle realtà con cui i missionari vengono a contatto. È la più massiccia irruzione di quegli “stranieri-simbolo” di cui parla lo storico Hazard (1946) nel definire la “crisi della coscienza europea” e la più ricca esperienza della diversità che una cultura possa affrontare.
Non a caso i Gesuiti con quest’opera si difendono dall’accusa, che viene loro rivolta dai giansenisti, ma anche da ordini religiosi rivali, di aver adattato il cristianesimo ai riti cinesi. Ciò che colpisce di più in questa raccolta è, però, la sua durata nel tempo. Pubblicate come strumento di apologia e difesa, le Lettres édifiantes sono tradotte in Inghilterra e del tutto secolarizzate, cioè trasformate in testi che eliminano le conversioni miracolose e riportano solo le informazioni culturali economiche e tecniche. Ma le Lettres, tradotte in molte lingue europee, vengono anche ordinate per continenti operando una sistematizzazione geografica. Inoltre, a queste missioni risale la prima immagine anche storiografica della Cina con tutte le sue conseguenze sull’universo occidentale, compreso il confronto con un tempo che non rientra facilmente nelle cronologie bibliche. Dunque viaggiatori e missionari partono con motivazioni diverse, ma i testi ricavati dalle loro relazioni finiscono per trasformarsi in inquietanti messaggi rivolti a un pubblico europeo sempre più avido di informazioni. Le pratiche della circolazione e del consumo intellettuale, così, rendono simili impulsi all’origine profondamente diversi.
Un genere in espansione: la letteratura di viaggio
La letteratura sui viaggi, genere in espansione nel Settecento, mescola con indifferenza cronache missionarie e avventure mercantili o scientifiche: i confini stessi fra realtà e immaginazione vengono forzati. Il caso più noto è quello di Daniel Defoe che modella il suo Robinson Crusoe sulla vicenda reale di un naufrago, ritrovato da una spedizione sull’isola Juan Fernandez. Non è possibile raccontare analiticamente quest’avventura europea che aggredisce ormai tutti gli spazi: Asia, Americhe e Africa. E se l’interno di quest’ultimo continente resta il più impenetrabile, missionari ed esploratori cominciano ormai a saggiarne le possibilità, offrendo i presupposti alla società inglese per un’esplorazione sistematica dell’Africa. In questa impresa di conoscenza e di conquista, l’Europa è insieme ferocemente divisa e unita. Divisa, perché gli Stati praticano diverse politiche coloniali, i protestanti non accettano la superiorità missionaria del mondo cattolico e le culture si scontrano con durezza per un’egemonia sull’informazione, motivata non solo da ragioni culturali, ma anche politiche ed economiche. Nello stesso tempo, però, una sete di conoscenza fa sì che le stesse informazioni vengano poi tradotte e riportate in ogni ambito. Una documentazione di tutto questo offre la fortunata Histoire générale des voyages di Antoine-FrançoisPrévost, ex gesuita e autore di Manon Lescaut. Nel tradurre un testo inglese compilato da John Green, un cartografo che aveva ripreso le tradizioni degli scrittori di viaggi Richard Hakluyt e Samuel Purchas (1575-1626) e le grandi edizioni inglesi dei viaggi, Prévost muta il segno ideologico dell’operazione; egli contrappone il viaggio francese a quello inglese, recuperando ad esempio le Lettres édifiantes, su cui si era esercitata l’ironia del compilatore anglicano. Per qualche tempo fra l’editore francese e quello inglese si apre una guerra feroce, che investe testi, cartografia e informazioni. Un’edizione pirata olandese si schiera a favore del testo originario, ma alla fine Prévost prevale. Il suo testo diviene così la grande raccolta europea dei viaggi e delle esplorazioni, tradotta – magari con manipolazioni come quelle spagnole, che cancellavano la “leggenda nera” – in quasi tutte le lingue europee, compreso l’italiano.
