Esponenti della storiografia ‘sacra’ e gesuita
In risposta alla sfida protestante, nel cattolicesimo tridentino e postridentino emerse la necessità di una storiografia ecclesiastica fondata sui metodi che la filologia e l’antiquaria degli umanisti avevano messo a punto per rapportarsi alla cultura classica e alla tradizione patristica. L’obiettivo della Chiesa di Roma era quello di presentare se stessa come la forma attuale, ma fedele, della Chiesa apostolica delle origini, utilizzando la storia come «‘luogo’ di esempi atti a mostrare la inevitabile ‘felicitas catholicorum’ e l’altrettanto inevitabile rovina degli eretici di ogni tempo» (A. Biondi). Questo sguardo sul passato produsse diverse tipologie di scrittura storica (agiografie, storie di diocesi, storie di ordini religiosi, storie della Chiesa e dei concili), accomunate da un intento di costruzione identitaria. È in quest’ottica che bisogna leggere non solo l’opera di Cesare Baronio e dei suoi continuatori – tra i quali il domenicano polacco Abramo Bzovius (Bzowski, 1567-1637) e gli oratoriani Odorico Rainaldi (1595-1671) e Giacomo Laderchi (1678 ca.-1738) –, ma anche le molte storie locali della Chiesa, tra le quali devono essere menzionate l’opera di Antonio Maria Spelta sui vescovi di Pavia (1597), quelle di Carlo Bascapè e di Giuseppe Ripamonti sulla Chiesa milanese (rispettivamente 1615 e 1617-1628), quella di Jacopo Burali sui vescovi aretini (1638) e, soprattutto, la Historia ecclesiastica di Piacenza (1651-1662) del canonico Pietro Maria Campi. Nell’ambito della storiografia degli ordini religiosi vanno ricordate le opere del gesuato Paolo Morigia (1525-1604), del teatino Giovan Battista Castaldo Pescara (1566-1653), del cappuccino Mattia Bellintani da Salò (1534-1611). Straordinariamente ricca è, fin dalle origini della Compagnia, la produzione storiografica gesuita, a partire dal De vita et moribus Ignatii Loyolae (1585) del bergamasco Giovanni Pietro Maffei e dalla storia della Compagnia di Niccolò Orlandini, completata da Francesco Sacchini (1615), fino alla storia del Concilio di Trento di Pietro Sforza Pallavicino (1607-1667) e alle opere di Daniello Bartoli. Famiano Strada (1572-1649), professore di retorica al Collegio romano, nelle sue Prolusiones academicae (1617) propose un modello di storiografia edificante, che ponesse al centro dell’attenzione il fattore religioso. In seno alla Compagnia di Gesù nacque e si affermò la storiografia della missione: nel 1588 Maffei pubblicava i 16 libri delle Historiae Indicae, una grande narrazione della diffusione del cristianesimo missionario a partire dalle prime esplorazioni portoghesi, fino alle imprese di Francesco Saverio in Giappone, lette come tappe trionfali del trionfo del Vangelo. Il più tipico rappresentante della scuola del Collegio romano fu Daniello Bartoli (1608-1685), storico ufficiale della Compagnia e autore di un’opera dal titolo Della vita e dell’Istituto di sant’Ignazio (1650). Il suo progetto – che rimase incompiuto – era quello di una storia dell’azione della Compagnia di Gesù nel mondo, suddivisa in quattro parti, ciascuna delle quali dedicata a uno dei continenti nei quali i gesuiti operavano. Basandosi sulle relazioni inviate dai luoghi di missione, e pubblicando la sua opera a mano a mano che la componeva, Bartoli – dopo un primo volume dedicato all’Europa –, nel 1653 pubblicò l’Asia, nel 1660 il Giappone, nel 1663 la Cina, nel 1667 l’Inghilterra e nel 1673 l’Italia. Nel frattempo fu anche autore di diverse biografie di gesuiti illustri (tra i quali Stanislao Kostka, Francesco Borgia e Roberto Bellarmino). Il fine di tutta la sua opera fu quello di esaltare la Compagnia e glorificare il cattolicesimo.