Non più terra australis incognita
Se la prima metà del Settecento è dominata dalle missioni che restituiscono uno spazio, un tempo e una storia a Cina, India, Siam e scoprono il mito del “buon selvaggio” studiando l’indiano d’America, in realtà il ruolo delle esplorazioni motivate da ragioni economiche e scientifiche cresce sempre più d’importanza. Negli anni Trenta le spedizioni convergenti di Danesi, Russi e Tedeschi avvalorano l’ipotesi di una contiguità fra Asia e America, offrendo una spiegazione più scientifica al popolamento del Nuovo Mondo e cancellando tutti i miti di favolose navigazioni semite o camite. Resta aperta un’altra sfida che il secolo precedente aveva solo sfiorato con i viaggi di Abel Tasman: quella terra australis incognita che le carte geografiche tracciano ancora in modo nebuloso e ipotetico. Anche in questo ambito le tensioni europee giocano un ruolo essenziale. La Francia nel corso della guerra dei Sette anni ha perso il Canada e gran parte dell’India, e cercare rivincite in altri territori appare inevitabile. Nasce così il viaggio diLouis-Antoine Bougainville verso il Pacifico, che crea il mito di un mondo felice e innocente nell’isola di Tahiti (Nuova Citera). Ma a Bougainville si contrappone il viaggio inglese di James Cook, in una gara destinata ad andare oltre la stessa morte di quest’ultimo, ucciso dagli indigeni delle Hawaii nel 1779. Si presentano poi nuove realtà con le isole Falkland, scoperte da Bougainville nel 1763 e ribattezzate Malvine dai Francesi; cedute malvolentieri alla Spagna, nell’Ottocento queste verranno perse definitivamente per l’intervento degli Inglesi. Non mancano rischi, perdite e tragedie, come quella del francese Jean-François Galaup de La Pérouse, lo scopritore dell’isola Sakhalin, probabilmente naufragato con la sua nave (l’ultima comunicazione è dell’8 febbraio 1788), i cui resti vengono ritrovati solo nel 1827; o il poco successivo e ormai leggendario ammutinamento del Bounty, che forse avrebbe ritrovato i sopravvissuti della spedizione comandata da La Pérouse, se una rivolta non avesse interrotto la spedizione, facendo vagare su una scialuppa per oltre un mese il capitano William Blight e i marinai rimasti fedeli. Questi si salva fortunosamente con i compagni e continua la sua carriera nella marina inglese fino a diventare contrammiraglio. Ma anche gli ammutinati hanno una vicenda complessa: rifugiati in un’isola del Pacifico, vengono scoperti solo nel 1807.
Dall’ideologia coloniale alla sua critica
Lo scontro fra modelli coloniali, che contrappone l’Inghilterra alla Francia, ma anche queste due potenze e l’Olanda a Spagna e Portogallo, è destinato ad acuirsi negli anni della rivoluzione americana e con il distacco delle 12 colonie dall’Inghilterra. Quasi tutti gli Stati europei appoggiano i rivoltosi per contrastare la superiorità navale e mercantile della Gran Bretagna, ma lo scontro continua sul piano dei viaggi e delle esplorazioni. Di queste avventure, come di quelle russe verso la Siberia, riferiscono gli aggiornamenti dell’Histoire générale des voyages che prendono atto della grande dilatazione del mondo alla scoperta di un nuovo continente. Non è quindi un caso che l’Inghilterra, vincitrice della guerra dei Sette anni, imponga all’Europa una propria Universal History (1730-1764) in 64volumi, dove viaggi e missioni offrono una prima identità alle terre che l’Europa sente ormai come sue. Il punto di vista colonialista viene poi rovesciato da un grande lavoro collettivo organizzato dallo scrittore francese Guillaume Thomas Raynal, l’Histoire philosophique et politique des établissements et du commerce des Européens dans les deux Indes (1770), che offre una drammatica documentazione sulle capacità distruttive dell’esperienza occidentale. Sotto accusa sono i modelli dell’economia e della politica: colonialismo, schiavismo, ma anche dispotismo. Per la prima volta l’Europa si interroga in modo complesso – e questo è un grande merito dell’Illuminismo – sul proprio ruolo e mette in discussione il suo diritto alla conoscenza, se questa implica sfruttamento e distruzione. Lo stesso Raynal propone come tema per l’Accademia di Lione un dibattito sulla positività o meno della scoperta dell’America, e ciò che colpisce è la prevalenza delle risposte pessimistiche.
La Francia, che entra nella crisi definitiva dell’ancien régime, utilizzando un grande materiale che proviene da oltre un secolo di esplorazioni, missioni e viaggi, si domanda – tramite la penna di Raynal – se la stessa fiaccola della libertà non sia ormai portata in Occidente da uno “Spartaco nero”.